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I miei viaggi. La Sierra Leone (2)

di Lino Catello Pagano

Per l’articolo precedente, leggi qui [1]

Venni presentato a un parroco speciale, Padre Giuseppe Berton, nato a Marostica (Vicenza) nel 1932, da quaranta anni missionario saveriano in Sierra Leone, laureato a Glasgow in filosofia morale e logica. Dal ’64 al ’66 comincia la missione in Sierra Leone, e nel 1972 vi si stabilisce definitivamente; nel 1985 inizia a Bumbuna il Family Homes Movement (movimento case famiglia, un gruppo di famiglie locali che ospitano in casa propria o assistono presso due case di prima accoglienza minori di tutte le età) riconosciuto dallo Stato nel 1996; nel 1997 apre a Lakka – nella penisola di Freetown – un centro di accoglienza finalizzato al recupero di orfani ed ex-bambini soldato.

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Padre Bepi è ancora attivo con la sua Missione, come ho potuto vedere in questa presentazione di pochi anni fa

Assistetti ad una Messa non fatta dal parroco, ma dalla popolazione. Padre Bepi, così voleva che lo chiamassero gli amici, ci disse: – Fanno tutto loro, io sono qui per leggere il Vangelo, per il resto fanno tutto loro. Iniziavano alle nove del mattino e terminavano quando erano stanchi, a volte all’una, a volte si arrivava fino alle due del pomeriggio con musiche, balli, canti; era magico e stancante, provavo qualcosa che non avevo mai provato. Mi sentivo partecipe di quella popolazione semplice, che viveva con pochissimo: un pugno di riso, un pesce essiccato al sole, la manioca, i safù – piccoli frutti neri con nocciolo, che vanno messi nell’acqua bollente per 3 o 4 minuti per poterli spellare e hanno un gusto pastoso e di limone – ed il fufù – un semolino di vari cereali selvatici, dal gusto di pane abbrustolito.

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Il ‘safù’. Questo frutto, diffuso nell’Africa tropicale e equatoriale è chiamato Safù (ma anche Zafù). Nome botanico Dacryodes edulis (Fam. Burseraceae); è ricco di aminoacidi e trigliceridi. Viene bollito e servito come accompagnamento ad una portata principale. Il suo colore tende al viola scuro come le melanzane. Al suo interno la polpa è verde brillante, di colore e consistenza tipo quella dell’avocado, dal sapore amaro-acido; ha anche un nocciolo, simile nella forma a quello dei datteri.

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Padre Berton, un prete fuori dal tempo, guidava un pick up bianco tutto abbozzato; gli chiesi come mai tutte quelle botte alla sua macchina e lui, con un sorriso a 52 denti, rispose che ogni tanto investiva qualche capra, però prima di investirla diceva: – Signore perdonala perché non sa quello che sta facendo.

Mi raccontò della movimentata costruzione della chiesa: vi erano dei binari nella vicina cittadina di Makeni; la strada ferrata era abbandonata, da quando gli inglesi avevano lasciato il paese. Andavano di notte a portar via un binario per volta perché erano pesanti. Notte dopo notte, avevano accumulato la quantità di binari che bastava alla costruzione della Chiesa; con dodici binari vennero fatte le capriate della cupola, a mo’ di capanna indiana, poi vennero costruiti i muri esterni, il pavimento in cemento, un crocifisso fatto dai locali e pitturato di nero, come pure la Madonna; i muri erano tutti affrescati da pitture naïf fatte da pittori locali.

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Si parlò del più e del meno, mi disse che ci saremmo visti tutti i giorni a pranzo, mi diede un consiglio: entrando in casa, avrei dovuto guardare attentamente negli angoli perché i serpenti passavano dalle fessure delle porte – lì di serpenti velenosi ne ho visti tantissimi – inoltre mi raccomandò di scoprire tutto il letto, perché i serpenti si intrufolavano sotto le coperte per stare caldi.

Per me, che odiavo i serpenti, pensate che allegria!

Nei giorni successivi al mio arrivo incontrai il capo cantiere e signora, il capo responsabile di tutti i mezzi e, via via, tutti i dirigenti operativi e amministrativi…

 

Lino Catello Pagano

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[Per la serie “Ponzesi che viaggiano”. I miei ricordi. La Sierra Leone (2) – Continua]