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Il Festival di Sanremo

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di Isidoro Feola

 

Il festival di Sanremo, l’importante manifestazione canora, anche quest’anno si è conclusa tra consensi e polemiche come di consuetudine, ed è stata seguita da milioni di telespettatori e radioascoltatori, in Italia ed anche all’estero. Ogni volta il ricordo va alle edizioni degli anni passati facendo paragoni e suscitando apprezzamenti e censure di vario tipo. A me personalmente ogni anno viene in mente l’edizione del 1987, anche se non per motivi strettamente canori .

Avevo da poco più di un mese aperto, a Ponza, l’ambulatorio come medico di famiglia convenzionato con il S.S.N. quando in un pomeriggio di metà febbraio, mentre facevo il giro delle visite domiciliari, vengo raggiunto da un vigile urbano per un’anziana signora la quale aveva bisogno urgente di un medico (ricordo che si era in tempi pre-telefonini, ed a Ponza non esisteva il Pronto Soccorso, né il 118 e neanche l’ambulanza, e tutto era affidato ai medici di famiglia e, di notte e festivi, anche alla guardia medica). Non avendo ben chiaro dove dovevo andare, chiesi al vigile di farmi strada, che io lo avrei seguito con la mia vecchia FIAT 127 rossa. Quando arrivammo a casa della signora era, per fortuna, già presente sul posto il dott. Luigi Aprea che da almeno mezz’ora aveva iniziato una terapia di urgenza endovena in quanto la paziente presentava, al suo arrivo, una grave forma di insufficienza cardio-respiratoria. Nel frattempo veniva mandato il vigile urbano in farmacia a prendere altri farmaci e la bombola di ossigeno, mentre io aiutavo il collega Aprea che, con la consueta perizia e bravura, unite a diversi anni di esperienza nella “trincea-Ponza”, continuava a monitorare i parametri vitali della paziente che poco a poco migliorava, divenendo meno cianotica e meno dispnoica.

Si decise quindi, d’accordo con i famigliari, di ricoverarla in ambiente ospedaliero con l’elicottero e, dato che a casa della paziente non vi era il telefono, toccò a me andare a casa di una vicina per attivare telefonicamente l’elicottero.

Si telefonava al C.I.R.M. (Centro Internazionale Radio Medico) e, a chi rispondeva, bisognava dare le proprie generalità e spiegare esattamente i motivi della chiamata; dopo breve attesa si veniva passati ad un medico (sempre del C.I.R.M.) cui bisognava ripetere le cose già dette prima. Quindi, dopo avere lasciato il proprio recapito telefonico, si veniva contattati, dopo una diecina di minuti, dall’A.M. (Aeronautica Militare, solitamente da Ciampino) cui bisognava ripetere per la terza volta le stesse cose. Il militare mi domanda se la paziente è in P.I.V. (?). Alla mia incertezza – dato che non ero ancora pratico delle sigle ‘medico-militari’ – il maresciallo,  dall’altro capo del filo, mi spiega che P.I.V. significa Pericolo Imminente di Vita. Rispondo di sì e lui mi mi dice che bisogna trovare il posto in ospedale; Quindi mi consiglia di telefonare al P.I.C. (?!) perché avrebbero provveduto loro. Altra richiesta di delucidazioni; non si trattava della nota marca di siringhe  indolori, bensì del Pronto Intervento Cittadino: in pratica un centralino che provvede a contattare i vari P.S. degli ospedali romani per cercare un posto letto adeguato alla patologia in questione. Con gli anni capii che conveniva telefonare direttamente all’ospedale San Camillo di Roma perché era l’unico che riusciva sempre ad accettare, e quindi ricoverare, ogni tipologia di paziente, oltre ad avere, al suo interno, una pista di atterraggio per gli elicotteri).

Superata la fase burocratica, si provvede a chiamare Giulio Morsello (Giulio il pescatore) che, all’epoca del fatto, era l’unico che potesse trasportare l’ammalata in con il suo pulmino “FIAT 850 famigliare” col portellone posteriore  agibile per una barella (di tela verde militare). Una volta sistemata la paziente, un volontario (solitamente un parente) doveva reggere la fleboclisi con la mano che sporgeva in alto e fuori da finestrino.

***

Quando tutto era pronto e stavamo per caricare l’ammalata, improvvisamente questa cominciò ad urlare e sbraitare perché non voleva assolutamente partire con l’elicottero fino al lunedì successivo.

Solitamente le motivazioni che venivano invocate per non partire erano del tipo : “Voglie’ muri’ a’a casa mia!” ;   “Nooo… llà (in ospedale) te fann’ ’na seréng’ e te fann’ muri’”“…E po’, chi ce sap’ turnà ’a stu Roma”; Oppure…. “ca, si cade l’elicotter’, facimm’ tutt’ quant’ ’a mort’ d’’a zòccol’”  …ecc.

Invece alla domanda che il dott. Aprea, un po’ sorpreso ed indignato, rivolse alla donna per sapere perché non volesse partire, la risposta sorprendente fu:

“Aggia vede’ u’ festivàll’ ’i Sanrem’ ca accumengia stasera e che a mme me piace assaie!”.

(Poi la signora fu convinta a partire, dopo averla rassicurata che anche dall’ospedale poteva vedere la televisione. Tornò a casa, viva e pimpante dopo oltre un mese di ricovero)

 

Isidoro Feola

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