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Informazioni di base sulle droghe d’abuso (7). Gli Oppiacei (2)

di Sandro Russo

 

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Il principale centro di produzione dell’oppio, “uno dei più preziosi gioielli della corona della regina Vittoria” – fu realizzato in India vicino alla città di Ghazipur, a un’ottantina di chilometri da Benares: circa 18 ettari sulle rive del Gange dedicati alla coltivazione del papavero e lo stabilimento per produrre dalle sue capsule l’oppio.

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La raccolta veniva effettuata dalle donne, mentre gli uomini erano impiegati nello stabilimento

È del 1600 la costituzione della Compagnia Inglese delle Indie Orientali (British East India Company) da parte della regina Elisabetta I d’Inghilterra con un atto che accordava ad essa il monopolio del commercio nell’Oceano indiano. La ‘Compagnia’, dominata da famiglie di ricchi commercianti scozzesi e inglesi, divenne ben presto potentissima, tanto da sopraffare le consimili organizzazioni olandese e francese nel commercio delle spezie, del thè e della seta. Stabilì avamposti in India e in Cina e gestì in definitiva l’espansione commerciale – che spesso significava la politica tout-court – del Regno Unito nel continente asiatico. Essa segnò profondamente le fortune e l’evoluzione dell’Impero britannico.

“…Dal suo quartier generale di Londra, la sua straordinaria influenza si diffuse a tutti i continenti: la Compagnia presiedette alla creazione dell’India britannica, il cosiddetto Raj, fondò Hong Kong e Singapore, ingaggiò Capitan Kidd per combattere la pirateria, impiantò la coltura del thè in India e in Sri-Lanka, tenne Napoleone prigioniero a Sant’Elena, e si trovò direttamente implicata nel celebre Boston Tea Party che funse da detonatore per la guerra d’indipendenza degli Stati Uniti. […] …Verso la metà del XIX secolo, la dominazione della Compagnia si estese sulla maggior parte dell’India, sulla Birmania, su Singapore e Hong Kong; un quinto della popolazione mondiale passò così sotto la sua autorità. La Compagnia inoltre occupò le Filippine e realizzò la conquista di Giava…” [da ‘Wikipedia’].

La Cina e il Giappone rimanevano però refrattari ai tentativi di penetrazione e al commercio. Non solo: il thè di produzione cinese, come pure le sete, venivano fatte pagare a caro prezzo agli occidentali.

In Cina la conoscenza del papavero aveva origini antichissime: il suo uso terapeutico è ben documentato, mentre l’uso ricreazionale si sviluppò a partire dalla dinastia Ming (1368-1644), come mezzo adatto a facilitare gli stati meditativi nel taoismo. Questa pratica rimaneva peraltro limitata a gruppi circoscritti e non causava problemi.

Più che l’oppio, in Cina costituiva un problema economico e sociale la diffusione del tabacco, importata dalle compagnie occidentali dal Nuovo Continente. Quando l’imperatore Yung Chiang nel 1729 vietò l’uso del tabacco da fumo, che i cinesi usavano mescolare all’oppio, si iniziò a fumare oppio puro. Il rimedio si dimostrò quindi peggiore del male: il consumo di oppio aumentò tanto che all’inizio dell’800 i fumatori di oppio in Cina erano milioni.

Con puro spirito commerciale, la Compagnia identificò a quel punto nell’oppio l’unico interesse di quel paese poco propenso agli scambi e vi cominciò ad importare enormi quantitativi di oppio di produzione indiana  (prodotto appunto nello stabilimento di Ghazipur).

È interessante leggere gli eventi mondiali alla luce delle motivazioni commerciali che li hanno determinati: lo sforzo della Cina per mettere fine a questo commercio scatenò la prima guerra dell’oppio fra Cina e Inghilterra (1838), che fu seguita da un’altra, nel 1856. L’esito fu scontato a favore della più grande potenza navale del tempo e la Cina dovette accettare condizioni particolarmente onerose e mutilazioni territoriali.

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Guerre dell’oppio: due distinti conflitti: 1839-1842 e 1856-1860. Fregate a vapore munite di cannoni contro sampan di legno

Ma torniamo all’oppio e ai paesi occidentali.

A differenza dell’ampia diffusione popolare del consumo dei preparati dell’oppio in Oriente – ben documentate nel XVI sec. in Turchia e in Egitto; in Cina, come abbiamo visto, nel XVII sec. – in Occidente il consumo non si era esteso e l’oppio aveva mantenuto per lungo tempo delle applicazioni quasi esclusivamente mediche. L’introduzione e l’allargamento del consumo furono – soprattutto in Inghilterra – sponsorizzati da una classe medica entusiasta nonché prima fruitrice delle sue benefiche virtù.

Thomas Sydenham, un grande medico inglese del seconda metà del Seicento definiva l’oppio “la santa ancora della vita” e ringraziava l’Ente Supremo per aver elargito i prodotti del papavero all’umanità come sollievo: “…nessun altro rimedio è altrettanto potente nello sconfiggere un gran numero di malattie, o addirittura nello sradicarle”. Un suo allievo Thomas Dover, elaborava un preparato contro la gotta a base d’oppio, la “Polvere di Dover” che diveniva uno dei farmaci più usati del XVII secolo.

