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La pesca subacquea. Omaggio a un campione: Silverio Zecca

di Silverio Lamonica

 

Navigando su internet e rovistando, come al solito, tra i fogli ingialliti della “Stampa” di Torino, ho scoperto un interessante articolo di Camilla Cederna, risalente al 1953, che riguarda la pesca subacquea e le gesta del nostro campione Silverio Zecca che vorrei proporre a proposito della ricorrenza di quei campionati di pesca subacquea che si svolsero a Ponza nel 1951 nella prima settimana di agosto.

Silverio Lamonica

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Nei giorni 5 e 6 agosto 1951 si svolse  tra  Ponza e Palmarola un campionato di pesca subacquea. I primi tre classificati furono nell’ordine: Raimondo Bucher, Ennio Falco e Silverio Zecca (nostro concittadino). L’avvenimento lanciò in grande stile lo sport della subacquea a Ponza e non solo. Notevole fu l’interesse per questa nuova disciplina sportiva anche da parte della stampa, tanto è vero che ai primi di agosto del 1953 il direttore di “La Stampa” di Torino mandò a Ponza una sua prestigiosa giornalista: Camilla Cederna (1911- 1997). Sì, proprio quella scrittrice che tra la fine degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso si interessò di casi molto spinosi come la morte dell’anarchico Pinelli, con il saggio “Pinelli, una finestra sulla strage” (1971) e lo scandalo degli aerei “Hercules”, in cui fu coinvolto anche l’allora Presidente della Repubblica Leone, illustrato nel libro “Giovanni Leone, la carriera di un Presidente” (1978). Leone si dimise e gli subentrò Sandro Pertini. Suscitando un mare di polemiche (fu addirittura accusata di aver istigato gli assassini del Commissario Calabresi, a proposito della morte di Pinelli) la Cederna tentò di far piena luce su alcuni avvenimenti oscuri che travagliarono la vita della nostra Repubblica durante quel periodo: un giornalismo “d’inchiesta” che oggi ha un valido esponente in Gianluigi  Nuzzi.

Oggi, nell’era dei diving, nulla è lasciato al caso e le attrezzature sono ben più sofisticate: bombole, respiratori, manometri, tute, pinne più perfette… ma il fascino pionieristico di mezzo secolo fa era ben altra cosa. E poi le cernie abbondavano, anche se cominciavano a diventare più scaltre.

Ricordo molto bene Silverio Zecca, persona molto schietta e leale che con la sua passione sportiva diede lustro alla nostra isola, e come docente di educazione fisica presso l’allora Scuola di Avviamento Professionale di Ponza (poi Scuola Media) fornì un prezioso contributo all’educazione dei ragazzi di allora.

Nel riproporre il seguente articolo, Ponza racconta gli rende un  doveroso omaggio.

Per altri servizi a lui dedicati, leggi qui [2], e qui [3] e ancora qui [4]; per una testimonianza della figlia di Silverio Zecca e di Folco Quilici, leggi qui [5]. Per la storia della pesca subacquea aPoza, leggi qui [6].

Silverio Lamonica

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La Stampa,  mercoledì 12 Agosto 1953

Che cosa si vede in fondo al mare

I pesci non sono più stupidi”

(nostro servizio particolare)

Ponza, Agosto. “Oggi non ci sono più pesci stupidi” è lo slogan che pochi giorni fa alcuni uomini armati di fucile subacqueo sentirono dire in piazza da un giovane piccolo e straordinariamente robusto, tanto scuro di pelle da sembrare tutto lucidato con la crema marrone per le scarpe. Dopo un po’ il giovane aveva aggiunto che da quando esistono i pescatori subacquei i pesci si sono decisamente fatti furbi. Si può affermare poi, con tutta sicurezza, che essi hanno un loro mezzo rapidissimo per comunicarsi le notizie e avvisarsi l’un l’altro del pericolo imminente.

Come un siluro

Chi dimostra di conoscere così bene le nuove abitudini dei pesci è il ponzese Silverio Zecca, uno dei più abili cacciatori subacquei d’Italia, che fu l’addetto per la parte sportiva della Spedizione Nazionale Subacquea in Mar Rosso, terminata il 27 giugno, e che nei mesi estivi fornisce il pesce ai vari ristoranti dell’isola e ai villeggianti golosi. C’è qualcuno che vuole la cernia alla marinara, un altro che mangerebbe volentieri il sarago fritto e l’ombrina lessata? Ecco Silverio Zecca (laureatosi qualche anno fa in economia e commercio) che va ad immergersi in zone ben definite secondo i desideri di ognuno. Ponza la conosce infatti più sotto la superficie del mare che sopra, ed egli ha maggiore familiarità con gli spettacolosi fondali di massi vulcanici , i prati d’alghe e le oscure tane muschiose, che con le colline fiorite di viti e di ginestre, di agavi e di fichi d’india.

