Rubrica dei Lettori

Lettera ad un’amica. 1^ parte

di Pasquale Scarpati

Cara Martina

Come stai, spero bene. Lascia ad altri le diatribe che non hanno costrutto. Forse servono solo per riempire pagine e pagine, ma alla fine? “ Sfog’ e cuorp’ “ si diceva una volta. L’importante è guardare avanti cercando di prendere dal passato cose pregnanti, adattarle ai tempi e così andare avanti. Non credere alle novità assolute: non esistono anche se spesso e volentieri tentano di propinarle come tali. Ogni cosa ha una sua radice che affonda nel tempo. Il problema è che oggi molti pensano che il mondo sia stato sempre così oppure, se si guarda indietro nel tempo, si pensa al passato come all’era di Saturno. Non è assolutamente vero. Il passato era duro se non durissimo; la solidarietà, molte volte  sbandierata, esisteva solo in alcune occasioni, giocoforza. Dico giocoforza perché devi sapere che l’uomo, quando si trova in difficoltà, cerca, da una parte, la solidarietà degli altri, dall’altra, per la ristrettezza dei tempi, cerca di sopraffare il prossimo. Ti faccio un esempio. Se per caso ci si ammalava, non essendoci denaro per comprare i medicinali o per far intervenire il medico, anche lui a pagamento, si ricorreva al metodo della nonna, della comare o della vicina di casa. In quel caso tutti correvano a darsi una mano, tutti andavano, come dice Franco, a tirare la barca sotto Mamozio; ma se c’era un tozzo di pane per terra ci si guardava intorno e furtivamente o si metteva in tasca o in bocca. Noi fanciulli ci pigliavamo a botte per confetti durissimi, non era solo uno “ sfizio”ma era fame di una “ leccornia” che veniva quasi sempre negata. Qualsiasi cosa che aveva bisogno di essere  posseduta per mezzo del denaro era oggetto di “culto”, custodita gelosamente.  Per capire questo modo di agire e di pensare bisogna immedesimarsi quanto più possibile nel vissuto del tempo. Come si fa? Bisogna partire da tre presupposti fondamentali: il denaro, il pensiero,l’alfabetizzazione. Spesso tutti è tre, anzi quasi sempre, vanno a braccetto.  Il modo di pensare quotidiano ed il modo di agire dipendono dal denaro. “ Senza soldi non si cantano messe” si diceva, per cui la penuria dello stesso alimentava da una parte l’arroccamento in certe posizioni e dall’altra il tentativo di espansione dei beni per poter migliorare la propria condizione economica anche ai danni degli altri, meglio se più deboli . Il debole soccombeva senza pietà, non aveva nessuna protezione neppure dallo Stato; solo e soltanto la famiglia, amorevolmente, lo proteggeva  proprio perché sapeva che non vi era nulla al di fuori di essa. Doveva disperatamente lottare da sola perché le leggi che proteggevano i più deboli o non c’erano o erano disattese perché c’era altro a cui pensare. Quando noi eravamo bambini bastava un nonnulla per essere ” martirizzati”. Noi ci divertivamo un mondo a prendere in giro o a scimmiottare  chi avesse  un difetto fisico di qualsiasi natura anche se piccolo: potevamo essere martiri e carnefici, perché? Per non parlare degli animali. Oggi essi vanno, giustamente, rispettati . Ai nostri tempi, invece, era un divertimento buttare i cani a mare ( specialmente mentre si accoppiavano) o prenderli a calci e poi chiamarli ed avere la soddisfazione che ritornavano mogi, mogi con la coda tra le gambe. Era uno dei modi per affermare la nostra supremazia. Alcuni adulti addirittura asserivano che un cane era meglio della moglie perché il primo, pur essendo stato bastonato, sarebbe ritornato, la seconda, subendo la stessa sorte,avrebbe protestato. E lo dicevano con un certo sussiego come se avessero sentenziato. Si diceva che i gatti avessero “sette vite” e noi, per verificare tale affermazione, li buttavamo giù da un muro; già ti ho raccontato di quello che facevamo agli uccellini. Eravamo disumani? Certamente sì. Bisogna però capire il perché. Tra l’altro si pensava che l’uomo( inteso anche e soprattutto come maschio) fosse il padrone e signore di tutto e ciò era avvalorato anche dal Vecchio Testamento preso ” alla lettera” a causa dell’ignoranza. Chi aveva denaro dominava e gli altri anche perché “ ignoranti” erano costretti a subire. Subendo, però, portavano dentro di sé violenza e acredine nei confronti dei loro pari e spesso sfogavano la loro rabbia sugli altri uomini, loro pari o più deboli, sugli animali e sulle cose.  