Mazzella Tina

Farfariello (4)

di Tina Mazzella

L’America gli appariva come la meta più ambita, la terra promessa; in America avrebbe appreso una nuova lingua, avrebbe sfidato la sorte imparando un nuovo mestiere e forse si sarebbe sentito finalmente appagato.

Tuttavia, quando ne parlò al padre, i sogni si infransero contro una sorda e rigida opposizione. Possibile che quel figlio scapestrato non avesse ancora messo giudizio e non fosse in grado di valutare gli ostacoli ed i rischi che una decisione come quella comportava! rampognava corrucciato il vecchio genitore.  Chi gli avrebbe fornito il denaro per un viaggio così lungo e costoso? E chi lo avrebbe richiamato legalmente in quella terra inospitale e quasi irraggiungibile, situata al di là dell’oceano?  Non si rendeva conto di quali difficoltà gli avrebbe riservato l’America? Era quella una terra avara ed egoista, che imponeva ritmi di lavoro massacranti ed umiliazioni continue.

Lo sapeva bene lui, che da emigrante vi aveva sacrificato trent’anni di vita, e che vita poi! Ma lui era forte e non aveva grilli per la testa! Se Farfariello un giorno vi fosse approdato, avrebbe maledetto mille volte sé stesso e chi lo aveva incoraggiato a partire. 

Queste ed altre discussioni occuparono Farfariello in quei giorni e, quando si sentì sconfitto dalle argomentazioni paterne e dalla realtà contingente, si chiuse in un astioso mutismo di protesta. Fu insensibile ad ogni richiesta  di riconciliazione avanzata dal padre ed ignorò i ripetuti inviti a riprendere  il consueto lavoro dei campi, abbandonato  per ritorsione.

Trascorreva la maggior parte della  giornata seduto sui gradini della casa a leggere, a pensare, o a fabbricare oggetti di carta, che puntualmente distruggeva. Era diventato un accanito lettore: leggeva tutto ciò che gli capitava tra le mani; si immedesimava nei personaggi dei romanzi, mentre la fantasia vagava lontano perdendosi nelle sterminate praterie americane che i genitori gli avevano impedito di conoscere o viaggiando su lussuosi piroscafi illuminati che attraversavano gli oceani. Si posava infine sui fondali marini più profondi, alla guida di un veloce sommergibile.

Un giorno si lasciò trasportare tanto lontano  dai  sogni ancora adolescenziali che  decise  di realizzarne uno tutto suo. Quel progetto lo impegnò per lunghe ore, ma al termine ne fu soddisfatto: il suo sottomarino era magnifico e, se fosse stato un ricco signore, o se gli avessero prestato dei soldi, lo avrebbe costruito davvero; ne avrebbe fatto un mezzo efficiente e con esso sarebbe fuggito lontano. 

Ormai i rapporti con il padre erano divenuti molto tesi: costui non perdeva occasione per rimproverare al figlio il disinteresse e la scarsa voglia di impegnarsi in qualsiasi tipo di lavoro serio e remunerativo.

Dal canto suo Farfariello accoglieva le osservazioni paterne con manifesta ostilità.

Solo di sera, contemplando le stelle, si sentiva appagato. Era così vasto il cielo da contenere tutti i sogni più riposti degli uomini; forse ogni sogno albergava su una stella che, lenta e luminosa, compiva il proprio percorso.

Rabbrividì al pensiero che le stesse stelle su cui si posava il suo sguardo scrutatore potessero essere viste sin dalla lontana America. Quanti occhi e quante speranze potevano convergere su quella materia tanto brillante da vincere il buio dell’universo e della notte!

Per superare la noia di quelle giornate tutte uguali, Farfariello si iscrisse ad un corso di radiotecnica per corrispondenza. Avrebbe costruito con le proprie mani degli apparecchi radio o ne avrebbe riparato gli “acciacchi” ridando loro voce e vigore. Si sentiva attratto dalla tecnica, dalle nuove scienze che gli svelavano segreti inauditi, custoditi dalla natura gelosamente per secoli. 

Fu davvero emozionato quando poté captare con la piccola radio a galena che stava costruendo un fioco segnale e poi un suono più chiaro e distinto. Per essere certo che non si sbagliava, ne chiese conferma alla nipotina prediletta, che lo rassicurò in tal senso e lo fece esultare di gioia.

Quei segnali giungevano da spazi lontani, dopo avere attraversato città e mari; erano più veloci dei treni in corsa, dei piroscafi e persino  degli aereoplani.

La scienza, con le  prodigiose invenzioni e con le  grandi scoperte, apriva agli  uomini orizzonti sconfinati. Forse in avvenire avrebbe consentito loro di sconfiggere malattie gravi come la sordità, la solitudine, l’incomunicabilità e sinanche la morte.

La curiosità e la sete di sapere presero Farfariello a tal punto da rendergli inaccettabile la permanenza su uno scoglio così angusto e solitario. Con ogni probabilità fu per questo che un giorno si imbarcò sul piroscafo di linea senza salutare nessuno.

Sparì dalla vita degli amici, dall’isola e dal chiuso mondo dei  genitori, che invano lo cercarono.

La madre pianse, si disperò, ma con il tempo sembrò placare il proprio dolore nella certezza di un futuro ritorno del figlio. 

Lei soltanto lo sapeva, lo sentiva, lo giurava; lo andava ripetendo con ostinata sicurezza anche alle pietre: 

Farfariello, il suo Farfariello  sarebbe arrivato, come era accaduto quella fredda sera di Novembre, quando aveva fatto il suo ingresso trionfale in casa, dopo essere scappato dal collegio dei Salesiani. Sarebbe giunto insieme ad una giovane sposa e ad un bambino bello e vivace come era stato lui nell’infanzia.

La mamma era invecchiata così, aspettando il figlio e gli occhi a poco a poco le si erano offuscati scrutando nel buio della sera l’attracco di ogni bastimento.

Con il passare degli anni anche nella sua mente sempre più annebbiata qualcosa si ruppe.

La donna possedeva in camera un cassetto chiuso a chiave, che custodiva gelosamente al pari  di un preziosissimo scrigno. In  questo  reliquiario assolutamente inaccessibile ad altri conservava in bell’ordine calzini, magliette, scarpette e cuffie da neonato; le aveva raccolte giorno dopo giorno ovunque sottraendole alle vicine, perché appartenevano, secondo quanto le suggeriva il proprio disperato istinto materno, al suo piccolo Farfariello; lo avrebbero aspettato insieme con  lei sino al giorno dell’immancabile ritorno.

FINE

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