Carannante Martina

Una storia d’altri tempi. L’orazione

di Martina Carannante

 

Ultimata la pubblicazione degli elaborati partecipanti al concorso Racconta Ponza a Ponzaracconta, inseriamo “Una storia d’altri tempi”, di Martina Carannante.

Martina ha scelto di non partecipare al concorso, per lasciare spazio agli studenti più giovani, come ha spiegato in una nota pubblicata qualche giorno fa (leggi qui); il suo racconto,  fuori concorso, potrà essere commentato dai lettori, ma non sarà valutato dai nostri Giurati, che sono già all’opera.

PonzaRacconta raccomanda ai partecipanti  di non riposare sugli allori: i lavori dovranno essere presentati, nel corso della giornata conclusiva, e non vogliamo certo farlo in modo noioso e banale! Aspettatevi una chiamata alle armi entro il 20 aprile …

Per il momento, la Redazione ringrazia calorosamente i partecipanti; i docenti Irene, Barbara, Federico, Ennia; i genitori, che si sono fatti contagiare dall’entusiasmo dei concorrenti; l’Associazione Pesca Mare e Sport.

Rita Bosso 

 

Anche quest’altra giornata è passata, il tempo scorre lento. È novembre, tira forte il vento, l’aria si fa pungente; sul tavolo in salotto un lumicino a olio illumina la sala,’u rasiere è pronto e Antonietta, almeno, se scarf’ all’oss’!

È un giorno come tanti dell’autunno degli anni Quaranta.  La casa è grande, il largo ingresso si apre sul lungo corridoio che porta allo studio del Dottore, la sala sempe appreparata, il cucinino piccolo e confortevole. Con il Dottore sempre a Napoli questa casa tanto grande mette malinconia, così, quando la solitudine si fa sentire, Antonietta scende e va a trovare la cognata: anche lei è sola, il marito è in guerra. Nei periodi come questi, in cui gli uomini combattono e le donne sono sole, l’unica forza si racchiude nel nucleo familiare: si mangia insieme, si ascolta l’unica radio del quartiere, nella casa più ricca, per sapere le ultime notizie e le sorti del Paese, si parla, si racconta e si prega. Sono indubbiamente anni difficili; nelle famiglie benestanti come questa, si vive ancora bene, ma in paese di poveri ce ne sono… Le donne si sentono sole e i bambini hanno fame, i mariti sono a combatter per la patria e vige la legge della sopravvivenza. I raccolti scarseggiano, di farina per fare il pane ce n’è poca, si mangiano le ultime fave secche, qualche merluzzo pescato da un vecchio pescatore – inadeguato per il fronte – e si attende. Negli orti non mancano i saccheggi; la fame è una brutta cosa, spinge gli uomini a fare azioni atroci, ma nessuno può dire niente, sarebbe come sparare sulla croce rossa! Le giornate passano nell’attesa, scandite dal lavoro e dalla fatica.
Assorta nei suoi pensieri, Antonietta scende dalla cognata per la preghiera della sera e per coricarsi insieme – ’Mmacula’! Aràpe! So’ ’Ndunett’!

Correndo verso la porta, mentre apre il solido chiavistello, Immacolata dice:
– ’Ndunè’… mo’ steve saglienne ie a’ ddu te’!

Immacolata si chiude la porta alle spalle e, insieme alla cognata, sale velocemente gli alti gradini di marmo lucido. Entrano in casa e, sedute nel grande salotto, con i piedi sul braciere, iniziamo a parlare del più e del meno.

– ’Ndunè’, ma secondo te… mariteme Andrea è muort’?
Da giorni Immacolata è triste, con lo sguardo verso il mare si rigira tra le mani la dispensa della dispersa del marito. Da mesi non si hanno notizie; il Dottore, venuto in licenza, non ha avuto il coraggio di comunicare a sua sorella l’amara notizia; fatalità vuole che qualche giorno dopo venga in visita Marietta D’Elia, la quale sa della sorte di Andrea ma ignora che il Dottore ha taciuto, per proteggere la sorella; dunque spiffera tutto.

Antonietta, non volendo rattristare ulteriormente la cognata, dice: – ’Mmaculà , io non te lo so dire… però, amma fa’ …’n’orazione!

Immacolata tace, fissa Antonietta che le prende la mani e suggerisce:

– Dobbiamo pregare! Aggrappiamoci alla fede, essa non abbandona mai! I santi ci hanno sempre aiutato e anche questa volta, se noi crediamo, non ci abbandoneranno.

