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Guido Galimberti

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Guido Galimberti

di Gino Usai

In questo preziosissimo giorno di festa della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo e di riconquista della Libertà, il mio pensiero va a tutti quei confinati politici che dal 1928 fino al 1939 (e alcuni fino al 1943), languirono nei nostri Cameroni per scontare la “grave colpa” di essersi opposti al fascismo. Chissà quante volte i nostri padri e i nostri nonni li avranno visti passare lungo il corso quei confinati, sempre cordiali e combattivi. E senza poterli avvicinare, chissà quante volte si saranno chiesti – senza riuscire a darsene risposta – perché ce l’avevano tanto con quel buon padre di Mussolini, che aveva ridato dignità alla patria e fatta grande l’Italia. Eppure in quella caparbietà ad opporsi, incompresa dai molti, si nascondeva il germe della Liberazione e del riscatto nazionale.

Quando nel settembre del 1943 riacquistarono la libertà in seguito alla caduta del fascismo, nessuno di quei confinati se ne tornò tranquillamente a casa. Dopo anni e anni di carcere e confino avrebbero potuto dire al mondo “abbiamo già dato…adesso basta! Tocca ad altri continuare la lotta”. Nessuno di loro si tirò indietro e continuarono a combattere per la vittoria finale. Confluirono tutti nella Resistenza che si stava organizzando nel Centro-Nord Italia. Ma non tutti riusciranno a vedere quel luminoso 25 Aprile del 1945 e godere della libertà, della democrazia e della pace che avevano conquistate. Tra i tanti confinati che sono passati per Ponza e che hanno fatto la lotta partigiana, oggi vorrei ricordare la figura di Galimberti Guido, uno  dei meno noti.

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Guido Galimberti era un operaio impiegato in uno stabilimento industriale a Redona (BG). Era nato a Chignolo d’Isola, in provincia di Bergamo, il18 febbraio 1906. Aderisce fin da ragazzo al partito comunista e per questo motivo viene confinato a Lampedusa, Ustica e Ponza dal 1926 al 1933. Fu tra i primi confinati a giungere a Ponza, insieme a Amedeo Bordiga e Leo Valiani.

Tornato a casa, viene nuovamente arrestato e incarcerato per 6 mesi al  San Vittore di Milano. Dopo l’8 settembre 1943 con Ettore Tulli assaltala Prefetturaper impossessarsi di armi e si rifugia a Santa Brigida, del Patronato “San Vincenzo” di don Bepo Vavassori.

Successivamente si unisce ai partigiani della 53ª Brigata Garibaldi “13 Martiri della Lovere”, dislocata nel Bergamasco, col nome di battaglia di “Barbieri”.  È assegnato alla squadra comandata da Giorgio Paglia e  prende parte a tutti i più importanti scontri con le forze nemiche della zona. Il17 novembre 1944  una parte della squadra è sorpresa alla Malga Lunga (sul Monte di Sovere) dai reparti della legione repubblichina “Tagliamento”. Nello scontro a fuoco che segue, i partigiani hanno la peggio ed i pochi sopravvissuti alla battaglia vengono catturati. Due di loro, il russo Starich e Mario Zeduri, entrambi feriti, vengono finiti sul posto;  gli altri sette sono  portati a Lovere. Il 19 novembre il Tribunale Speciale della Legione “Tagliamento” li processa e condanna a morte.

Il21 novembre 1944, Guido Galimberti viene fucilato a ridosso del cimitero di Costa Volpino assieme a Giorgio Paglia (che rifiuta la grazia), Andrea Caslini e i russi Semion Kopcenko, Alexander Nogin e Ilarion Eranov,  da un plotone d’esecuzione composto da militi della stessa Legione “Tagliamento”. Dopo la strage, la 170ma Brigata Garibaldi assunse il nome di “Guido Galimberti”.

Dopo la liberazione, il rifugio della Malga Lunga è stato adibito a Museo della Resistenza, mentre a Galimberti il Comune di Bergamo ha intitolata una via della città.

Prima di essere fucilato, gli venne concessa la possibilità di scrivere ai suoi familiari:

Lovere, 21/11/1944

Cara mamma,

non piangere se non mi rivedrai su questa terra, questo è il nostro destino, muoio da soldato e da Italiano, non portarci odio a nessuno di questi che mi uccidono, perché sono gli unici soldati che ho trovato nel mio cammino. Ti saluto e baci cari, credo che sarai forte.

Tuo figlio Guido.

Addio!

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Cara moglie,

anche per me come per la Mamma stai forte, credevo di farti felice invece ti ho tormentata e ti ho procurato dispiaceri, coraggio!

Ti raccomando le bambine che siano educate bene e che imparino ad amare l’Italia e che diano se occorre anche il sangue, tanti saluti e un addio

 tuo marito.

Le fotografie delle bambine le porto con me nella fossa. Forse ti verrà restituito il mio orologio e l’anello, li custodirai. Un addio a tua mamma, padre e fratello e parenti.

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Care bimbe,

ora non potete leggere questo mio ultimo saluto, ma lo leggerete un tempo nel quale potrete comprendere allora apprenderete in questo foglio la morte di vostro padre e saprete che è morto da soldato e da Italiano e che ha combattuto per avere un’Italia libera. Spero che non piangerete quando leggerete questo mio scritto. Addio bimbe e che un bacio giunga a voi, spero che quando sarete grandicelle mamma vi farà imparare ad amare l’Italia.  L’amerete con tutto il cuore, addio.

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Cari fratelli, nipoti, cognati e parenti tutti,

vi do il mio saluto ed auguri che voi possiate vedere l’Italia libera e non più calpestata dal nemico. Addio a tutti.

Un addio alle suore dei Celestini.

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Dobbiamo riscoprire la storia del Confino politico a Ponza, che è stata una cosa molto più seria e drammatica della parodia delle magliette che hanno fatto tendenza l’estate scorsa sull’isola. A Ponza sono passate centinaia e centinaia di Confinati che hanno sacrificato la vita e la loro gioventù per l’Italia. Molti di loro ci sono particolarmente vicini per aver sposato delle ragazze di Ponza, entrando così nelle nostre famiglie e nella nostra storia. Non li possiamo dimenticare, non li dobbiamo dimenticare!

Colgo l’occasione di questo 25 Aprile per invitare Maria Conte a raccogliere materiale su suo zio, il confinato Antonio Camporese che sposò la ponzese Carolina Guarino, e organizzare per la prossima estate, insieme a Ponza Racconta, un convegno sulla figura di questo grande uomo e di sua moglie, per insegnare ai giovani e a chi ha dimenticato che la nostra democrazia e la nostra libertà le dobbiamo in gran parte a loro.

Camporese cadde a Padova, a Porta Savonarola, nell’ultimo scontro armato contro i nazifascisti in ritirata. Era il28 aprile 1945; proprio quel giorno Padova venne liberata.

Buon 25 Aprile!

Gino Usai