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Montegrano, o del ‘familismo amorale’

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di Vincenzo Ambrosino


Volevo parlare del Sindaco di Pollica, Angelo Vassallo, il Sindaco Pescatore, ucciso perché faceva l’interesse pubblico; volevo parlare della possibilità di incidere sulla società: bisogna essere onesti, carismatici, capaci, perseveranti e se una pallottola non ti ferma la fragile esistenza, magari lasciare un segno indimenticabile.

Volevo dare un segnale di speranza, ma mentre leggevo di Vassallo un click mi ha portato a leggere del “familismo amorale”: come per dirmi “rimani con i piedi per terra… sii coerente con il tuo pessimismo della ragione”.

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Nella metà degli anni ’50 del secolo scorso, il sociologo americano Edward C. Banfield raggiunse un paese del nostro Mezzogiorno e vi si installò con la moglie e la prole per un periodo di nove mesi. Il paese era Chiaromonte (PZ) e divenne ‘Montegrano’ nella ‘finzione sociologica’. Banfield fece molte domande in giro, somministrò questionari, redasse la sua ricerca… insomma  studiò questa comunità, come se fosse una tribù di irochesi!

Compara inizialmente Montegrano a St. George (Utah, USA). Nota che a St. George c’è tutto un pullulare di attività associazionistiche che perseguono scopi che vanno al di là dell’interesse materiale ed immediato del proprio nucleo familiare: nuove adesioni per la Croce Rossa, raccolta di fondi curata da un’associazione tra professionisti e dirigenti per costruire una nuova camerata della locale scuola media, raccolta di iscrizioni per la difesa antiarea in caso di attacco straniero… Un’industria locale regala i volumi di un’enciclopedia alla scuola, la camera di commercio promuove un pubblico dibattito per collegare con una strada i paesi circonvicini, l’Associazione Genitori ed Insegnanti si rivolge alla cittadinanza con un manifesto che dice: “Come cittadino responsabile della nostra comunità, tu appartieni all’Associazione!”

E a ‘Montegrano’? Niente di tutto ciò. L’orfanotrofio e il convento sono cadenti, i contadini non sono disposti a cedere nemmeno una giornata lavorativa per ripararli, tutto ciò che è pubblico è alla malora e nessuno è disposto a sacrificare una briciola del proprio tempo e delle proprie risorse se non ha in vista un ritorno personale. Insomma a Montegrano tutti i comportamenti degli individui sono family oriented.

Perché? – si chiede Banfield. Per delle ragioni mentali-culturali, è la risposta. A Montegrano si riscontra un’assenza di quella particolare forma di socialità detto “senso civico”, che è il nerbo della democrazia. Tale senso civico altro non è che lo spirito associativo (da Tocqueville considerato alla base della democrazia in America) di chi mette a disposizione il proprio tempo, le proprie specifiche attitudini e talvolta il proprio denaro in una organizzazione che persegue finalità che non ricadono nell’interesse immediato e diretto del singolo ma della collettività. Orbene, non sono i fattori strutturali, quali la miseria, l’ignoranza o la patologica diffidenza verso lo Stato che possono spiegare il comportamento dei montegranesi: “Ognuna di queste teorie contiene elementi di verità, ma nessuna basta da sola a spiegare i fatti che debbono venir presi in esame”.

I montegranesi agiscono così perché la loro base morale è il contrario del senso civico, essa si fonda cioè sul “familismo amorale”, ovvero la regola: “massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare; supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo”.

Questa incapacità di associarsi (di uscire dal guscio del proprio nucleo familiare o della propria consorteria) è fattore di arretratezza  economica e ostacolo al progresso politico.

Per Banfield: “Non si può attuare un sistema economico moderno se non si sa curare e mantenere in vita un’organizzazione professionale; in altri termini, più elevato è il livello di vita che ci si propone di raggiungere, tanto più risulterà indispensabile l’organizzazione. L’incapacità di organizzarsi costituisce ugualmente un ostacolo al progresso politico: infatti proprio dalla possibilità di coordinare, in relazione ai problemi di interesse pubblico, le linee di condotta di un gran numero di persone dipende, tra l’altro, l’attuazione di forme di autogoverno. In breve, i medesimi elementi che concorrono alla formazione di un’associazione ai fini economici, concorrono altresì alla formazione di associazioni di carattere politico”.

Io penso che la nostra comunità isolana soffra di questa sindrome “il familismo amorale”. E questa è una malattia – che impedisce la cooperazione, la collaborazione, l’associazionismo – che viene da lontano, possiamo dire è di origine borbonica.

Dopotutto non sono stato io a scrivere le frasi che seguono, ma il mio maestro Franco De Luca: “Orbene la comunità ponzese, come ogni comunità, si nutre di socialità come dell’aria per vivere. Qui però i segni sono di incipiente asfissia. Mi spiego. Ogni comunità, in quanto tale, è sostanziata, si regge, è compenetrata da un nucleo comune che la rende viva. Diversamente la comunità è assemblaggio di persone a caso poste accanto ad altre, di cui si ignora tutto, di cui vogliamo ignorare tutto, chiuse nell’individualità privata, egoistica e indifferente”.

Infatti un siffatto ragionamento porta conseguentemente e coerentemente a dire (sempre Franco De Luca): “C’è attesa che i comportamenti sociali cambino e purtroppo non è da sperare che il cambiamento inizi dal basso”.

Per questo non apprezzo i nuovi ‘arruffapopolo’ che falsificano l’identità storico-culturale della nostra isola. Non lo accetto da chi presume di parlare per il bene pubblico usando la cultura e la morale come strumenti di analisi e di persuasione.

Se ‘dal basso’ non si inizia e ‘dall’alto’ ci hanno portato alla paralisi, ci rimane ‘il familismo amorale: beate le famiglie!

 

Vincenzo Ambrosino