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La serata del 10 agosto. Un brano di Alfonso Gatto, da “Epoca” del 1955 (14)

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a cura della Redazione

 

Nel settembre 2011 abbiamo pubblicato sul sito – leggi qui [2] – un brano del 1955, del poeta scrittore Alfonso Gatto, inviato speciale del settimanale “Epoca” a Ponza, per un servizio sui fari dell’isola.

 

Oltre ad altre storie raccolte da Gatto durante la sua breve permanenza a Ponza, gli viene raccontata questa, di un naufragio fortunosamente evitato per l’opera di un coraggioso e oscuro guardiano di faro

(Lettura di Enzo Di Giovanni)

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“Nel pomeriggio, in compagnia di Di Fazio, andammo a casa del reggente [Filippo Vitiello di Biagio – NdR]: un uomo magro, dagli occhi chiari, dalla voce calma che solo i maestri sanno avere quando parlano ai fanciulli.

Dalla sua casa bianca e verde si ammirava il più bel panorama di tutta l’isola.

Il mare ne profilava le coste come in un “fiord”.

“In quattordici anni che sono lassù” prese a raccontare, “una volta ho avuto veramente la certezza d’essere al mondo per qualche cosa. Vi racconterò la storia. La potremmo intitolare “La storia della motogoletta Narducci”.

 

“Era la notte del 28 gennaio 1948, una notte di tempesta.

Uscito a dare uno sguardo alla torre, m’accorsi che la salsedine in poche ore aveva reso opachi tutti i vetri della lanterna e che il faro aveva perduto la sua luminosità.

Il vento urlava e sembrava  portarci via le parole.

Salimmo, io e il mio compagno, sul terrazzino che gira intorno alla torre, mi feci legare a una fune e mi arrampicai ai montanti della lanterna.

Con una mano stretta a un appiglio, con l’altra e con tutto il braccio pulii i vetri centrali.

Sulla faccia accecata dalla luce sentii che il faro riaveva il suo splendore. Erano le 23 e 45. Ricordo che scendendo fissai l’ora e i minuti per trascriverli nel giornale di servizio.

Al mattino, finito il mio turno, mi recai in paese.

Alcuni uomini scalzi e imbambolati, quasi fuori dal mondo, uscivano dalla chiesa, accompagnati da una folla di curiosi e di parenti.

Uno di loro, vedendomi, mi abbracciò e quasi senza fiato“Grazie” disse, “grazie” ripetè più e più volte. Un altro con maggior voce tentò di spiegare: “Non vedevamo più nulla. La Narducci incassava acqua per una falla e noi, perduta ogni speranza ormai, non pompavamo più, sfiniti, ansiosi quasi di rassegnarci alla nostra sorte. All’improvviso il timoniere gridò: “Il faro della Guardia..!!”

Tutti ci sentimmo come presi alla sprovvista dal lampo che prima, ignari d’essere alla sua portata, mai avremmo creduto di vedere. Riprendemmo a pompare, a pompare. Guardai l’orologio, era mezzanotte meno un quarto”.

“Quei naviganti mi ringraziavano come avrebbero ringraziato il faro stesso. Ma nessuno di loro ha mai saputo che fu la mia mano, intenta disperatamente a pulire il vetro, a liberare alfine quel raggio che giunse sino a loro. Chi mi aveva dato in quell’attimo il presentimento di uscire a vedere la torre? Mi sentivo come chiamato”.

 

Entrò, quasi evocata, la moglie del reggente a portarci il caffè.

Era bellissima e altera, con gli occhi verdi.”.

 

 

Spezzone di un vecchio giornale recuperato e trascritto da Enzo Di Fazio

A cura della Redazione

 

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