Una volta la cernia era soprattutto curiosa e veniva fuori dalla sua tana proprio per veder meglio i primi cacciatori, stando lì ferma col suo goffo corpaccione ingombrante, la bocca aperta, gli occhi spalancati a far da facile preda. Adesso no. La cernia ora sa perfettamente quel che sta per capitarle quando l’uomo cala rapido verso di lei, e allora fila a corsa sfrenata nella sua tana dove si gonfia attaccandosi alla roccia con gli aculei dorsali. Bisognerà lavorare d’astuzia per stanarla, usare ganci e rampini, alle volte anche uno scalpello. I saraghi adesso corrono freneticamente cambiando di continuo direzione, come le ombrine dalle quali è sparita del tutto qualsiasi traccia d’interesse per la sagoma del loro nemico.  Questo mutamento nei pesci non è accaduto solo nel mare di Ponza: essi si comunicano le notizie ad enormi distanze, e anche nel Mar Rosso erano già informati della minaccia ed estremamente diffidenti.

Silverio Zecca è dunque il personaggio attualmente più in vista di quest’isola ancora sconosciuta  ai turisti rumorosi e invadenti. I silenziosi cacciatori subacquei di tutta Italia, appena sbarcati sulla piazza color crema, chiedono di lui perché li accompagni nei luoghi pescosi, mentre le loro belle amiche indolenti si limitano a guardar giù con la maschera quello che avviene in profondità. Sott’acqua Silverio Zecca, che è un uomo basso e tarchiato, di tipo mediterraneo, diventa gigantesco e minaccioso. Con la maschera senza respiratore, le pinne ai piedi, il fucile impugnato nella mano destra e l’altra chiusa in un guanto giallo di gomma palmata, egli scende con la velocità di un siluro a quindici, venti metri di profondità, e si direbbe che due bracciate gli bastino per questo percorso. La sua ombra nera spicca contro il blu verde dell’acqua, contro un’altra grossa ombra informe che le signore intravedono appena sul fondo. Ecco la freccia che parte, la cernia è colpita, il cacciatore risale per riprender fiato, e dopo un minuto è giù ancora, magari con una lampada in mano, per stanare il pesce che sarà a bordo tra poco, tra le grida delle donne spaventate. Peserà dagli otto ai venti chili. Così per cinque, sei, sette ore; alla fine di una giornata di pesca in barca ci saranno magari anche cinquanta chili di pesce.

Una scuola per tutti

Sulla via del ritorno, quando il sole tramontando accende e spegne di continuo le casette rosa, azzurre, bianche e gialle disposte sulle colline e intorno al porto con la grazia di un rustico presepio, ricominciano i discorsi che si risentiranno in piazza, sui velieri all’ormeggio, sui candidi yachts che si dondolano nella rada: la pesca, le abitudini dei pesci, la vita dell’eroe del luogo, l’invidiato campione di pesca subacquea.

Nato vicino al molo, da dove i bambini dell’isola a tre anni vengono lanciati in acqua legati a una corda perché imparino a stare a galla, Silverio Zecca cominciò a pescare nel ’43. Si era fatto un paio di occhiali con un ramo di fico, un po’ di pece e due vetri comuni, e prendeva ostriche e datteri di scoglio.  L’anno dopo vide il primo fucile e la sua nuova vocazione fu decisa. Il suo torace ampio, il suo cuore generoso, i suoi polmoni “da museo” (così li definisce il dottore che lo visita a intervalli regolari) il suo occhio preciso e il polso fermissimo gli garantiscono la riuscita. Partecipa ai campionati, e quest’inverno tornerà in Mar Rosso con  la seconda spedizione. La sua stanza è una specie di museo marino, che i turisti privilegiati visitano tra continue esclamazioni, ci sono misteriosissime conchiglie, denti di pesce sega lunghi due metri, un esemplare di “pesce scatola” pescato nel mare di Massaua, ciuffi di coralli e di madrepore.

La sosta in questa camera sottomarina, la speciale atmosfera subacquea di Ponza, gli incontri che vi si fanno, i pesci che si mangiano spingono ogni villeggiante (anche il più innocuo) a comprare maschere e tubi respiratori, esposti in gran quantità nei modernissimi negozi, tra le magliette di cotone, le cartoline, i meloni e il libro del parroco che racconta come Mussolini trascorse i suoi undici giorni di esilio nell’isola. I più innocui non pescano, ma continuamente guardan giù anche loro, nuotando adagio ed emettendo il fiato dai tubi celesti che sporgono dal pelo dell’acqua. Così che chi rimane a Ponza per più di una settimana, la descriverà agli amici come di solito non viene descritto un posto di mare. Dimenticherà di parlare delle coste frastagliate, del colore mutevole delle moltissime rocce, dei nidi di gabbiani che si trovano in alcune e della stupenda spiaggia “Chiaia di Luna”, ma saprà dire quasi liricamente com’è il fondo del mare tra Capo Bianco e l’isola di Palmarola. Come fa il pesce grosso, seguendo sornione il piccolo, ad ingoiarlo a un tratto con disinvoltura, come fa il cacciatore in guanti gialli a colpire polipi e murene, e quanto i sentieri fioriti di stelle scarlatte, di tartufi violetti, di muschi grigioverdi, rosa ed arancio, sono più belli delle aiuole ben coltivate in uno straordinario giardino terrestre. Infine, tornando a casa, per prima cosa dovrà curarsi per qualche tempo di un leggero dolore reumatico alla testa, prezzo di queste meravigliose visioni e conseguenza dello stato di prolungata umidità.

Camilla Cederna

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