Attualità

A chi appartieni?

di Antonio Usai

 

Gli appassionati della Divina Commedia ricorderanno sicuramente il decimo Canto dell’Inferno, che descrive l’ingresso di Dante e Virgilio, attraverso le mura della città di Dite, nel 6° cerchio dell’Inferno, quello degli eretici e degli epicurei, cioè di coloro che non hanno creduto nell’immortalità dell’anima. Allo sguardo di Dante si presenta una pianura disseminata di tombe aperte circondate dalle fiamme. Il Poeta  è desideroso di conoscere le anime dannate di quel cerchio e, mentre si aggira tra le tombe parlando con Virgilio, Farinata degli Uberti, si tira su – “da la cintola in sù tutto ‘l vedrai” – perché riconosce dalla parlata le origini fiorentine del visitatore.

E allora si rivolge a Dante con queste parole:

Chi fuor li maggior tui?” (Inferno, Canto X, verso 42).

Chi furono i tuoi antenati?”

A chi appartieni?”

Ecco, questa espressione a Ponza è ancora molto usata – la uso anch’io – quando si vuole riconoscere l’interlocutore, specialmente quando ci si confronta con persone molto giovani e non note. Comprendere le origini di chi ti sta di fronte ti mette a tuo agio perché, come recita il detto popolare, “i frutti non cadono mai lontani dagli alberi.

Quand’ero ragazzo, spesso mi veniva rivolta questa domanda, specialmente dalle persone anziane, ed io rispondevo: “Sono il nipote di Michelina la bidella, un figlio di Lucia” e tutti capivano e, in genere, si rapportavano con gentilezza. Mai nessuno che mi abbia guardato con diffidenza o con freddezza, dopo aver presentato le mie credenziali! Per me era un motivo di orgoglio essere nipote di Michelina Montella e, tutte le volte che mi capitava di rispondere a quella domanda, il mio sentimento di gratitudine verso i miei antenati, e il senso di appartenenza a quella famiglia, diventavano sempre più forti.

Vi racconto un aneddoto molto attinente all’argomento. In occasione della festa di San Silverio del 1966 – mi ricordo l’anno perché il 1° luglio di quell’anno iniziai il lavoro da cameriere presso il ristorante Cernia al Molo Musco – insieme a Peppino Mazzella, il mio caro amico d’infanzia, scomparso tragicamente e precocemente a soli 35 anni, fui incaricato, credo dal Comitato di San Silverio, di girare casa per casa per la questua. Il territorio di competenza era quello di Calacaparra.

Passando da una casa all’altra, spesso ci veniva chiesto a chi appartenessimo. Peppino rispondeva: “Sono il nipote di Assuntina Di Fazio, giù al porto“. Io rispondevo con la solita tiritera, convinto che in pochi alle Forna conoscessero Michelina. E invece, forte fu la mia sorpresa, tutti sapevano di lei e, in qualche caso, incontrai lontani parenti che non sapevo neppure che esistessero.

Da questi incontri fortuiti nacque in me la voglia di ricostruire, attraverso lunghe chiacchierate con mia madre, con mia nonna e con zii e prozii, la consultazione dei libri anagrafici e quant’altro, l’albero genealogico della mia famiglia – ramo ponzese – e penso di esserci riuscito. Ho riportato alla luce della memoria familiare l’intero filone dei miei antenati Montella, Coppa, Aversano di sopra Giancos, Mazzella di Santa Maria.

Queste conoscenze sugli avi potranno servire alle nuove generazioni della mia famiglia per rispondere sempre con sicurezza alla domanda “A chi appartieni?” ma anche ad altre molto più impegnative: “Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?”.

Diventato papà, anche le mie figlie, Francesca e Veronica, fin da piccole, spesso si son sentite rivolgere questa curiosa, per loro, domanda: “A chi appartieni?”. All’inizio non sapevano bene come rispondere, ma poi si sono inventate questa risposta: “Siamo le nipoti di Lucia di Michelina, le genovesi, le figlie di Antonio”. A quel punto tutto era chiaro: le coordinate erano precise e complete e diventavano una sorta di lasciapassare sia quando prendevano la barca per Frontone, sia quando entravano in un locale pubblico, dove venivano trattate come ponzesi a tutti gli effetti e non come semplici turiste.

