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5 marzo 1944. Per non dimenticare…

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di Antonello Feola

 

Ecco cosa accadde 68 anni fa a Ponza. Per descrivere l’episodio riporterò le parole di Silverio Corvisieri, autore del libro “Zì Baldone” (2003; Caramanica Editore) in cui narra la storia di Ponza del secolo scorso.

“….Da metà febbraio il maltempo aveva reso drammatico il problema del rifornimento di viveri. I motovelieri di Feola furono bloccati da una serie di tempeste, una dietro l’altra, nel porto di Ischia. In verità neanche navi molto più grandi e con motori ben più potenti si azzardavano a mettersi in viaggio. A Ponza cominciò a mancare tutto.

Una parte notevole della popolazione rischiava di morire, alla lettera, di fame. Prima furono alcuni vecchi a crollare sotto il peso della denutrizione, poi fu la volta di alcuni bambini. Nei primi giorni di marzo si contarono dieci morti, quasi tutti per fame o per aggravamento repentino di malattie che con un’alimentazione normale sarebbero state superate.

Nelle campagne ponzesi uomini e donne, dimagriti fino all’inverosimile e fortemente debilitati, erravano alla ricerca di qualsiasi erba commestibile; alcuni non esitarono a tagliuzzare le “palette” dei fichidindia per farne una sorta di verdura da mangiare bollita e senza alcun condimento.

Antonio Feola a Ischia non riusciva a darsi pace. Il commissario prefettizio telegrafò al comando militare di Ischia un messaggio disperato: “popolo Ponza muore fame”. Il parroco Luigi Maria Dies invitò i fedeli per tre giorni consecutivi a implorare S. Silverio di muoversi in loro soccorso. Feola sapeva che con una nave più grande e attrezzata dei suoi motovelieri si poteva raggiungere Ponza, ma il comando militare alleato non voleva rischiare. Feola però era, come abbiamo detto, molto stimato e perciò dopo tutta una serie di dinieghi, gli si volle usare almeno la cortesia di verificare la situazione con una grossa nave inglese ancorata al porto di Ischia. Il capitano inglese Simpson era convinto che anche Feola, non appena la barca fosse uscita dal porto e avesse subito l’impatto con onde spaventose, si sarebbe convinto dell’impossibilità di proseguire. Ma non aveva fatto i conti con l’abilità, l’ardimento e anche l’astuzia di quel marinaio ponzese. Appena salito a bordo Totonno [mio nonno era chiamato Totonno Primo – NdA] passò a Simpson una bottiglia di whisky per renderlo più disposto ad osare; poi “con amichevole violenza”, come ricorderà un testimone, gli sottrasse la guida.

Fu un viaggio terribile ma alla fine, la sera del 5 marzo, la nave, carica di viveri, fece il suo ingresso nel porto di Ponza mentre le campane delle chiese suonavano in segno di giubilo e la popolazione accorreva gridando al miracolo e ringraziando S. Silverio.

In seguito, con il trascorrere degli anni, la gratitudine a Feola e al suo valoroso equipaggio – Rinaldo Graziosi, Mario Di Fazio, Mauro Di Lorenzo, Geppino Vitiello, Luigi Parisi, Antonio e Silverio Scotti – andò attenuandosi e si parlò sempre più spesso non del coraggio e della bravura dei marinai ponzesi ma del miracolo del Santo…”

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Antonello Feola