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In ascolto

    [1]

 di Franco De Luca

  Echi di grida di bimbi in uscita dalla scuola sulla Parata. Borbottava la pentola in cucina e la tavola già pronta attendeva l’agitato gioire dei piccoli.

    Il vicolo era circonfuso dai profumi delle vivande: da qui la trippa inconfondibile si spandeva, le castagne abbrustolite da lì inondavano l’aria quieta. Il  vento non c’era a turbinare, e il vicolo dipanava il suo universo di odori di cibo, di richiami di mamme, di improvvisi voci di ragazzi.

   Dalla piazza soltanto echi, oggi: di uomini  sulla soglia dei bar a borbottare di beccacce non ancora passate, in attesa del compagno con cui affrontare la maniglia.

   Cadute ormai le ombre, alle 20 o giù di lì, il rumore della nave in attracco ci vedeva accalcati sulla gradinata del Municipio perché Vincenzo avrebbe consegnato la posta.

   Sparavano i botti e la chiesa invitava alla novena e le mamme dai balconi chiamavano i figli , ancora al gioco.

[2]

   Da mare rientrava la barca coi rotondi allora allora smagliati.

   L’isola viveva in una dimensione totalmente paesana: ciascuno legato all’altro in una interdipendenza  vitale.

   Echi fiochi quelli che oggi si sentono passare nelle strettoie del paese. Solo echi.

   Di una vita non più proponibile, neanche auspicabile, che stenta a pulsare, in un’isola di lancinanti echi.