Attualità

Sotto il Monumento (3)

di Franco De Luca

 

Ci sono compaesani, amici, che sotto il Monumento consumano una stazione obbligata della loro passeggiata mattutina.

Uno di questi è Michele Rispoli, col quale mi intrattengo non fosse altro che per sollecitare le sue critiche pungenti. È uno spirito libero che non si autocensura.

Fra gli argomenti toccati, come si pizzica una chitarra, provando accordi e accenni di motivi e mai una canzone per intero, fra gli argomenti, dico, abbiamo parlato della politica.

Con dei limiti molto precisi. E sì perché c’è chi usa la parola  “politica”  come sinonimo di  “potere”. Perché ci si butta in politica ? Per avere  “potere”, ossia possibilità di conoscenza, di decidere su quanto tocca l’interesse privato e pubblico (indistintamente). Avere possibilità di sapere ciò che bolle in pentola, di conoscere i cointeressati alla cosa, di intravvedere le corsie per raggiungere lo scopo.

Politica come gestione del potere. È quanto si evidenzia ogni giorno dalla cronaca, nazionale o locale.

Fare politica si concretizza nel decidere su quanto l’organizzazione civile esige, chiede, desidera. E che le istituzioni pubbliche permettono, operano, organizzano.

Il politico non deve possedere alcuna  sensibilità particolare,  né competenza professionale particolare; ha come principio di discernimento soltanto il suo: la sua parte, la sua consorteria, il suo bacino elettorale, il suo interesse.

Nessuno gli ha chiesto criteri diversi, nessuno gli contesterà altri.

Se sbaglia è perché non ha accontentato la sua parte, la sua consorteria, il suo bacino elettorale, il suo interesse.

Il potere esaurisce ogni altra funzione. Gli esiti di tale potere sono secondari e…  in ogni caso possono essere mistificati, manipolati, scambiati.

Questa era la tesi “pragmatica”, quella che circola abbondantemente nelle opinioni correnti.

Ad essa era contrapposta quella che focalizza la funzione “politica” nel “bene comune”. Ovvero il fare politica significa mettersi dalla parte della “comunità”, spogliarsi (per quello che si può) della veste individuale e imporsi di guardare a quanto apporta migliorie al vivere comune; a quanto riesce ad armonizzare gli interessi individuali in un interesse comune.

Il potere non è fine a se stesso ma strumentale ad obiettivi sociali, culturali, economici, estetici.

Quale tesi è da scegliere?

L’età ha insegnato che ognuna delle due  isolatamente genera storture.

La pragmatica dà alla politica la veste “affaristica”;  la ideologica tramuta la politica in “settaria”.

Una commistione fra le due è quella che meglio si addice alla natura umana.

Questo finché si rimane sul piano teorico, delle argomentazioni, perché l’agire umano è frammisto di tante motivazioni psicologiche e fra di loro c’è quella che Michele, folgorante, getta nel dialogo: “pe fà politica ce vò tanta uallera!”.

Cosa sia di preciso questa, che non è proprio una categoria concettuale, lascio ai lettori discernere.

 

Francesco De Luca

2 Comments

2 Comments

  1. polina ambrosino

    28 Maggio 2012 at 21:34

    Parma insegna: dopo la fine del colosso Parmalat, ormai moribondo il suo fondatore, caduta la giunta per illeciti vari, la vecchia politica è stata messa all’angolo da un KO tecnico ad opera di un giovane ingegnere, un “grillino”. Movimento 5 stelle a parte, la gente ha votato chi ha saputo farsi un seguito senza fondare un partito come i vecchi partiti oblsoleti, chi, almeno fino a prova contraria, dichiara di voler essere TRASPARENTE, a partire dal fatto che indirà un referendum cittadino per chiedere alla gente quali tagli intende fare per risanare il bilancio del comune, dovendo appunto fronteggiare una situazione economica disastrosa lasciata dagli ex governanti i politici della vecchia guardia, i politici che hanno fatto in modo da avere rimborsi elettorali, auto blu, privilegi per viaggi gratis, per spese folli, per cose inaudite in un paese in agonia. Tutto ciò a dire che la politica VA RESETTATA TUTTA: tutto ciò che finora è stato propagandato come politica ha dimostrato essere solo una corsa al privilegio. In passato il popolo manteneva nobili, re, vassalli, valvassori e valvassini. Noi del XX secolo manteniamo ministri, senatori, deputati, sottosegretari, segretari dei sottosegretari, portaborse, autisti, guardie del corpo, portieri e camerieri del parlamento, uffici stampa, amiche varie, figli e parenti di tutti costoro fino alla settima generazione… Insomma, forse siamo più SERVI DELLA GLEBA OGGI CHE NEL PEGGIORE MEDIOEVO. Quindi, guardando con occhiali verde speranza al nuovo corso parmense, sarebbe il caso di mettere all’angolo tutta questa casta parassita e ignobile una volta per sempre.
    Per Ponza dobbiamo pretendere la trasparenza negli atti, la collaborazione e la vicinanza al cittadino. Per L’Italia non votare più per i soliti partiti che ormai sono una casta privilegiata. Altrimenti siamo il solito popolo da chiacchiera in piazza, da filosofia dell’aperitivo, che viene dimenticata già all’ora di pranzo quando “chi ci dà da mangiare ci è padre”… Per cambiare ci vuole coraggio, e si sa: chi non ce l’ha non se lo può dare e sarà servo del Don Rodrigo di turno.

  2. Michele Rispoli

    22 Giugno 2012 at 12:14

    Caro Franco,
    leggendo e rileggendo la tua lezione di politica, ho pensato: “meno male che ha rinunciato alla sua idea”.
    La lezione di politica, scritta in perfetto italiano, è in forte contrasto con il mio modo di pensare, parlare, capire e soprattutto scrivere.

    Meno male che alla fine ti sei espresso in dialetto ponzese, così ho potuto capire qualche cosa anche io, misero ed ignorante .

    Non ho mai sostenuto che per fare politica a Ponza occorresse la uallera.
    La uallera a Ponza la tiene chi perde le elezioni. Io sono nu’ uallaruso.

    Per fare politica a Ponza ci vogliono le palle, Giosuè, cosa ben diversa.

    Un abbraccio,
    Michele Rispoli

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