La rabbia era anche dovuta al fatto che i propri desideri erano per lo più repressi. Noi, come già ho detto, ci divertivamo un mondo quando “ Rosa i’ Santella o ‘Ntunetta” strillavano: più loro strillavano più noi facevamo confusione anche se poi sopraggiungeva una “ carezza” un po’ brusca da parte dei genitori o dei nonni o degli zii. Sì, perché devi sapere che tutto il clan partecipava. E’ vero che c’era anche chi difendeva il malcapitato ma quello non so se faceva parte del gioco o era un modo reale per sottrarlo alle grinfie altrui. Devi sapere che i ragazzi e le ragazze, quando cominciavano a frequentarsi, dovevano stare attenti a mille occhi scrutanti: gli zii, i nonni, i cugini, tutto il parentado oltre, ovviamente, ai genitori. Se erano sorpresi a colloquiare, immediatamente colui che aveva visto il “ misfatto” informava chi di dovere: i genitori. Così vi era un controllo incrociato ( L’agenzia delle entrate non ha inventato niente di nuovo!).  Al momento del fidanzamento “ufficiale” si doveva andare casa per casa a fare le presentazioni: guai a non andare! Si era tacciati di “scostumatezza” e si rischiava addirittura il litigio in famiglia. Perché questo modo di agire? E prima ancora com’era? Poi ti racconterò. Franco ha ricordato bene mons. Dies. Anch’io ricordo la sua voce forte, roboante e, a dire il vero, mi faceva soggezione e cercavo, quanto possibile, di evitarlo; non avevo alternative però,  ma fondamentalmente mi attirava forse perché ci faceva giocare sul sagrato della chiesa prima della Messa o forse quei canti e tutto quell’incenso davano un’aria di solennità che si contrapponeva al grigiore quotidiano. Non riesco ad immaginare mons. Dies rivolto verso i fedeli ad officiare con il nuovo rito: avevo già lasciato l’Isola e non solo. Lo immagino con un’aria dimessa come si dice da noi con ” un’aria di cane mazziat ( bastonato)'”.  Oggi quando si parla della Messa officiata in rito tridentino è come se si parlasse di cose marziane. Spesso si sottolinea, con un fare tra l’ ironico ed il saccente, che: a) si diceva in latino, incomprensibile a tutti; b) che il sacerdote era rivolto verso l’altare e non verso i fedeli; c) che bisognava stare quasi sempre in ginocchio; d) che la comunione si prendeva in ginocchio intorno alla balaustra  ed altre cose. Purtroppo ci si ferma lì e si aspetta che gli uditori guardino o ascoltino inorriditi e stupefatti. Ma ti sei mai chiesta: a) quante persone sapevano leggere e scrivere compiutamente? Quasi nessuno. Chi sarebbe dovuto andare a leggere la Parola come avviene ora? Quanti l’avrebbero capita o avrebbero saputo partecipare ad un dibattito? Una domanda nella domanda :  perché vi era una così diffusa “ ignoranza”? perché si dava più spazio alla trascendenza  che all’immanenza? Da dove trae origine e perché? Bada, sono soltanto alcuni esempi tratti dal vivere quotidiano. I segni, poi, erano importanti più di oggi. Il sacerdote era obbligato ad indossare l’abito talare, perché? Spesso si vedevano persone con una fascia nera al braccio o con un bottone nero, segno di lutto, perché?  