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“La sposa vermiglia”, di Tea Ranno (1)

di Lorenza Del Tosto

 

Pubblichiamo in tre puntate su “Ponza racconta”  una intervista di Lorenza Del Tosto – giornalista, interprete e traduttrice, già nota ai ns. lettori – a Tea Ranno, in occasione dell’uscita per Mondadori del suo più recente libro. A parte l’amicizia che mi lega a Lorenza e a Tea, trovo interessante il tema di questo romanzo per i richiami che l’ambientazione siciliana propone con Ponza. Di due isole si tratta – peraltro legate da antichi rapporti: la comune dominazione borbonica, influssi culturali, scambi migratori e commerciali – e molti aspetti dell’insularità sono universali e intercambiabili …Come sta analizzando in un’altra forma d’arte Luigi Viggiano ne “Il Cinema delle Isole”.

Ma anche per un altro aspetto questo romanzo propone similitudini con le vicende del recente passato di Ponza. Lo scempio del tratto di costa compreso tra la Marina di Melilli e Augusta, perpetrato a partire dagli anni ’50 in Sicilia, quando si è trasformata una terra benedetta in una cloaca maleodorante in nome del progresso e dell’arricchimento, non è dissimile da quel che è accaduto con la miniera di bentonite a Ponza – Le Forna. Anche lì si agiva in stato di bisogno; c’erano la fame e l’emigrazione come alternativa e ’A Miniera sembrò al tempo una benedizione arrivata dal cielo. Di quali frutti avvelenati si trattasse, fu evidente solo negli anni successivi: i morti per silicosi, le case ingoiate e la ferita ancor oggi aperta nel paesaggio dell’isola, stanno là a ricordarlo.

Sarebbero vuote recriminazioni col ‘senno del poi’ se situazioni analoghe non si riproponessero ancor oggi a dimostrare che poco o nulla impariamo dal passato.

Approfittiamo dell’intervista di Lorenza a Tea su questo bel romanzo che parla ‘non solo d’amore’, per una lettura ‘in trasparenza’, anche antropologica e sociologica, della realtà.

Sandro Russo

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Ne La Sposa Vermiglia, come nei tuoi romanzi precedenti, alcuni temi ricorrono costanti. Tra questi il tema della fuga, un bisogno di fuggire che sospinge i personaggi, assumendo forme sempre diverse.

Una fuga reale e, insieme, metaforica e contraddittoria, mai disgiunta dal desiderio di tornare. La Sicilia, l’isola, con i suoi limiti, soffoca, ma insieme è fonte di identità in un gioco continuo di ricerca di altrove e di attaccamento alle radici.

Anche Vincenzina la protagonista fugge. Il romanzo è la storia della sua fuga, del suo volo di Sparviera.

 

“Certo. Vincenzina vive in una situazione di clausura, di oppressione. E’ una clausura che ha imposto a se stessa dopo la morte della sorella di cui si ritiene responsabile. La morte della sorella non è un espediente letterario, non è un fatto qualunque. Vincenzina era stata destinata dal padre al convento, ma lei in quel convento non vuole andare, e allora prega affinché succeda qualcosa che la salvi.

E quel qualcosa è la morte della sorella.

Vincenzina fugge sempre: con i sogni, con gli appelli lanciati al fratello che la porti con sé in America.

Con i viaggi di cui fantastica. Ed infine con l’incontro improvviso con l’amore due mesi prima di sposarsi.

Ma anche gli altri fuggono. La fuga è ovunque. Fa parte di noi, scorre nel nostro sangue di isolani”

Tea sorride, scuote la testa, sembra che li stia vedendo sfilare davanti agli occhi, questi suoi personaggi, mentre fuggono dietro i loro sogni. E li elenca.

 

“Ottavio Licata, il futuro sposo, il cafone arricchito con i traffici della droga, che comanda incutendo terrore, che spadroneggia tra donne e sgherri, anche lui fugge: a Parigi e ai suoi bordelli.

E Filippo, il ragazzo di cui Vincenzina si innamora, è sempre in giro. Lontano nelle terre del principe o chissà dove.

Dove sarà andato? È la domanda che spesso lo accompagna.

Corrado, il fratello di Vincenzina, è andato a lavorare in America, pur di sottrarsi al destino tracciato per lui da suo padre. Come succedeva e ancora succede a tanti.

Tutti vogliono scappare.

Vincenzina stessa, all’inizio, accetta di sposare Ottavio Licata, quel marito così vecchio, perché con lui viaggerà.

Lui la porterà ovunque e non si fermeranno mai.

Il giorno prima del matrimonio le amiche le chiedono: …E dove andrete?

E lei può fare un lungo elenco di luoghi.

E poi basta. Dicono le amiche. Poi vi fermerete.

No, dopo ci sarà anche l’America. L’America. Capisci? Era il sogno, la risposta ad ogni  curiosità”

 

Tea sembra cercare ancora la ragione profonda di quel bisogno di fuga. Che più si spiega e meno si comprende.

È una condizione esistenziale che l’isola accentua o è l’isola a dare a quel bisogno una sostanza speciale?

 

“Te ne vai perché non ti basta quello che hai lì.

O forse è solo un desiderio mio, di vedere il mondo, che contagia i miei personaggi. E che non è solo fuga, ma bisogno di conoscere, di arricchirsi. Tra gli intellettuali siciliani, c’è sempre stata la tendenza ad andare in Francia ad abbeverarsi di altra cultura. Non si tratta necessariamente di un’ assenza o una mancanza… Piuttosto una scontentezza, un’insofferenza del limite. Perché l’isola è un limite: lo stesso tempo che impieghi per andare da Roma a Melilli, lo impieghi per andare da Roma a Parigi. La gita fuori porta vuol dire che devi prendere il traghetto” – precisa Tea nel suo eterno desiderio di definire ciò che è indefinibile, di accostarsi con le parole a realtà sempre sfuggenti che la guida nella scrittura. Il braccio si allarga a racchiudere il giardino dove siamo sedute: – “Forse perché nel sangue ci portiamo il girovagare delle genti che sono passate in Sicilia. Ma manteniamo radici ben salde. Serve la distanza ma non il distacco…”

“È  questo che a te permette di scrivere?”

“Sì, assolutamente. La mia Sicilia è inzuppata di nostalgia, la poso sulla pagina e me la guardo, me la contemplo. Chi se ne va, la Sicilia continua a portarsela dentro.

Adesso mi scrivono tantissime persone che hanno letto il libro, siciliani che vivono lontano e nelle mie pagine hanno ritrovato la loro Sicilia e vogliono raccontarmi, darmi indicazioni, suggerirmi luoghi e mondi che si portano nel cuore. Mi dicono che il libro ha permesso loro di parlare, di ricordare.  Molti, come me, vogliono conservare negli occhi e nel cuore la bellezza di un mondo che non conosce lo scempio che è venuto dopo.

Perché una cosa brutta di noi siciliani è che a lungo non abbiamo avuto coscienza del nostro enorme patrimonio. Quel patrimonio io lo conservo in me tramite i racconti di mia madre, di mia nonna, delle mie zie. A cui il libro è dedicato. A casa mia c’era il piacere di raccontare. Quando mia madre si ritrovava con le sue sorelle a casa di mia nonna parlavano, parlavano ed io ascoltavo”.

 

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 Foto dell’Autrice del romanzo, in III di copertina

Lorenza Del Tosto

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