La diffusione dei preparati dell’oppio in Europa fu inizialmente un fenomeno limitato, che interessò le avanguardie artistiche e intellettuali. Successivamente gli interessi commerciali e l’avvio della produzione industriale di farmaci favorirono la proliferazione di rimedi a base d’oppio; sciroppi, cordiali e polveri dai nomi familiari ed accattivanti, come ‘Sciroppo dolce della signora Winslow’, ‘Elisir all’oppio di McMunn’, ‘Cordiale Godfrey’, e molti altri. Reclamizzati su giornali e riviste, fortemente sostenuti dalla classe medica, i preparati a base d’oppio rappresentavano i prodotti più acquistati nelle farmacie, dove erano di libera vendita.

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Lo ‘Sciroppo dolce della signora Winslow’, contenente laudano, era consigliato per i dolori della dentizione. Questi preparati erano anche largamente usati per ‘tener buoni i bambini’ per tempi prolungati: induceva in essi un vero stato soporoso! – ma fu fondamentale per permettere il lavoro femminile nelle fabbriche, agli inizi della ‘rivoluzione industriale’

Vennero a sovrapporsi, tra il XVIII e il XIX sec. in Europa, ma soprattutto in Inghilterra, gli effetti dell’offerta – preparati di oppio a basso costo prodotti in abbondanza nelle colonie – e della domanda, da parte di una masse popolari sottomesse e impoverite, recentemente inurbate, agli albori di quella che fu poi chiamata ‘prima rivoluzione industriale’.

L’oppio cominciava ad essere usato non più soltanto come analgesico, ma soprattutto – come l’alcool (rispetto al quale era venduto a prezzi di gran lunga inferiori) – a scopo di evasione. Favorita dalle peculiari proprietà farmacologiche dell’oppio – capace di indurre tolleranza e dipendenza nei consumatori e quindi determinare l’obbligo e l’aumento del consumo – l’oppiomania si diffuse presto come una vera piaga sociale, raggiungendo e superando per gravità il fenomeno dell’alcolismo.

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La diffusione dell’oppio nell’Inghilterra dell’Ottocento – ‘Opium tincture’, ‘Laudanum (poison)’ e una fumeria dell’East End di Londra (da una incisione del 1874). L’assunzione dell’oppio ‘per fumo’ era tipica degli immigrati cinesi; ‘i bianchi’ che frequentavano le fumerie d’oppio erano considerati con riprovazione

L’abitudine di fare uso dell’oppio era largamente diffusa anche tra gli intellettuali e tra i letterati, soprattutto inglesi: Samuel Coleridge, George Byron, Percy Shelley, Walter Scott, John Keats e  Charles Dickens facevano uso, saltuario o continuativo, dell’oppio da fumo e del laudano per curare i mal di capo, l’insonnia, l’ansia.

Con l’avvio della rivoluzione industriale – fra il 1760 e il 1830 -, in Inghilterra si registrava una vera e propria esplosione del consumo di oppio, che si estendeva successivamente a tutta l’Europa e agli Stati Uniti. L’uso di tale droga perdeva il carattere limitato che aveva sempre avuto nella storia e dava luogo a situazioni molto simili a quelle che si verificano oggi per l’uso dell’alcool nel nostro paese, con consumatori occasionali e sporadici; individui farmaco-dipendenti, tuttavia socialmente accettati con una vita di relazione nei limiti della normalità; infine piccoli gruppi di tossicomani completamente dipendenti dalla droga, che però non rappresentano un grave pericolo sociale, data la loro scarsa consistenza numerica.

I dati sulla diffusione e il commercio dell’oppio – sia nella Cina dell’Ottocento che nell’Inghilterra agli albori della rivoluzione industriale – sono un esempio eloquente di come sia l’offerta delle droghe a creare la domanda, e non viceversa. Essi dimostrano ancora una volta che il ruolo svolto dai fattori economici e politici sul consumo delle sostanze psicoattive e sulla dipendenza è preponderante rispetto ai fattori di carattere bio-farmacologico.

Di fatto la tossicodipendenza da oppiacei non diventò un vero problema sociale fino agli anni immediatamente successivi al 1860, quando la morfina – in particolare la morfina iniettata – diventò l’oppiaceo preferito.

Solo allora – negli ultimi decenni dell’Ottocento e ancor più agli inizi del Novecento – gli effetti devastanti dell’oppio e dei suoi derivati iniziarono ad essere percepiti in tutta la loro gravità dall’opinione pubblica inglese europea e americana.

Di questo parleremo nella terza e ultima parte dedicata alla storia degli oppiacei.

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Nota
Una straordinario libro sull’epopea del papavero da oppio è Mare di papaveri, un romanzo dello scrittore indiano Amitav Ghosh, pubblicato nel  2008, primo volume di una serie (seguito da Il fiume dell’oppio): la trilogia Ibis.

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