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Schizzi di salsedine da Ponza (14)

[1]

di Franco De Luca

 

A Ponza c’è discrepanza notevole fra la realtà fisica e quella umana.

Essa ha accompagnato tutto il percorso storico dell’isola.

La “fisicità” del territorio, paesaggistica, naturalistica, di straripante bellezza, fino alla caratterizzazione di  “unicità”, ha prevalso nelle relazioni dei viaggiatori illiuminati, nelle loro considerazioni vuoi scientifiche vuoi poetiche.

L’elemento “umano”, quello aderente ai paesani dimoranti, è divenuto rilevante soltanto quando ha avuto una connotazione “anormale”. Voglio dire che Ponza nel 1800 fu oggetto di interessamento perché i mazziniani ne avevano intravisto una ipotetica forza rivoluzionaria, oppure nel 1900 il Fascismo considerò l’isola in quanto carcere degli oppositori.

In condizione di vita ordinaria lo stato climatico, il suo adagiarsi sullo scorrere rilassato del tempo, il sopore di tutto quanto provoca ansia al vivere, il progressivo avvicinamento alla dimensione naturale, “terrena” della persona, sono fattori che allontanano dalla socialità turbolenta e avvicinano all’intimità psichica. E sono questi, al succo,  elementi sui quali poggiano i sentimenti di nostalgia, di malinconia, di perdita, espressi in molti scritti su ponzaracconta, dai ponzesi dimoranti fuori, ai quali appare evidente il confronto  fra la stasi quieta e rassicurante della vita isolana opposta al dinamismo agitato e rischioso del continente.

E’ la stessa ragione per la quale, oggi, dominano le immagini del tiepido sole che riscalda fazzoletti di terra dove i vecchi a capochino si rigenerano, e i bambini si rincorrono, riuscendo finanche a sudare. Sotto gli occhi tranquilli delle madri, intente a spettegolare.

 

Francesco De Luca