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Donne d’altri tempi

[1]

di Gabriella Nardacci

Aveva una piccola casa a Ventotene, la cara zia Elena. C’era, in lei, sempre una sensazione di fretta di andare… per fare… per dire… per pregare…

Una donna robusta e dell’idea di una quercia. Arrivava da Formia con il treno per venire a trovare una sua cognata malata vicino Priverno. Ma partiva da Ventotene.

Si fermava neanche due giorni e poi ripartiva. La conobbi nella sala d’attesa di uno studio medico. Mi disse: Signò.. ie nun saccio legge. Che ce sta scritto ’ncoppa a ’stu foglie?

Velocemente capii che non c’erano buone notizie in quel referto. Mi sentivo fortemente in difficoltà, che sembrava non fossi capace di leggere neanch’io. Fu lei stessa a venirmi in soccorso dicendomi: Forse manco tu si bbona a capi’ ’a scrittura ’i ’sti dutture ve’ nenné’? Scriveno a zeppetiell’!

Le sorrisi e allora lei si sedette accanto a me e raccontò. Mi parlò dei suoi cinque figli tutti “spariati”, chi a destra chi a sinistra… Mi parlò di quanta vendemmia avesse fatto negli anni trascorsi e di quanto vino… Mi disse che voleva farsi suora, ma che il padre non aveva firmato per farla andare in convento, ma che pregava tutto il giorno… Mi parlò delle fatiche della vita, con una frenesia tale e una velocità nel narrare i fatti, quasi avesse paura che la segretaria mi chiamasse e lei non potesse dirmi tutto il resto.

Mi disse che aveva una casa a Ventotene dove viveva da aprile a ottobre e allora le chiesi di parlarmi del mare. Mi disse: …Ah u’ mare…è ’a cosa cchiù bella che Dio ha criato… Rimase a guardare un punto fisso nel vuoto e io rimasi a guardare lei. Aveva la pella solcata da linee di rughe così profonde che sembrava una terra arsa dal sole. Le sue labbra all’ingiù esprimevano una solitudine fatta di pensieri persi e malinconie serali, e involontariamente le accarezzai il viso.

Quando uscii dallo studio medico lei entrò e salutandomi e mi disse da andarla a trovare a Ventotene. Mi dettò il suo numero di telefono che subito salvai sul mio cellulare. Quando uscì dallo studio, io ero ancora lì. Aveva gli occhi pieni di pianto. Nel vedermi mi disse che, anche se avevo fatto finta di non capire il responso medico, lei aveva intuito tutto. Per sua cognata, non c’era più nulla da fare.

L’accompagnai alla stazione e le promisi che sarei andata a trovarla, a Ventotene. Ebbene, sì, ci andai. Quell’isola somiglia a lei. Mi è sembrato che tutti andassero di fretta ma forse era perché io salivo. Ho trascorso due giorni con zia Elena e sono stata bene. La sua casa era accogliente e le somigliava. Aveva mura spesse e un letto con due materassi e le lenzuola di lino. La sua madia era di legno scuro ma bastava aprirla di poco, che si sprigionava per l’aria un odore di pane fresco e di conserve che metteva appetito già di buon mattino. In quei due giorni mi parlò solo del mare, guardandolo dal balconcino di casa sua.

La sera della mia partenza lei rimase sul balconcino a guardarmi andar via con un fazzoletto e un rosario tra le dita.

Aveva 85 anni quando se ne andò oltre l’orizzonte; è stato tre anni fa.

Donne d’altri tempi che hanno saputo insegnare interpretando la natura e la vita degli altri.

 

Gabriella Nardacci