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Fuori tempo massimo, eppure… non è mai troppo tardi!

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di Enzo Di Giovanni

 

Mancano due settimane al termine ultimo per la presentazione delle liste e al momento abbiamo 5 liste, forse 6, probabilmente 1, magari nessuna.

Qualcuno dice che i “movimenti” elettorali sono stati fatti in ritardo e questo rende oggi improbabile qualsivoglia soluzione.

Mah… Se si intende la normale, fisiologica sequenza di una campagna elettorale, i tempi sono stati giusti.

Cosa è successo in questi giorni? E’ successo semplicemente che diversi attori si sono mossi, come sempre, tra tentativi di accordi privati e ricerca di consenso pubblico.

Se invece si considera il particolare tessuto sociale, economico dell’isola siamo indubbiamente fuori tempo massimo. Ma lo saremo anche tra sei mesi, tra un anno.

Quando si vive in un tessuto sociale lacerato come quello ponzese, non ci sono tempi che tengano.

Non si è arrivati a nulla, come era ovvio, perchè siamo di fronte ad una crisi strutturale senza eguali, e di conseguenza non si possono utilizzare metodi oggi non più validi.

Al di là di proclami di facciata, non si può far finta di non vedere che chiunque andrà ad amministrare si troverà a dover fronteggiare una crisi economica, globale sì, ma in un paese che vive di turismo ultra-stagionale, e perciò ancora più debole di altre economie.

Chi andrà ad amministrare avrà la necessità di dover reiventare le regole in ogni ambito, dalla portualità all’urbanistica, alla fruizione delle coste, tutti ambiti violentati da decenni e decenni di lassismo, superficialità, approssimazione.

Chi andrà ad amministrare dovrà contrastare il continuo impoverimento dei servizi fondamentali quali la Scuola, la Sanità, i Collegamenti marittimi, ecc.

Francamente risulta un atteggiamento tra lo spudorato e l’incosciente quello di continuare a giocare “a fare le liste” come nulla fosse, come se fossimo indietro di trent’anni.

Questo sì che è stato tempo perso: come si può far finta di non accorgersi che solo attraverso una pax sociale, attraverso un cambiamento di linguaggi e strategie si può far fronte alle mutate condizioni?

Qua il problema non è scegliere tra 5 o 6 candidati, che tra l’altro rappresenterebbero una minoranza non rappresentativa della comunità, ma di sperare di trovarne 1 (uno) disposto ad accollarsi il peso di dover affrontare tutto ciò.

E noi siamo ancora a giocare come al gioco del “se fosse”?

L’unica speranza concreta che avremmo di superare il guado sarebbe non solo di trovare questo rappresentante, ma di farlo lavorare con la serenità che scaturisce dal sapere di avere, quantomeno, una popolazione il più possibile compatta. Una comunità cioè, in grado oltre che di eleggere, di lavorare con senso di responsabilità accanto agli amministratori, con la partecipazione attraverso tutta una serie di filtri che oggi mancano o sono poco incisivi (associazioni, categorie, comitati e chi più ne ha più ne metta). Siamo andati troppi anni avanti con Amministratori che basavano le loro candidature su promesse (ovviamente quasi mai mantenute); con cittadini che venivano a sperare nel tornaconto personale, anziché reclamare i propri diritti collettivi. Succede dappertutto, per carità.

Ma oggi si chiede un maggior senso di responsabilità agli uni e agli altri.

Non è questione di tempo: non è mai troppo tardi se si acquista una nuova consapevolezza, così come non è mai troppo presto se si continua a giocare a carte truccate.

Cosa potrebbe essere questa consapevolezza?

Mi viene da pensare ad una terapia di gruppo: dovremmo interrogarci su cosa ha permesso che una comunità di lavoratori solidali si sia trasformata in entità impazzite continuamente in lite tra loro.

Noi non possiamo essere così, noi non siamo così.

Prima accennavo alla mancanza di regole: questo ha fatto di noi una comunità di “abusivi” in ogni settore, cosa ancora più umiliante se si considera che nella stragrande maggioranza dei casi siamo solo una comunità tenacemente legata ad una terra difficile, in cui la qualità della vita è tuttora bassa, in cui tutto ciò che abbiamo è frutto di fatiche immani e secolari, e che proprio questa considerazione ce la rende ancora più preziosa.

Ma questo lo sappiamo noi, non i nostri ospiti estivi.

Perchè non riusciamo a comunicare all’esterno, ma ormai nemmeno più a noi stessi, come se avessimo perso la memoria storica, questa nostra essenza?

La casa dove abita la mia famiglia è nata, mattone su mattone, dal sangue e sudore di mio nonno, mai conosciuto, che andò a lavorare per trent’anni, da solo, in America, lasciando a Ponza il resto della famiglia e tornando in vecchiaia a morirci. Quante altre famiglie possono raccontare storie simili?

Tante, tantissime, lo so.

Di questo dovremmo ricordarci quando in quelle poche settimane estive ci sentiamo etichettare con ondate di “Beati voi”! e “…Signora quando vorrebbe per vendere casa sua?”.

Non si può monetizzare l’appartenenza al proprio mondo: ce ne dovremmo ricordare più spesso.

E sapete una cosa? Sto partecipando più o meno a tutti gli incontri che si susseguono nell’isola. A volte ho l’impressione che più che ascoltare programmi e candidati si viene per catturare, almeno per un attimo, quell’essenza, quell’orgoglio smarrito. Lo si sente davanti ad un intervento apprezzato, ad una battuta che coglie il segno.

Poi basta un attimo, una distrazione, si riperde il filo e si scappa via.

Forse è di quel senso di appartenenza, di orgoglio, che avremmo bisogno, non di liste.

 

E forse ne siamo consapevoli, ma abbiamo bisogno di sentircelo raccontare.

 

Enzo Di Giovanni