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Speriamo bene

di Vincenzo Pagano

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Per capire il ruolo dell’Italia nell’eurozona bisogna fare un passo indietro.
La fase che va dal trattato di Roma del 1957 fino all’introduzione dell’euro del 2002 è il periodo ottimale dell’Europa che, avendo crescita e sviluppo, si espande continuamente da sei membri arrivando ai nostri giorni con 17 stati che hanno adottato l’euro. In questa prima fase senza la moneta unica c’è un continuo aggiustamento dei prezzi con relative svalutazioni e l’Italietta dimostra al mondo ciò che è capace di creare e produrre diventando uno dei paesi più industrializzati ma soprattutto spiazzando e sorprendendo paesi con una più lunga tradizione industriale e con più risorse a disposizione.
La seconda fase, che va dall’introduzione della moneta unica del 2002 fino ad oggi, è all’opposto della prima in quanto la maggioranza dei paesi europei non solo non è più in grado di seguire il percorso virtuoso della crescita e sviluppo, ma mostra una accentuata divergenza nei confronti dei paesi core dell’Unione europea e l’Italia sviluppata potrebbe ritornare Italietta.
Questi pochi paesi centrali dell’Unione europea sono la Germania… e pochi altri. L’Europa procede a velocità diverse e continuerà su questa strada almeno che non ci siano veramente delle politiche di integrazione. Rimango molto scettico e, senza gli eurobonds, senza i trasferimenti fiscali e senza la BCE che si applichi come una vera banca centrale, non è possibile avere una vera integrazione europea.
In sostanza, nell’eurozona vige solamente il libero movimento delle merci.
Il libero movimento dei capitali è più complesso (c’è il libero movimento di capitali finanziari, ma il capitale non-finanziario è in molte forme un’appendice dello Stato-nazione e anche se ci sono tanti esempi di libero movimento, allo stesso tempo ci sono altrettanti esempi di chiusura verso un capitale di altra provenienza); certamente il mercato dei capitali non è libero come negli Stati Uniti. Un esempio su tutti per capire il libero movimento di capitale (e di lavoro) è vedere sulla tratta Ponza-Formia navi greche con personale greco. Il mercato con poco movimento è il mercato del lavoro.

Il 2012 appena finito è uno dei peggiori anni dell’economia italiana del dopoguerra.
Le aspettative del governo dei professori guidato da Monti non si sono confermate. Riporto solo alcuni dati. Il PIL si è contratto del 2,5%; l’inflazione è aumentata del 3% ma le retribuzioni sono aumentate della metà e, quindi, perdita del potere d’acquisto con la domanda interna scesa del 5%; il tasso di disoccupazione è salito ufficialmente all’11% ma, in realtà è vicino al 20%; il debito pubblico, che doveva scendere, è salito al 126% del PIL; le spese degli interessi sul debito rispetto al PIL sono salite dal 4,9% del 2011 al 5,4% del 2012. Si può continuare aggiungendo il crollo degli investimenti; una diminuizione significativa del risparmio; il fallimento di oltre 100.000 (centomila!) aziende e un generale impoverimento degli italiani.
In più e sempre al negativo c’è la sensazione che questa volta la musica è veramente cambiata e diventa sempre più sgradevole.
Il trend economico attuale per il 2013 è per un altro anno di crisi. Non ci si rende conto abbastanza dell’impatto negativo del fiscal compact (*). Per rispettare l’assurdità di questo patto l’economia italiana vedrà ridurre ancora di più i suoi consumi continuando a pagare interessi sul debito e obbedendo ai diktat europei. Con l’austerità non c’è e non ci può essere via d’uscita dalla crisi.
Ma si dirà: “le elites politiche europee non sono al corrente di questa situazione e perchè dunque continuano con queste politiche di austerità?”
La risposta è che non essendoci un vero ‘Stato Europa’ e non avendo una vera banca centrale le elites non possono fare diversamente. Non è che le oligarchie europee non conoscano il problema. Non credo che c’è bisogno di aggiungere che le elites non vogliono pagare il conto, ma farlo pagare alle classi subalterne. La dimostrazione di quanto sopra è nel constatare la prontezza degli interventi nel salvare il sistema bancario: 4.000 miliardi di euro dalla crisi del 2008 e nel non-intervento nell’economia reale.
Il sistema dominante delle banche accetterebbe di pagare una parte del conto per tagliare il debito pubblico? Certamente no, e il caso greco dell’ ultimo mese dimostra ancora una volta l’irresolutezza dell’Europa. Lo stato greco un mese fa ha riacquistato una parte dei titoli del suo debito a prezzi di mercato che nel frattempo erano scesi significativamente. L’ha potuto fare solo grazie alla disponibilità di 30 miliardi di euro arrivati dal fondo europeo. Il quale fondo europeo è finanziato da tutti gli Stati dell’eurozona.
Il conto dell’Italia per aiutare la Grecia è di 6 miliardi di euro in più di debito pubblico! Quindi da una parte si tappano i buchi e dall’altra parte si creano falle. Ma la crisi rimane e il versamento di 3,9 miliardi di euro da parte dello stato italiano per salvare il Monte dei Paschi ne è un’altra conferma.

Cosa succederà nel prossimo futuro? Non ci vuole molto a capire che le classi dominanti vogliono al potere il partito dell’euro. Ma attenzione. Il golpe di Monti è stato giustificato in base allo stato d’eccezione dell’economia italiana. Tirando i conti non ci vuole molto a vedere che il programa di Monti non solo è un fallimento ma ha portato l’economia italiana in una spirale negativa di minori consumi, investimenti e risparmi con aspettative di continuo avvitamento e prolungamento della crisi. Lo stato d’eccezione non regge più. L’Italia sarà commissariata e le elites dominanti necessiteranno di un referente político capace di continuare ad attuare le politiche di austerità.

(*) fiscal compact – attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione (NdR)