Chissà che cosa risponderà il piccolo Leonardo quando gli chiederanno, tra una partita e l’altra, durante il torneo di calcio su spiaggia a Sant’Antonio “A chi appartieni?

Forse risponderà semplicemente “Sono il nipote di Antonio Usai, il figlio di Francesca, la genovese!”.

Ecco perché, ad un certo punto della vita, ti accorgi che è importante trasmettere ai posteri le conoscenze che hai, in particolare la storia di famiglia, perché i giovani hanno bisogno di sapere chi sono, cioè credere in se stessi per raggiungere – dove andiamo? – mete più alte, realizzare i sogni in cui credono. Ma per centrare gli obiettivi prefissati hanno anche bisogno di sapere da dove vengono, conoscere, cioè, i valori e la storia della famiglia di origine, costruita pezzo per pezzo da persone semplici.

E con questo credo di aver dato una risposta  sincera e piena di condivisione a quanto scritto da Vincenzo e Polina Ambrosino (leggi qui), a margine del primo articolo, da me pubblicato il 9 gennaio scorso, sul viaggio di Eugenio verso il fronte etiopico.

Ma per potersi presentare come discendente di ponzesi che cosa bisogna conoscere oltre alla storia degli antenati? A mio parere bisogna conoscere anche la storia dell’isola, almeno i passaggi più significativi, gli elementi essenziali, attraverso la lettura dei testi sacri sulla breve vita di Ponza, a partire dalle due colonizzazioni, quella del 1734 e quella del 1776.

E questo è il compito dei genitori cresciuti a Ponza e che hanno maturato le esperienze di strada, da veri scugnizzi, negli anni Cinquanta e Sessanta, quando ancora si facevano i bagni nel porto, quando si andava a nuoto dalla Punta Bianca alla Caletta e da qui alle Grotte di Pilato, per giocare a nascondino, oppure allo scoglio della Ravia, nel casotto diroccato sul cucuzzolo, prima che fosse acquistato da un pittore tedesco. Per questo occorre sensibilizzare i giovani allo studio della storia patria ponzese, per conoscere le radici storiche e culturali della nostra comunità, l’orgoglio dei nostri padri e delle nostre madri, per trovare le energie fisiche e intellettuali per affrontare il futuro dell’isola con determinazione e successo.

 

Antonio Usai

2 Comments

2 Comments

  1. Ciro Vitiello, da Sessa Aurunca

    15 Gennaio 2012 at 21:27

    Caro Antonio, ma tu appartieni a “Eugenio e Lucia”. Io credo che ieri non eri identificabile, ma oggi si. Oggi sei “figlio di Eugenio e Lucia”!

  2. Renzo Russo

    16 Gennaio 2012 at 14:02

    I primi tempi che andavo a Ponza con la mia ragazza francese – quella che poi è diventata mia moglie – andavamo molto in giro insieme, desideroso com’ero di farle vedere tutto, proprio tutto, del posto che le avevo decantato come il più bello del mondo…
    Ma dopo qualche giorno, un po’ per farsi un’idea non mediata da me, un po’ per la sua natura indipendente, Françoise aveva preso ad uscire da sola…
    Un giorno torna a casa molto su di giri, infuriata a morte contro i ponzesi e soprattutto contro di me (!?).
    E davanti alla mia comprensibile sorpresa, e anche preoccupazione per quello che poteva esserle successo…
    – Senti! – esordisce – sia ben chiaro, eh! …Che io non appartengo a nessuno, né adesso né mai! Levatevelo dalla testa! …Tu e i tuoi compaesani!
    Ce n’era voluta per calmarla e rassicurarla che si era imbattuta proprio in quel famoso modo di dire ponzese: …E tu… a chi appartiene, tu?

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