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Domenico Antonio Contatore. La prima Storia di Terracina (3)

[1]A cura di Silverio Lamonica

 

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È provato che la verginità sia amica a Dio Padre, al Figlio e intima allo Spirito Santo. Infatti, come la Regina precede tutte le nobili ed illustri matrone, così anche la Verginità trascende la dignità di tutte le virtù, e tenendo il secondo posto dopo i martiri, tra le altre virtù è pure la prima. Tutte le virtù, infatti, sono al suo servizio, e quasi come sue ancelle regali, obbediscono ai suoi comandi. La Fede la blandisce, la Speranza l’abbraccia, la Carità la bacia; e tutte quelle che sono al cospetto del Re dei Cieli: la pazienza, la perseveranza, la costanza, il disprezzo delle cose terrene, l’accortezza, l’ospitalità, la misericordia, la sollecitudine, la scienza, la verità, l’onestà, la tolleranza, tutte queste virtù che sono state menzionate e quelle non ricordate sono al suo servizio. Tra le fronde del Paradiso e i fiori immarcescibili della vita eterna, tra i boschi degli Angeli e i prati ombrosi seminati d’ambrosia ed esalanti sacri profumi; dove le narici respirano la vita eterna, dove la stessa aria ha l’odore della virtù, e chi le respirò con le proprie narici non si potrà mai rattristare, né alcuna infermità, dolore, tristezza potranno avere su di lui alcun dominio, l’anima sarà sempre felice ed esultante e sempre sicura della sua vita immortale”.

Achilleo aggiunse: “Le cose che mio fratello ha ricordato sono quisquilie, come se da un fiume immenso di togliesse uno staio contenuto nell’immenso seno, e non si potrebbe calcolare quanto sia superiore la misura della stessa acqua, così di certo nessuno è in grado di spiegare quale sia  la futura felicità e le gioie della sua vita (che verrà) perché nessun pensiero può arrivarci, nessuna dissertazione può comprendere. Voglio inoltre  non tralasciare anche questo aspetto, perché anche qui, in questo secolo, la Verginità non perde la sua nobiltà, non teme l’audacia del maschio, non è sottomessa all’uomo corruttore, che insozza chi è pura, che dissuggella chi è custodita, che infrange l’integrità, che cattura chi è libera e con la violenza rende schiava della sua libidine colei che è stata creata da Dio libera e cara allo stesso Dio e a tutti i Santi. Poi la rinchiude tra le pareti domestiche, come in un carcere privato, non permette che le si faccia visita, proibisce che sia vista perfino dai suoi familiari, educatori, nutrici e affini, escludendoli dal conforto e dalla conversazione come se fossero a lei ostili, né le è concesso di parlare liberamente coi suoi piccoli, temendo che attraverso loro i suoi familiari vengano a conoscenza delle offese che infligge alla moglie.