Immacolata guarda la cognata, sente il sangue ribollire: il suo Andrea, per amore del quale ha sfidato tutti, ora non si sa dove sia, tutti lo danno per morto. Lei e Antonietta ne hanno fatte tante, di orazioni: per sapere della riuscita di matrimoni, fidanzamenti giusti o partenze propizie, ma mai ne hanno fatta una su di loro, così importante poi…
L’orazione è un atto di profonda fede, si recitano tutte le “poste” del rosario alla Madonna; non è fatta per evocare o maledire, è una sorta di “magia buona”; dopo le lunghe preghiere si chiede alla Madonna un segno, che deve essere capito e interpretato dai richiedenti: gli atti divini non sono sempre chiari, il tutto deve avvenire nel silenzio più totale.
Le due cognate aprono la porta del balcone, l’aria è frizzante, decise lo percorrono tutto, poi, abbracciandosi, si guardarono negli occhi, prendono il rosario dalla tasca e iniziano: “Ave Maria…” Preghiera dopo preghiera, verso dopo verso, le “poste” si concludono, bisogna chiedere il segno. Le due donne si scambiano uno sguardo d’intesa, poi Immacolata dice:
– Se Andrea è vivo e tornerà a casa per Natale, allora si dovrà accendere una luce nella casa di Zi’ Chiarina (oggi è l’albergo Le Querce – NdA).

I minuti trascorrono… Nel buio totale di Santa Maria a quell’epoca di guerra, all’improvviso si accende la prima luce, poi la seconda, la terza e così via; in pochissimo tempo tutta la casa è illuminata. Le due donne rimangono impietrite. Contemporaneamente si girano di scatto, si guardano negli occhi, ora pieni di paura. Antonietta dice quasi con un sibilo: – Allora è vivo!? –  Immacolata, con gli occhi pieni di lacrime, la guarda e risponde: – Amm’aspettà’ Natale!
L’aria ormai è gelida, le due donne percorrono il balcone e tornano in casa. Sono fiduciose, specialmente Immacolata che ormai aveva perso tutte le speranze di ritrovare il suo amato, ma anche un po’ impaurite per quel segno così abbondantemente chiaro. U rasiere ormai ha perso il suo calore e le due donne si coricano.

Il vento di novembre lascia il posto alle tempeste dicembrine, la vita trascorre scandita dai giorni, la fame in paese cresce e i bastimenti raramente attraccano al porto.
Le due donne spesso ripensano a quella sera passata nella contemplazione e nella preghiera, ma nessuna delle due fa più riferimento all’accaduto. Antonietta non ha neanche accennato niente al suo Dottore; Immacolata, dentro di sé, conta i giorni e sente crescere l’irrequietezza.
Dopo una settimana di brutto tempo, tutto ad un tratto il mare si placa, il vento non spira più… varca l’ingresso del porto un bastimento che approda alla meglio; molte donne affacciate alle finestre sperano nell’arrivo di viveri. Sbarcano uomini in abiti militari e civili.
Al chiuso della cucina, Immacolata e Antonietta sono indaffarate a preparare i zeppule  per il giorno dopo: nulla sanno di ciò che accade al Porto. In cucina echeggia il chiacchiericcio delle due donne e il bam-bam della pasta delle zeppole, che richiedono un energico lavoro di braccia per risultare soffici. Si sente bussare alla porta e il tutto s’interrompe: le due donne nascondono furtivamente l’impasto; potrebbe aver bussato qualcuno in cerca di cibo.

’Mmaculà’, va’ a’rapì che io finisco di sistemare! – dice sottovoce Antonietta.

Immacolata si toglie il grembiule e apre la porta.

Incuriosita dal silenzio – Chi è? …Che è succiéss’? – domanda Antonietta dalla cucina, ma non ottiene risposta; va dunque a sua volta alla porta, alza gli occhi ed esclama: “Andre’!”

Immacolata, quasi come risvegliata da quel nome, fissa gli occhi marroni del suo amato. Si abbracciano. Domani è Natale.

 

Martina Carannante

 

Nota –  Per altre storie di “Orazioni”, sul sito, leggi qui e qui

2 Comments

2 Comments

  1. Lino Pagano

    23 Marzo 2012 at 15:15

    CARISSIMA MARTINA, HO TROVATO IL TUO RACCONTO AFFASCINANTE, DI ALTRI TEMPI. DICO QUESTO: MI RICORDANO TANTO I RACCONTI DALL’ISOLA DI FRANCO SCHIANO. SE NON CI FOSSE LA TUA FIRMA DIREI QUESTO E’ STATO SCRITTO DA SCHIANO. AVETE LO STESSO MODO DI RACCONTARE, CHE A ME PIACE, E TANTO.

  2. martina

    23 Marzo 2012 at 21:19

    Ringrazio per i complimenti. Quello che ho narrato qui é un avvenimento reale della mia famiglia (nella prima parte é ben specificato). Molte storie di questo genere ho ancora da narrare, o forse rimaranno semplicemente nella mia memoria; il genere narrativo é sempre il medesimo e la firma una sola, la mia. Cordiali saluti Martina

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