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Di Mare e di Uomini (1)

di Gianni  Paglieri [1]

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Dal Comandante Gianni Paglieri, navigatore per molti mari e scrittore, riceviamo e volentieri pubblichiamo
La Redazione 

Allo stato attuale delle cose, penso si possa affermare che quanto è accaduto all’Isola del Giglio sia la conseguenza di una manovra sbagliata e imprudente (che qualcuno dice appartenere ad una “tradizione”, intendo quella de “l’inchino”, che si può definire una teatralità inutile quanto pericolosa), e dei tempi e dei modi in cui è stata gestita l’emergenza e l’evacuazione della nave.

A nulla serve dire che in passato simili manovre sono state fatte tante volte perché quando con una nave si va oltre i limiti di sicurezza imposti dalle sue caratteristiche, dimensioni, pescaggi, velocità, dalla situazione meteo e dall’area di mare nella quale si sta navigando, si corrono rischi accettabili soltanto in funzione di ragioni serie e inderogabili, quali la salvaguardia della vita umana in mare.

L’inchino non serve a nessuno, forse è soltanto pubblicità, e solo chi non è marinaio può ammirare un qualsiasi Comandante che intenzionalmente porta la sua nave a sfiorare un’isola, uno scoglio o comunque un ostacolo fisso. Chi va per mare sa benissimo cosa significa distanza di sicurezza, velocità da tenere, stato della macchina ecc… e nemmeno credo abbia senso giustificare tutto questo in nome di una “tradizione” perché le tradizioni del mare non sono queste.

Ora il Comandante della Costa Concordia si trova non più a dover evitare gli scogli dell’isola ma è chiamato a dover chiarire i fatti e il suo comportamento, prima, durante e dopo l’impatto della nave sugli scogli.

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“Lord Jim” è una storia simile ed è soprattutto la storia delle vicende di un uomo chiamato Jim.

Non ha cognome Jim, non si sa se è nobile oppure no non si sa nulla di lui che, ossessionato dal rimorso di avere infranto il codice d’onore del gruppo a cui apparteneva (ha abbandonato la nave che stava affondando senza aiutare i passeggeri a salvarsi) si auto-esclude dalla cerchia dei suoi simili nel tentativo disperato di riscattare la propria colpa, fino ad affrontare con determinata risolutezza la morte, considerata come espiazione.

Nello stesso tempo “Lord Jim” è anche la storia della lotta di un uomo chiamato Marlow, un Comandante di navi, stanco del mondo e del navigare, che identificandosi profondamente con la fallibilità di Jim cerca di raccontare Jim per capire se stesso.

All’inizio del romanzo Marlow è convinto che per Jim possa esservi da qualche parte una seconda opportunità, ma dato che alla scoperta del proprio sé non ci sono prove di appello, per Jim l’unica opportunità di riscatto si rivelerà essere la morte.

Marlow non si pone il problema di giustificare Jim ma dimostrerà che la sua debolezza riguarda tutti gli uomini e vuole dirci che il salto di Jim è il passaggio di tutti gli uomini da una visione ideale di se stessi  al distacco che avviene quando si è costretti ad identificarsi con la realtà.

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Il Comandante della Costa Concordia è naufragato con la sua nave forse perché ha ceduto all’insopprimibile desiderio di mostrare agli altri la sua bravura, forse ha voluto superare se stesso e tutti quelli che prima di lui hanno fatto “inchini” vicinissimi alla linea di costa… forse ha addirittura sbagliato la manovra… forse ha davvero abbandonato la nave nel momento in cui la vera tradizione del mare impone al Comandante di restare al suo posto.

In mare si impara la pazienza, il silenzio, la riflessione, la solidarietà, il valore che ha la vita umana, in mare si presta soccorso a chi lo chiede, si guida la nave con competenza e con prudenza, a tutto si antepone la sicurezza degli uomini e si impara che queste regole, prima di essere scritte nelle leggi, sono scritte nel cuore di ogni vero marinaio.

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Nel romanzo “La linea d’ombra” (The Shadow Line: A Confession: 1917) di Joseph Conrad, il protagonista, il giovane Capitano che ha appena preso comando della nave che gli è stata affidata, si sente improvvisamente inadeguato, avverte la necessità di trovare sicurezza per poter affrontare la responsabilità che lo attende e non trova cosa migliore che ricercare la certezza e il conforto di cui ha bisogno nella grande tradizione marinara di cui si sente continuatore.

Con questi pensieri prende posto sulla sedia del capitano che l’ha preceduto e ha la sensazione di essere interpellato da un’anima complessa, l’anima del comando…“Su quella poltrona si erano succeduti molti uomini. Quel pensiero mi si affacciò improvviso, vivido, come se ognuno di loro avesse lasciato un po’ di se stesso tra le quattro mura di quelle adorne paratie; come se una specie di anima composita, l’anima del comando, avesse improvvisamente sussurrato alla mia dei lunghi giorni in mare e dei momenti d’ansia.

“Anche tu”, – sembrava dire – “anche tu assaporerai la pace e l’inquietudine in una penetrante intimità con te stesso, oscuro come eravamo noi, eppure sovrano di fronte ai venti e ai mari, in quella immensità che non riceve impronta, non conserva memoria e non tiene conto delle vite umane.

Dal fondo dello specchio con la cornice dorata annerita, nella calda penombra della luce filtrata dalla tenda del ponte, vidi il mio volto sorretto tra le mani. E guardavo la mia immagine riflessa con l’assoluto distacco della distanza, con più curiosità che con altri sentimenti. Al più, forse, un po’ di simpatia per quest’ultimo rappresentante di quella che per intenti e scopi comuni era una dinastia che continuava non nel sangue, certo, ma nell’esperienza, nell’addestramento, nella concezione del dovere, e nella benedetta semplicità del suo modo tradizionale di considerare la vita.

Fui colpito che quell’uomo dallo sguardo quietamente fisso, che io guardavo come se fosse me stesso ma anche un altro, non fosse del tutto una figura solitaria. Aveva il suo posto in una linea d’uomini che non conosceva, di cui non aveva mai sentito parlare, ma che erano modellati dalle stesse influenze, le cui anime nei confronti del lavoro della loro umile vita non avevano segreti per lui”.

Seduto su quella sedia, quel giovane capitano, capisce che comandare una nave non significa soltanto condurla attraverso i mari d’Oriente ma vuol dire essere la personificazione di una grande tradizione marinara, vuol dire appartenere ad una lunga successione di uomini che hanno mantenuto quella tradizione.

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I fatti accaduti all’isola del Giglio sono molto gravi soprattutto perché hanno comportato la perdita di vite umane, ma su di essi mi astengo da ogni giudizio perché provo una grande pena per il Comandante che, d’ora in poi, dovrà costantemente confrontarsi, al di là dei tribunali e delle inchieste, con quanto è successo e su quale è stato il suo comportamento.

In questa vicenda sembrano esserci, alla luce delle novità che vengono fuori ogni giorno, molti aspetti da chiarire, altre responsabilità da evidenziare oltre quella del Comandante, ma c’è comunque una verità, che i tribunali non potranno accertare, ovvero la verità che quest’uomo ha dentro il suo cuore, che potrebbe essere forse la sua vera condanna.

Parleremo ancora di Lord Jim, della Linea d’ombra, del Il Negro del Narciso di Conrad e di Moby Dick di Melville.

 

Gianni Paglieri

[Di mare e di uomini (1) – Continua