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Il riflesso di accudimento. La stagione dei piccoli ricci

di Sandro Russo

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La natura ha predisposto i suoi trucchi per convincere i grandi ad accudire i piccoli.

Per esempio, è un riflesso insopprimibile, scatenato dall’arancio delle gole spalancate dei piccoli nidiacei, a stimolare mamma uccello a ripetuti viaggi al nido, con vermi e mosche fino ad esaurimento, finché quelle bocche implacabili (e insaziabili) rimangono aperte.

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Ed è un ormone, la prolattina, l’ormone dell’accudimento, che rende così sensibile la madre al pianto, e anche solo al respiro del suo bambino. Alcuni che sono stati medici o infermieri possono capire meglio: quel senso di adempimento che porta a assistere con sollecitudine il sonno di un paziente, finalmente tranquillo dopo una notte agitata.

È una specie di riflesso ancestrale quello che impedisce al cane e al lupo di colpire a morte il contendente sottomesso, che alla fine di un combattimento perduto si espone indifeso.

La natura non si è fidata della buona volontà delle sue creature. E ha stabilito degli imperativi.

Ricade in questa categoria di processi naturali ‘l’obbligo’ di sentirsi responsabili e ‘prendersi cura’: dei piccoli, dei più deboli; e per estensione, dei giovani della propria specie; ma anche degli uccelli che cadono dal nido e dei ricci che attraversano la strada.

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Forse non è un caso che ad una certa età si comprendano alcune cose che non erano evidenti prima, o non lo erano con la stessa forza.

Come se l’uomo, giunto ad un punto cruciale della sua evoluzione – mai prima d’ora aveva avuto tra le mani la possibilità di distruggere il suo stesso pianeta – sentisse di dover prendere tra le mani il destino e cominciare a curarsi di quel che ha intorno.

Come se avviandosi al compimento della propria vita di individui, la sopravvivenza della specie e del mondo intorno stesse ancora più a cuore; l’urgenza di imparare a leggere gli eventi naturali con il supporto della ragione, di cui la specie umana tanto si è compiaciuta…

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In questo contesto ripensavo ad alcune cose lette in questi giorni sul sito.

L’opera di un gruppo di giovani, biologi o semplici appassionati, che con semplicità e modestia si sta occupando, qui da noi, del censimento e inanellamento degli uccelli (leggi qui [5]).

…Lo stesso fiorire di articoli ed iniziative che riguardano una della parti più abbandonate della nostra isola. Quasi a renderla quasi viva, e bisognosa di attenzione…

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Così scrive Enzo (leggi qui [7]):

“…Ecco, in quel profilo “scolpito” nella punta (prora) di un faraglione sulla cui sommità c’è un faro morente io ci ho visto una polena, immagine evocativa e contraddittoria per essere insieme il testimone triste di vicende passate di cui sono rimasti solo i ricordi ed il guardiano perenne che la natura ha regalato ad  un luogo così bello, quasi per scongiurarne l’abbandono.

E così Polina (leggi qui [8]):

“…Chissà, se il Faro della Guardia potesse parlare, cosa direbbe di noi!

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Piccoli fatti e parole che, a volerli leggere in una prospettiva più ampia, indicano una rinnovata attenzione al “prendersi cura”, passato il tempo del disinteresse e della dissipazione. Piccoli segni che possono diventare simboli di grandi cose…

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