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Il Diario del Nonno (5)

di Martina Carannante

Da: “Diario d’una missione. La mia Odissea di circa 72 ore faccia a faccia con la morte” di Aldo Mazzella

Per le puntate precedenti, digitare: Diario del Nonno – nel riquadro in basso a sin. del frontespizio: “CERCA NEL SITO”

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All’improvviso si sente una cosa raspare sulla nostra dritta… Orrore, spavento, la gelida mano della morte ci sta per ghermire. Mi sento toccare il cervello, il cuore cessa il suo battito, una sola idea fissa e rapida come un lampo: “Siamo fritti”!

Guardo un mio compagno Coretti situato di fronte a me e lo vedo spaventato, irriconoscibile, il suo pallore è diventato cadaverico, gli occhi spalancati quasi da uscire dalle orbite, i capelli arruffati si sono drizzati come spine e a respiro fermo giro lo sguardo verso l’orologio, ma non ricordo l’ora, come per darci un addio e chiederci aiuto. Volevo scappare, ma mi sentivo inchiodato al mio posto, ero terrorizzato quando girai lo sguardo e vidi tutti i miei compagni della camera di manovra con lo stesso aspetto del Coretti.

La cosa continuava a raspare e strisciare lentamente sulla nostra fiancata di dritta nella direzione di poppa fino a che non la sentimmo più. Il mio respiro era ancora mozzato e gli occhi sbarrati, ma man mano che i minuti passavano, la calma ritornava. Mi sentii passare per la schiena, a diverse riprese, dei brividi freddi che andavano dalla testa al bacino. Più tardi chiesi ai miei compagni di bordo le loro sensazioni, era le stesse mie. Perché tanta paura ha provato ognuno di noi? E quell’aspetto terribile? Che cosa ci aspettavamo? Il colpo finale? Come ci siamo sentiti toccare e raspare…  l’ala della morte ha sfiorato e carezzato i nostri volti, poi è scomparsa; con essa anche la paura.

Come mai, ci domandammo, siamo ancora vivi? Forse è stato un sogno? No! Nessuno di noi ha sognato: quella era la realtà. Perché il terribile ordigno non è scoppiato? Per la semplice ragione che la torpedine da rimorchio (*) era a quota di profondità superiore alla nostra e così noi siamo riusciti a non saltare in acqua.

Quello che aveva toccato il nostro fianco era il cavo di acciaio che teneva legata la torpedine con il caccia. Mentre la torpedine passava sotto di noi sarebbe bastato un piccolo urto e per noi e per l’Iride sarebbe stata finita.

La fatalità non volle, e noi restammo ancora sospesi in quota sugli abissi marini. Passarono ancora parecchie ore e la terribile torpedine da rimorchio andava in cerca di noi. Però senza riuscire più a toccarci, fin quando fu tolto da mare; anche questo ordigno era stato usato senza alcuna speranza per i nostri nemici.

Tutti i caccia si mettono in movimento, noi avanziamo in direzione del loro andare; essi si fermano per ascoltarci, noi imitiamo i loro stessi movimenti, così questo per tutto il resto della giornata, solo qualche bomba isolata di tanto in tanto si fa sentire. La respirazione incomincia ad appesantirsi di nuovo. Alle sette di sera facciamo uno spuntino, un pacchetto  di gallettine, una scatoletta di marmellata ed un bicchiere di aranciata a testa. L’aranciata per me fu la cosa più gradita delle altre che strozzano in gola, sembrò di calmarla per un momento, ricomincia però da capo la mala respirazione, il sudore e la sete. La tenaglia che stringe sempre più le tempie, la terribile noia, gli scatti nervosi; la ferma volontà doveva agire su tutto questo per farmi esser calmo. Tutto questo scombussolare sfiaccava il mio essere in modo straordinario in un continuo soffrire.

Tutta la notte trascorse calma, il nemico si accontentava solo di spiarci. Noi facemmo molte manovre per cercare una sortita, ma tutti i tentativi di fuga furono vani. A mezzanotte, dopo aver fatto ancora diversi tentativi, l’aria non era più respirabile; il comandante diede ordine di dare ossigeno dalle bombole, l’ordine fu eseguito e l’aria rigenerò i nostri polmoni asmatici e malati. Per la quinta volta l’orologio marcò le dodici, e noi siamo ancora nelle stesse condizioni di prima, anzi peggio perché le provviste di ossigeno erano intaccate.

Sono trascorse 50 ore di immersione e dal giornale di bordo si legge così: “20 gennaio 1938 ore 00:05. Il nemico continua a spiarci, i nostri tentativi di fuga sono falliti. A mezzanotte abbiamo intaccato ancora le nostre riserve di ossigeno, la condotta degli uomini è esemplare nonostante le ore di immersione, i disagi della respirazione e i bombardamenti subiti.”

