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Il ricordo della tragedia di Marcinelle nel giorno della memoria

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di Enzo Di Fazio

 

Gli  accenni su questo sito di qualche tempo fa ai disastri minerari attraverso i commenti di Sandro Vitiello e Sandro Russo alla posta di un lettore (leggi qui [2]) mi avevano riportato con la mente alla tragedia di Marcinelle in Belgio del 1956.
Sapevo del sacrificio umano legato a quel luogo e dell’enorme tributo pagato dal nostro paese  visto che dei 262 minatori morti ben 138 erano italiani.

Sono stato diverse volte in Belgio avendo lì una sorella che vi vive ormai da oltre quarant’anni e, essendo sempre brevi le mie soste, per un motivo o per un altro non ero mai riuscito a far visita al Bois du Cazier il luogo di Marcinelle legato alla tragedia della miniera.

La settimana scorsa, approfittando di un nuovo viaggio in quella terra, mi sono imposto di vivere l’emozione dell’incontro con la storia, i fatti, i luoghi, i nomi ed i volti  di una catastrofe  che per le dimensioni avute e per la commozione suscitata resta ancora oggi  profondamente impressa nella memoria.

Durante il volo, durato  poco più di due ore, ho pensato spesso ai viaggi degli emigranti di tutte le terre, dei tempi e dei disagi che ognuno ha dovuto affrontare per raggiungere il proprio Eldorado.

Quindici giorni di navigazione agli inizi del ‘900 per sbarcare ad Ellis Island in America,  18 ore di treno per arrivare in Belgio, “solo 18 ore” come pubblicizzava un manifesto del 1950  di reclutamento per le miniere.

Il Belgio ci accoglie con la neve.

Il giorno dopo l’arrivo decidiamo di andare al Bois du Cazier (dal nome del proprietario del terreno).

 Ci  accompagna nella visita di prima mattina una bellissima giornata di sole, rara per questo paese dominato dai colori grigi la cui piattezza si interrompe e si ammorbidisce solo quando lo sguardo incrocia le variazioni cromatiche dei fiori ordinati nelle aiuole e sui davanzali delle finestre delle case.

Se non fosse per il freddo e la neve presente ancora morbida e compatta là dove non passa l’uomo, la giornata ricorderebbe molto, per la luce intensa che ci avvolge, quella  del drammatico 8 agosto del 1956.

Il luogo è ospitale  per via dell’ordine, della pulizia e della compostezza che percepisci al primo impatto.

I  viali alberati ed i prati curati lo rendono simile ad un piccolo villaggio come i tanti che si incontrano in Belgio; ma basta che  lo sguardo si impatti contro la cupezza e l’altezza delle due torri di ferro sovrastanti i pozzi di estrazione, che tanto contrastano con gli edifici d’intorno, per capire che ti trovi in  un luogo di ricordi.

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C’è un’altra cosa che ti fa capire di essere in un posto speciale: il grande cancello d’ingresso che tanto somiglia a quello del campo di concentramento di Auschwitz con la grande scritta “Arbeit macht frei” (“Il lavoro rende liberi”).

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Li accomuna per certi aspetti il sacrificio di vite umane e la violazione di alcuni diritti sacrosanti, come il diritto alla libertà e alla vita per le vittime del nazismo e quello alla sicurezza sul posto del lavoro per le vittime delle miniere.

Il cancello di Marcinelle non ha scritte che lo sormontano ma nell’attraversarlo provi un brivido lungo la schiena perché di quella tristissima giornata d’agosto senti nell’aria  l’ansia e il dolore impressi sui volti dei parenti appoggiati alle sbarre e la speranza racchiusa nelle mani aggrappate ai ferri.

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Una grande foto ed una scritta in tre lingue, messe lì all’ingresso, ce lo ricordano.
Come ci ricorda anche la copertina della Domenica del Corriere dell’epoca disegnata da Walter Molino.

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Erano soprattutto mogli e madri quelle persone. Lacerate dal dolore sperarono, invano, per due lunghissime settimane di cogliere dalle voci delle autorità, dei giornalisti e dei soccorritori notizie di conforto.

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Una folle speranza che si spense definitivamente quando alle tre del mattino del 22 agosto fecero eco nel piazzale le terribili parole della squadra di salvataggio risalita da meno 1035 metri: “Tutti cadaveri”.

[8]Da quell’inferno in effetti emersero  vive, lo stesso giorno della tragedia, solo dodici persone: sei riuscirono a venir fuori poco dopo lo scoppio prendendo posto in una gabbia del pozzo di risalita, altre sei furono trovate alle tre del pomeriggio rannicchiate sotto un vagoncino ad una profondità di 715 metri.

