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Sogno

di Lino Catello Pagano

 

Quando sei bambino, i genitori ti accompagnano tenendoti per mano; ora io affido me stesso al Sogno e gli chiedo di portarmi lontano, a vedere le cose più belle con gli occhi di un ragazzino. L’isola incantata della mia infanzia, tra faraglioni e cattedrali nel mare, spiagge con falesie altissime dove lo sguardo si perde, calette nascoste… Di farmi rivedere gli anfratti più dimenticati della costa, le grotte nascoste, le antichità Romane… Di farmi ripercorrere la strada che porta al Faro, laggiù, lontano… a Guardia del mare.

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E poi voltarmi dall’immenso palcoscenico del Faro, e vedere là i vigneti abbarbicati sopra la Punta chiamata Fieno; rivivere l’immenso piacere di sedere al fresco delle vecchie cantine vicino al mare, dove incontrerei quei vecchi saggi che con amore e fatica hanno speso qui la vita. Quei vecchi che sembravano di ferro, seppur piegati dalle fatiche, antichi stampi depositari di valori e resistenza.

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Sogno, fammi essere ancora il ragazzino che correvano a perdifiato per le strade dell’isola, con la gioia e l’orgoglio di farne parte.

Fammi riascoltare la voce del mare, dove gli antichi Romani non esitarono  a scavare la roccia fino a sbucare dall’altra parte; quello che poi è diventato “il tunnel dell’amore” …chissà quanti baci rubati nella sua oscurità!

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Fammi cavalcare ancora quelle tue onde maestose che si arrotolavano nella battigia tra mille risate e altrettante bevute di acqua salata.

Portami per mano tra i tuoi vicoli colorati o bianchi di calce. Dammi ancora una volta la possibilità di sentire il profumo del pane fresco appena sfornato e delle brioche che faceva Temistocle, di cui si assorbiva l’odore di buono già da lontano.

Tienimi la mano e stiamo qui affacciati da sopra il porto, e aspettiamo il rientro dei pescatori con il loro pescato, le narici pervase di quell’odore di salsedine.

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Dammi ancora una possibilità  di riascoltare il vocione del vecchio parroco che un po’ spronava, un po’ comandava di andare a Messa, e fammi assistere ancora una volta alla sua ‘Messa cantata’ di cui noi giovani sentivamo di essere parte integrante…

Parlami di quel Santo Papa del passato, portato da lontano a morire di stenti qui da noi, e oggi che è il nostro Protettore, fammi cantare a squarciagola assieme ai miei compagni il suo inno… e sentire le calde lacrime che mi scorrono per il viso per la gioia di appartenere a quella comunità.

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Fammi ritornare per un attimo ad occhi chiusi in fondo all’isola dove profumava di Incenso, per vederla da lontano distesa e adagiata sul mare blu. Vorrei tuffarmi ancora nelle verdi acque alle piscine naturali; stare lì disteso al sole ad asciugarmi prima di riprendere la salita: quante sudate per arrivare in cima, dove corre la strada che porta verso casa.

Accompagnami con un cero acceso lungo la stradina stretta che porta sopra alla collina del Cimitero dove i nostri avi riposano.

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Sono stanco di questo viaggio e il mio passo è lento e faticoso, ma di te, Isola, ho questo ricordo colorato e odoroso, di ginestre gialle e garofani rossi, di citronella e gerani rosa, di salsedine e muffa… Sì, tante cose inaspettate nascoste tra vicoli e salite, dietro i muri bianchi e tra le case…

Di chi è nato da te, mia isola, dicono che ha sangue ’i rutunne, ma non è così…

Noi isolani sanguigni  e orgogliosi profumiamo di te, isola meravigliosa! 

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Lino Catello Pagano