Vagammo per il fondo, poi restando fermi in equilibrio sui timoni orizzontali per attirare in inganno il nemico ma tutti i nostri sforzi andavano a vuoto, il nemico vegliava su di noi e faceva buona guardia, mentre le ore scorrevano lentamente. Il nostro morale era basso, la difficoltà respiratoria si unita al bruciore del caustico liberato dal ‘Bullock’ che senza che ce ne avvedessimo aveva imbevuto il sudore in cui eravamo. Provavamo alla nostra pelle continue bruciature come tizzi ardenti che mordevano la nostra carne. Che pena! Che tormento! Forse l’inferno dantesco e i dannati del suo ultimo girone non subirono simili torture.

Sono le sette del mattino di un nuovo giorno, il nemico durante la notte non ci ha molestato, si è accontentato solo di spiarci. È terribile! Essi sanno che l’aria è limitata, ci faranno morire asfissiati. Questo nuovo giorno sarà anche senza sole e senza aria e magari anche l’ultimo della nostra vita. L’anidride carbonica avanza e noi la respiriamo, ma quali sono le nostre speranze? Chi ci tirerà fuori da questo abisso in cui ci siamo inoltrati? Eppure una leggera speranza come una stilla di luce irradia ancora i nostri cervelli quasi malati.

Eravamo condannati a morire lentamente asfissiati… Non è meglio morire di una morte brusca e alleviare la pena cui eravamo sottoposti. Eppure la coscienza, la speranza, le illusioni cacciavano questa malefica idea. L’unico pensiero era quello di difenderci fino all’ultimo respiro, ma questo lo penso adesso che lo sto scrivendo, di fatto non pensavamo a tutto questo, né alla morte e né ad altre cose.

Il nuovo giorno viene a salutarci con poche scariche di bombe che scoppiavano quasi tutte in nostra vicinanza, ci accorgiamo che il nemico si addestra sul lancio delle bombe, noi siamo più fiacchi nel fare le cose.

Alle ore 11.00 tutta la riserva di ossigeno viene scaricata. Questa volta non si avvertì nessun sollievo nella respirazione, era asmatica e continuò ad esserla.

A mezzogiorno ci viene distribuito un altro pacchettino di gallettine con una scatoletta di marmellata ed una frutta sciroppata con un altro bicchiere di aranciata. Li divorai, ma con una lentezza straordinaria. In ogni boccone, anche piccolo, subivo un soffocamento, i polmoni ansavano in modo molto accelerato, eppure in queste condizioni ci difendevamo dagli attacchi del nemico.

Siamo alle ore 16.00, la respirazione aumenta il suo ritmo; incomincio ad avvertire strane punture per tutta la vita ad un tratto mi rendo conto che sta succedendo qualcosa. Dei compagni di bordo danno segni di squilibrio cerebrale, devono situarli in cuccette legandoli in alto come salami; questi non sono gli unici segni di squilibrio… Altri componenti dell’equipaggio fanno strani movimenti e dimostrazioni di irrequietezza; fra breve saremmo diventati tutti pazzi! L’Iride sarà un manicomio sottomarino.

Il comandante chiese se c’era ancora ossigeno, la risposta fu negativa, le bombole sono tutte vuote e le valvole tutte aperte. Vidi il comandante prendere una scatola di cerini dalla tasca, accese un primo un metro dai paioli, incominciò ad abbassare il cerino acceso, man mano che la fiammella scendeva si rimpiccioliva; arrivato a un palmo sopra le sue ginocchia, il cerino si spense. Ne accese un altro un po’ più alto del primo, si mantenne come un minuscolo lumicino pronto a morire, rimise i cerini in tasca, prese una carta e una matita e fece un breve calcolo. Si alzò e si fece sostituire dall’ufficiale in seconda; poco dopo ritornò fece chiamare tutti coloro che non erano ai posti di manovra importanti e gli ufficiali con i sottoufficiali. Ansimavano tutti e riflettevano sulla convocazione del comandante.

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raccolto da Martina Carannante

 

(*) – Le bomba di profondità note anche come bombe torpedine a getto (BTG) erano un’arma di attacco ai sommergibili da parte delle navi di superficie. Le BTG consistevano in cilindri metallici pieni di esplosivo (tritolo o fulmicotone), di peso variabile tra i 50 e i 125 kg. Nella seconda Guerra Mondiale le BTG erano in effetti l’unica arma disponibile alle navi per attaccare i sommergibili nemici, anche se spesso erano utilizzate solo a scopo intimidatorio. Pur essendo ordigni micidiali per i sommergibili (essendo infatti l’acqua incomprimibile, le esplosioni subacquee si ripercuotevano sugli oggetti immersi anche a notevole distanza dall’esplosione), la reale efficacia delle BTG era molto limitata dal fatto che il lancio avveniva prevalentemente alla cieca o solo parzialmente guidato dagli ecogoniometri di quelle poche unità della Marina che ne erano fornite. Quindi il successo o l’insuccesso dell’attacco era più che altro legato alla fortuna e all’abilità dei due comandanti impegnati nello scontro, ma spesso il lancio aveva anche lo scopo di impedire al sommergibile di iniziare o continuare il proprio attacco e costringerlo invece alla difesa e alla fuga [Notizie da Wikipedia – NdR]

(Il Diario del Nonno (5) – Continua)