E sono queste le falsissime blandizie che rivolgeva alla Vergine. Mentisco se non sia mai successo, e se io non abbia ricordato a sufficienza altri mali minori che la superbia maschile sia solita infliggere, perché ella permise che fosse separata dall’Angelo Santo patrono della Verginità divina , con la quale è nata ed allattata, con la quale rise e pianse nella culla. Lasciò che questa integrità fosse privata della sua essenza, che nascendo ricevette dal suo Creatore e fece invadere il suo posto dalla nemica corruzione, indi essendo cacciata la purezza, che era rimasta sempre dove era nata, ed essendo stata introdotta la corruzione, questa cominciò a vivere là dove mai  era entrata. E poiché dicemmo che la santa Verginità avesse come patrono l’Angelo del Signore, questi rimprovera aspramente (colui che) la rese donna, diamo voce razionalmente al suo ammonimento: Dimmi, o uomo, dove ti ha ferito la Verginità, ché la scacci via da te ed al suo posto accogli la nemica? Quando uscisti dall’utero di tua madre, nacque con te, venne allattata con te, fu sempre con te, e non si separò dalla tua compagnia; con te versò le lacrime dell’infanzia, con te fu allevata tra blandizie e nutrimenti, mangiò e bevve con te. Quando il tuo corpo provò noia, ella si annoiò; nella sofferenza delle tue malattie  ella soffrì; quando eri sveglio ella vigilava con te; quando dormivi ella dormiva con te, quando ti alzavi ella si alzò; quando ti fermavi, ella si fermò; quando ti sedevi ella si sedette; quando ti vestivi ella si vestì, quando ti ornavi ella si adornò, quando avevi fame ella ebbe fame; quando banchettasti ella mangiò, con te imparò le lettere, con te si erudì  nell’arte della grammatica, con te si istruì nell’eloquenza oratoria; con te si rinvigorì col corpo di Cristo; con te diventò Catecumena; con te fu battezzata; con te fu consacrata col sangue di Cristo; assieme a te si recò alle nozze di Cristo e della Chiesa, dove il suo talamo, ornato con le gemme delle virtù, ogni giorno si abbellisce con gli ornamenti delle menti pure; dalle cui nozze, ogni giorno, nasce una moltitudine immensa; tanto che il Padre dei nati sia Cristo e la madre dei figli la Chiesa; tuttavia il talamo non viene offeso, perché il Padre non cessa di essere il Cristo Sposo e alla madre, la Chiesa, non viene assegnato un termine; infatti Cristo è sempre sposo e Padre; e la Chiesa è sempre sposa e madre, la cui visibilità non è circoscritta e la Vergine non cessa di essere immacolata. Infatti nell’abbraccio di Cristo la purezza si ingrandisce più celermente rispetto a quando viene messa in fuga, e nell’apparato della Chiesa la Verginità cresce più velocemente rispetto a quando diminuisce. Le gemme ornamentali di costei luccicano con vari riflessi, la bocca di costei parla di regole con soavi ragionamenti ed eterne carezze per le Vergini.

O felice, o Santa Verginità! Che pur trovandoti in terra, tra gli uomini peccatori, godi di letizie così grandi, e quando abiterai nei Cieli, tra gli Angeli, come credi che sarà? Quanto sarai carissima agli Angeli? Quanto migliore rispetto a questi Regni effimeri, quanto più adornata rispetto a queste preziosissime gemme? In ogni ora hai con te un giovane bellissimo, il Cristo, il figlio di Dio onnipotente, con uno splendido diadema d’oro che incorona la sua chioma bionda nel Cielo splendente, più fulgido di una luce sfavillante.

Poiché è provato che il sole sia il suo servo, quanto grande potrà essere la bellezza del Signore, se tanta è quella del servo? Costui sarà sempre con te o Santa Verginità, con te in mezzo a tutti i santi tra le carezze eterne, e perseverando nella spiritualità, esulta per sempre con te tra gli Angeli. Ora scegli tra costui che è eterno, con delizie eterne, e l’uomo mortale, la cui felicità perisce insieme a lui”.

La Vergine Domitilla, molto accorta, disse queste parole a Nereo ed Achilleo che la incalzavano: “Volesse il cielo che un giorno questa sapienza di Dio venisse da me, mai prenderei il nome dello sposo e potrei prendere senza fatica questo onore di santità e, da battezzata, abbandonerei il culto degli idoli, così edotta disprezzerei questo commercio carnale. Ma ora, nel modo in cui Dio vi aprì la bocca per guadagnare la mia anima, credo che proprio lui vi sveli il suo piano, in modo che grazie a voi si possa adempiere ciò che accogliemmo per il suo amore”.

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Allora Nereo ed Achilleo, riferendosi a San Clemente, le dissero:

“Occorre che la tua gloria sia posta nel Nostro Signore Gesù Cristo e vanterai non l’umana, ma la divina dignità; sappiamo tuttavia che il Console Clemente fosse fratello di tuo padre: la sorella di costui, Plautilla, ci comprò come schiavi, e quindi, quando udì il verbo della vita dal Divino Apostolo Pietro, fu battezzata e noi assieme a lei, e consacrò col santo battesimo anche la figlia Domitilla. Nello stesso anno, il Divino Apostolo Pietro cercò la corona del martirio (per giungere) al Cristo, anche Plautilla lasciò le spoglie terrene. Invero sua figlia Domitilla, dovendo sposare l’illustre  Aureliano, attraverso  la nostra modesta capacità divulgherà, invece, il sermone che noi apprendemmo dalla bocca dell’Apostolo, perché la Vergine, che per amore del Signore conserverà la Verginità, merita di avere come sposo Cristo, con il quale godrà la felicità e la gloria eterna. Udendo da noi queste cose ed altre simili, desiderò, con le sue mani, consacrare col velo il voto della sua Verginità, cui Clemente disse: “Come vedo, è giunto il tempo in cui la  vocazione, mia e vostra, prenda la palma del martirio in questa occasione; ma poiché il precetto del Nostro Signore Gesù Cristo è di non temere coloro che uccidono il corpo, disprezziamo l’uomo mortale e sforziamoci ad ubbidire con tutte le nostre forze al Principe della vita eterna. Allora San Clemente, avvicinandosi a Domitilla la consacrò.

E poiché sarebbe lungo scrivere con cura ed ordinatamente i singoli fatti, quelle cattive azioni con le quali il promesso sposo di Domitilla, Aureliano, in preda al furore, la molestò, rimandiamo questo fatto, in modo più particolareggiato, all’esito degli avvenimenti. Egli chiese all’Imperatore Domiziano che se (Domitilla) avesse  mostrato il disprezzo del sacrificio (agli dei), avrebbe subìto l’esilio nelle Isole Ponziane, nel cui esilio egli pensava di poterle estorcere l’intenzione di retrocedere dal proposito di rimanere Vergine. Quindi, essendo stata esiliata nell’Isola di Ponza, ed essendo con lei Nereo e Achilleo, vi erano esiliati anche due malefici discepoli di Simon Mago; uno di loro si chiamava Furio e l’altro Prisco.

Quindi questi due, ingannando con segni magici quasi tutta l’isola, fecero credere e venerare, al posto del Figlio di Dio, Simon Mago che era stato nemico di Pietro senza alcun motivo. Nereo ed Achilleo pensarono di rivolgersi  a Marcello, figlio di Marco, Prefetto della Città di Roma, chiedendosi: “Chi non conosce costui?”. Accettata la testimonianza di costui (Marcello) relativa a Simone e Pietro, affermarono: “E’ molto stolto chi non crede ad una tale persona”. Poi dissero agli scettici: “Fate attenzione alla vostra salvezza fino a quando riceverà le nostre lettere e ci risponderà che avete abbandonato la dottrina  del Beato Apostolo Pietro per quella  di Simon Mago. Poi, fatta la nostra lettera, scegliete uno di voi che gliela porti, e noi desideriamo che sia letta in vostra presenza, così, mentre egli la scriverà in vostra presenza nondimeno la leggerà”. Questa cosa piacque a tutti e con le lettere dei Santi Nereo ed Achilleo, indirizzarono il loro uomo.

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Il testo della lettera è il seguente: “Nereo ed Achilleo, Servi di Gesù Cristo, augurano la salvezza eterna al fratello e condiscepolo Marcello.

Siamo esiliati nell’ergastolo dell’Isola di Ponza, poiché ci rallegriamo nel nome di nostro Signor Gesù Cristo, guastano il nostro gaudio Furio e Prisco, discepoli di Simone, i quali sono qui esiliati per le loro arti magiche. Infatti fanno sapere che Simone sia innocente, e l’Apostolo Pietro, senza alcun motivo lo avrebbe esecrato. E quando diremo a tutti che nessuno deve credere loro, ci avvarremo della fede tua, idonea e illustre persona, che possa informarli con i tuoi scritti quale fosse la vita di lui. Poiché tu, essendo stato suo discepolo, conoscerai tutte le sue azioni e ti chiediamo che tu le scriva senza indugio, affinché gli innocenti si possano liberare delle loro menzogne. Che la Grazia del nostro Signore Gesù Cristo sia con te”.

Qui finisce lo scritto di Nereo ed Achilleo e comincia lo scritto di Marcello.

 

A cura di Silverio Lamonica

 

[Domenico Antonio Contatore. Historia Terracinensi (3) – Continua]