Non parliamo, poi, delle donne che dovevano portare il lutto ( vestito nero)per un tempo stabilito in base al grado di parentela. Povere donne, costrette a portare il nero per quasi tutta la vita! Domanda :perché proprio il nero era il segno di lutto mentre, oggi,  è segno di eleganza? Molteplici sono le risposte; cercandole si scava nella storia che è fatta non solo di di nomi, date, battaglie ma anche e soprattutto del vivere quotidiano, alla cui ragion d’essere bisogna risalire e poi risalire ancora e ancora, andando indietro nel tempo. Gli stessi eventi, grandi o piccoli che siano, non sfuggono a questa logica. E’ l’uomo grande che poi se ne appropria e agisce nella storia, e forma gli eventi aprendo uno spiraglio e portando le “novità” che nascono sempre e comunque da un presupposto. Ricordo vagamente  la questione della miniera SAMIP.  Ricordo solo che ci fu, per sentito dire, una lotta tra il comune e i proprietari della miniera e che c’era anche chi non voleva la chiusura della stessa perché temeva per il proprio posto di lavoro. Qualcuno, oggi, parlando di turismo, dice che la miniera lo ha impedito. Qualche altro dice che non so quali grandi lavori avrebbero dovuti essere intrapresi per il turismo.  Alla luce di quel tempo non mi sembra corretto che si facciano queste affermazioni. Torno indietro nel tempo e chiedo: si pensava che Ponza avrebbe avuto una vocazione turistica quando noi eravamo “ abbandonati da Dio e dagli uomini” e  l’Italia cercava la ricostruzione dopo il secondo conflitto mondiale? A quei tempi Ponza era lontanissima dalla costa e, come già ho scritto, i mezzi di collegamento pochi e per pochi giorni la settimana. Quali erano i mezzi di trasporto del tempo? Dai tempi dei Romani quali erano stati i “turisti” a Ponza? I monaci, madama Beritola, i confinati politici e non. Negli anni ’50 i turisti più numerosi erano i bambini della “ colonia marina”. Il mare era libero, ci sembrava senza confini, infinito.  Non c’erano i soldi per il pane ed i medicinali, chi  pensava  che sarebbero arrivati in tantissimi su quel lembo di terra denominato”Isola del silenzio?” Non una barca furastiera né tanto meno si sarebbe pensato ad un numero così rilevante di natanti sfreccianti. Ricordo che qualcuno, forestiero, possedendo un motoscafo ( quelli di legno), praticava lo sci nautico nel…porto, davanti alla banchina nuova. Chi avrebbe mai pensato a mille collegamenti. Se si fosse pensato a questo o se si avesse avuto un benché minimo sentore di ciò che stava per avvenire, moltissime persone, a cavallo degli anni 50/60, non avrebbero, penso, lasciato l’Isola per una nuova, grande emigrazione soprattutto verso gli U.S.A. Ma, dall’altra parte, chi è quel dissennato che ha scavato o permesso di scavare come una talpa in una roccia friabile? Forse pensava che avrebbe trovato una miniera infinita? Non si era reso conto dell’esiguità del territorio? Forse pensava che dopo aver estratto tutto il minerale o forse per cercarne dell’altro avrebbe inserito nei tunnel aria compressa in modo che l’Isola si sarebbe gonfiata  da divenire simile all’isola d’Elba o alla Sicilia o alla Sardegna? Oppure,più semplicemente, staccando Calacaparra dal resto dell’Isola, voleva generare una nuova isola forse per riserva di caccia, forse un’isola  simile a Palmarola su cui richiamare il turista o meglio ancora avrebbe voluto vivere in un nuovo Eden, facendo concorrenza ai “ signori di Zannone” o forse, aumentando il numero delle isole dell’arcipelago, pensava di acquisire i diritti per vendere una nuova cartina geografica ( In questo Paese tutto è possibile!). Nell’ottica di quel tempo, come già era avvenuto precedentemente, Ponza non era altro che ” terra di conquista”. Conquistata dai saraceni, conquistata dai nostri avi che distrussero tutta la flora, conquistata dai governi che la ritennero terra di confino, lontana dal resto del mondo, conquistata poi da….. Come al solito  non è né l’unico né  l’ultimo caso di una politica miope (e purtroppo non solo a livello locale) che, proprio perché tale, non sa guardare al futuro. Chi però sa guardare al futuro? Non mancano gli esempi ( cinquanta anni fa ci fu colui che, grande tra i grandi nella storia, osò, tra l’altro, nonostante i “profeti di sciagure”, convocare il Concilio Vaticano II e non solo).
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