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Erano scesi in 274. Di essi 262 persero la vita: gli italiani erano 138 e 95 i belgi; gli altri di origine greca, polacca, francese, algerina, ungherese e tedesca

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Un grande orologio collocato sul pavimento di una sala ha le lancette ferme sulle 8 e 10, l’ora del disastro.

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Per i proprietari della miniera quei minatori erano semplicemente degli operai addetti all’estrazione del carbone identificabili attraverso dei numeri, quelli riportati sulle medagliette che ritiravano all’ingresso e che lasciavano alla lampisteria  (il luogo ove erano raccolte le lampade) nel momento in cui veniva loro consegnata la lampada su cui era riportato lo stesso numero. [12]

Si lasciava la medaglietta e si ritirava la lampada; al ritorno si lasciava la lampada e si ritirava la medaglietta che si consegnava, poi, prima dell’uscita, alla cancellata. Una specie di timbratura che permetteva anche di effettuare i controlli sulle discese e sui ritorni.

Numeri al posto dei nomi come quelli impressi sulle braccia degli ebrei prigionieri dei nazisti o  come quelli riportati sulle divise dei carcerati.

La dignità a quegli uomini l’ha restituita solo   la morte.

Li ricorda tutti, con le rispettive foto ed i luoghi e le date di nascita, una sorta di sepolcro, denominato “MEMORIAL”, dove  una voce  femminile, a tratti interrotta da un  rumore cupo che simula quello dei carrelli che si muovono lungo le rotaie, scandisce i nomi ed i dati anagrafici di ognuno.

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E lo fa in maniera continua al punto che non può sfuggirti di cogliere che intere famiglie sono state distrutte, come quella cui appartenevano i cinque fratelli Iessi di Manoppello in Abruzzo.

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Scorrendo quelle immagini t’accorgi anche della presenza di adolescenti di appena 14 anni.

Si era in agosto, i ragazzi non andavano a scuola e capitava che i padri li portassero con loro per sostituire i minatori in ferie. Era anche un modo per prepararli ad un futuro di eventuale lavoro in miniera.

Quei primi piani, con nome cognome luogo e data di nascita, sono tutti lì a ricordare l’essenza umana e le appartenenze.

I luoghi di origine ci parlano di migrazione, di lontananze, di separazioni, di sacrifici giustificati dalla spinta di sogni spesso non realizzati.

Di buona fede carpita da proposte allettanti come quelle contenute nel manifesto di reclutamento che la sede di Milano della Federazione Carbonifera Belga di Bruxelles fece affiggere nel 1950 in tutta Italia, fin nel più appartato paese.

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Vi si leggeva di tutto: del salario, delle ferie, della possibilità di avere un alloggio confortevole… ma nulla sul tipo di lavoro che si andava ad affrontare.

Firmare il contratto in anticipo, prima della partenza, voleva dire assicurarsi anzitempo il lavoro con tutti i vantaggi enunciati… ma se lo si metteva in discussione dopo aver scoperto la realtà, cioè al primo giorno di miniera, si veniva consegnati ai gendarmi per essere avviati al carcere Petit Chateau di Bruxelles.

La tragedia di Marcinelle ha un ‘prima’ e un ‘dopo’…

“Il Belgio aveva bisogno di operai per le sue miniere. L’Italia non aveva carbone. Le trattative sfociarono il 23/6/1946 nella firma del Protocollo d’Intesa.

L’accordo prevedeva l’invio in Belgio di 50.000 operai in cambio della vendita all’Italia di 2/3 milioni di tonnellate di carbone l’anno.

Tra il giugno 1946 e il dicembre 1949 più di 77.000 cittadini italiani prenderanno il treno per il Nord. Altri partiranno negli anni a venire.

Questo baratto lascerà un sapore amaro in molti di loro che avranno la sensazione di essere stati venduti per un sacco di carbone.

La catastrofe sarà all’origine della messa in discussione del mondo del lavoro. La sicurezza nelle miniere di carbone subì una revisione totale; la comunità degli immigrati, grazie al pesante tributo pagato nell’incidente, vedrà la sua integrazione facilitata”.

[Da un manifesto con le informazioni che si può leggere all’ingresso]

 

Tutte  le tragedie hanno in comune il sacrificio di vite umane, il disprezzo dei diritti essenziali, lo sconforto ed  il dolore in cui lasciano  le famiglie,  ma hanno  in  comune anche la forza degli insegnamenti che se ne possono trarre per  rafforzare il rispetto dei diritti e migliorare il comportamento degli esseri umani.

Perciò non vanno mai dimenticate.

Un giusto motivo per ricordare anche Marcinelle nel  giorno della memoria che ricorre oggi 27 gennaio.

 

Aggiornamento dell’8 agosto 2016

Oggi 8 agosto il quotidiano “La Repubblica” ha pubblicato un bell’articolo a firma di Guido Crainz dedicato all’anniversario della tragedia di Marcinelle: Marcinelle. L’Italia è partita da lì [16]