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Onorare i morti – Rispettare i vivi

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in concorso

Massimo Ambrosino, alunno undicenne della scuola media Pisacane di Ponza, partecipa al concorso Racconta Ponza a Ponzaracconta con un’inchiesta riflessiva corredata da foto, dal titolo “Onorare i morti – Rispettare i vivi”.

Massimo scrive: “Quest’anno, nel Giorno della Memoria, ho rivisto il film “La vita è bella”. Il protagonista Benigni è impegnato a inventarsi di tutto per non far terrorizzare suo figlio nel viaggio verso un campo di concentramento nazista. Si inventa una gara fantastica: il vincitore si porterà a casa un vero carro armato.

Il padre riuscirà a salvare il figlio dalla doccia a gas, lo farà vivere in una favola e nascondere in una cassapanca. Lui morirà, ma il bambino vincerà davvero il suo carro armato.

A liberare quel bambino e tanti altri non è stata solo l’eroica fantasia del padre, ma veri uomini che hanno dovuto combattere. I buoni hanno dovuto combattere contro i cattivi, per liberare innocenti poveri e indifesi.

La memoria serve per ricordare le ingiustizie che hanno subito uomini, donne e bambini che ora sono morti. La memoria insegna a non compiere gli stessi errori su altri uomini che ancora vivono, magari sono soli e poveri”.

I forni crematori della Germania nazista suscitano in Massimo l’associazione con un evento recente, che ha addolorato tutti i ponzesi e che ha particolarmente toccato la sua sensibilità, inducendolo a riflettere, a chiedersi come evitare il ripetersi di fatti analoghi:

“La memoria serve per onorare i morti, ma anche per non commettere gli stessi errori: Roberto è morto in una baracca, non facciamo morire più nessuno nelle stesse condizioni”.

E’ uno scritto profondo, che susciterà tante considerazioni. Non dimenticate di commentarlo.

 Rita Bosso

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ONORIAMO I MORTI

di Massimo Ambrosino

 

Mia nonna, la madre di mio padre, abita sull’Acquedotto, in quel gruppo di case esposte malissimo, freddissime d’inverno e caldissime d’estate. Però con le stufe d’inverno e con l’aria condizionata d’estate si sta meglio.

Quante volte per arrivare da mia nonna sono passato accanto alla baracca di Roberto.

Quante volte l’ho visto buttato per terra, con tutti i materassi sporchi, tutta la robaccia in scatola che mangiava accumulata intorno alla baracca.

Delle volte l’ho visto di notte, solo, con le pietre in mano.

Delle volte l’ho visto quasi nudo.

Delle volte l’ho sentito gridare come un pazzo.

Delle volte l’ho visto che chiedeva a mio padre che passava veloce con la sua auto: “Mi compri per favore qualche scatola di tonno, un filone di pane, una coca cola e un pacchetto di sigarette?” e porgeva i soldi di carta untuosi e sporchi, che mio padre rifiutava.

Roberto a volte era simpatico, ma la sua situazione di vivere non era umana; sporco, puzzolente, faceva a volte anche paura.

Mi hanno raccontato di un altro Roberto, che bambino andava a scuola come tutti gli altri bambini e poi più grande, che era anche molto intelligente perché faceva le imitazioni di tutti.

Roberto è stato un bambino che aveva una famiglia, poi è stato sfortunato ed è finito nella baracca, freddissima d’inverno, senza porte, senza riscaldamenti, umida, piena di topi che mangiavano i suoi avanzi e forse gli facevano compagnia.

Ma Roberto non è morto d’inverno, è morto d’estate, un’estate caldissima, la sua baracca di lamiera era probabilmente un forno crematorio.

Era da poco arrivato dal Continente, ricoverato in una casa famiglia, per morire nella sua baracca.

È morto nella sua baracca da cui vedeva la spiaggia di Chiaia di Luna e un poco di Palmarola, da lontano vedeva i bagnanti rinfrescarsi nel mare, in quell’estate caldissima, e poteva vedere passare i suoi compaesani, che a modo loro gli volevano bene. Ma Lui puzzava, Lui non si voleva fare aiutare: forse era tornato per morire nella sua isola.

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RISPETTIAMO I VIVI

 

Oggi  frequento la scuola media alle Forna in zona Cavatella, prendo il pullman per raggiungerla, a volte mi capita di incontrare Silverio Di Meglio detto Cané.

Anche Silverio vive in una baracca tipo quella di Roberto, ma mentre quella di Roberto, fredda d’inverno e caldissima d’estate, stava in una zona panoramica, quella di Cané è situata in una zona abbandonata, sotto la mia scuola, dove c’è il Pallone per la pallacanestro, nella discarica della miniera.

Il Pallone è chiuso, non è agibile; quella zona, soprattutto d’inverno, è pochissimo frequentata.

Cané vive nella sua baracca, isolata, da solo.

Certamente Cané non è Roberto, forse è più inserito, va a mangiare al Pub, sicuramente mangerà anche qualche piatto caldo, ma io trovo che vivere in una baracca così isolata non sia comodo.

L’anno scorso è stato male per un periodo, è anche partito per farsi curare e qualcuno si è posto il problema di Cané, abbandonato, da solo.

Io penso a quando c’è il vento “teso” di maestrale, e in quella zona fischia forte tanto che ha distrutto anche il pallone… penso a quando la baracca viene scossa da quelle raffiche di vento; penso alla polvere bianca che ha ucciso tanti minatori, e che circonda la baracca; penso a quando piove a dirotto, con fulmini e lampi.

In quella zona abbandonata anche dai cani puoi strillare quanto vuoi, ma nessuno ti potrà ascoltare; è un deserto ghiacciato d’inverno, ma d’estate quel deserto si fa di fuoco e le lamiere diventano roventi.

Silverio Cané un giorno viveva con la madre a Chiaia di Luna in una casa-grotta dirimpetto alla baracca di Roberto. La madre gli cucinava e a suo modo lo curava. Cané era l’ormeggiatore di Molo Musco, viveva delle mance dei padroni di barche; ora non più, perché ci sono gli ormeggiatori professionisti.

Silverio aveva una casa-grotta, una madre, un piccolo lavoro, ora è solo e vive in una baracca, al freddo d’inverno e in un forno d’estate.

Cané, quando ha voglia, ci racconta tante favole, di quando Lui andava a Palmarola e metteva le trappole e faceva una strage di uccelletti; del suo viaggio in aereo per andare a Cuba, e noi sorridiamo a immaginarlo con il cappotto nell’aeroporto in un clima tropicale.

Ma l’ho anche sentito impegnato in lunghe discussioni accanite con i grandi: difende le sue proprietà di banane sullo scoglio la “Botte”, oppure  diventa proprietario di un mega panfilo, oppure possiede case e fidanzate un po’ in tutto il mondo ma soprattutto a Venezia.

Silverio Cané ha sempre avuto una grande fantasia, la stessa che abbiamo noi bambini quando dobbiamo superare qualche difficoltà o gareggiare a chi la dice più grossa con qualche compagno sbruffone.

Io penso che sarà proprio quella fantasia che, come lo ha aiutato fino adesso a vivere la sua vita, così lo aiuterà a trasformare quella baracca fredda d’inverno e caldissima d’estate, abbandonata anche dai cani, in una villa piena di comodità.

Ma forse alla lunga la fantasia non basterà e uomini come Silverio avranno bisogno di uomini buoni, di uomini generosi che si impegnino per far rispettare i vivi.

 

 

Massimo Ambrosino

Prima media, Scuola Pisacane – Ponza