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S. Silverio

[1]di Gino Usai

Io credo che l’imperatrice Teodora non possa essere ridotta alla semplice figura di donna corrotta e impudica come ci capita di leggere in tanta letteratura. Un ritratto un po’ approssimativo, a mio modesto parere. La figura di Teodora è ben più possente e positiva di quanto non si dica, e ancor più quella di suo marito, l’Imperatore Giustiniano. Non si può dimenticare che Giustiniano, insieme al grande progetto (naufragato) di ripristinare  l’unione dell’impero romano, è l’uomo che nel 535 havarato il Corpus iuris civilis, ossia la raccolta normativa che ricomponeva l’ormai disperso diritto romano. Un corpo giuridico che è tuttavia alla base del diritto civile nei paesi più avanzati.

Ma oggi non è il momento giusto per fare analisi storiche. Oggi è giorno di fede e di preghiera. E di passione: quella passione popolare che ha reso S. Silverio il nostro “vecchiariello”, che ci segue sempre e ci consola, propizio in ogni ora, il nostro compagno di sventure, l’amico, il compagno, l’uomo della porta accanto. Quel meraviglioso S. Silverio plasmato dalla devozione e dalla fantasia popolare fattasi tradizione. Quella tradizione che coll’affermarsi dei tempi moderni tende a sfiorire e a cadere inesorabilmente nell’oblio. Contro questo oblio, voglio proporre un meraviglioso racconto popolare – letteratura vera, poesia assoluta – raccolto nel gennaio del 2003 dalla viva voce di Eleonora Mazzella, classe 1923.

La regina Teodora era innamorata di S. Silverio, che era un bellissimo uomo.

S. Silverio un giorno le disse: “Io sono papa e non mi posso fidanzare con te”.

Teodora, indispettita da questa risposta, raccontò al Re che S. Silverio l’aveva tentata. Allora il Re lo punì severamente esiliandolo a Palmarola.

A Palmarola, S. Silverio scavò una grotta per accamparsi e ripararsi dal freddo e, accanto alla grotta, in prossimità del faraglione, scavò un pozzo per raccogliere l’acqua. Viveva mangiando erbe. Accendeva il fuoco e sui sassi metteva a cuocere le verdure. Poi conservava la brace sotto la cenere, affinché il fuoco non si spegnesse mai.  Ma S. Silverio non conoscendo quali erbe erano buone, mangiava quello che capitava. S. Domitilla un giorno andò a trovarlo e insieme andarono a pescare sugli scogli. Poi raggiunsero i campi  e S. Domitilla gl’insegnò a raccogliere le erbe buone da mangiare.”

***

Io credo che a Palmarola allo stesso modo vivessero Cirillo e Civitella ‘a Cantinera. Ma questo in un tempo ormai lontano, quando a Palmarola c’erano ancora la fiaba e la magia, l’incanto e la poesia,  il diavolo e i munacielli. E S. Silverio, che pontificava su tutto dalla cima del faraglione.

Gino Usai