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L’avventura africana di Eugenio alla conquista dell’Impero (1)

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di Antonio Usai


Prefazione dell’Autore

Alla Redazione di Ponzaracconta


Vorrei proporre il racconto a puntate di un viaggio del tutto particolare, non di piacere ma verso il fronte, l’altopiano etiopico, alla conquista di “un posto al sole” per l’Italia fascista. Il protagonista di questa storia, suo malgrado, si chiama Eugenio, un ponzese di adozione che ha sposato una ragazza isolana ed è vissuto a Ponza per trent’anni, fino alla fine dei suoi giorni.

Per tanti anni, Eugenio ha tenuto conservato in un cassetto, senza mai vantarsene, la croce di ferro, la medaglia commemorativa delle operazioni in Africa Orientale e l’attestato di merito rilasciato da Mussolini a tutti coloro che combatterono nella campagna d’Etiopia.

Sul comò di casa troneggiava un quadro della Madonna di Pompei, detta anche Madonna del Rosario, con una indicazione molto significativa: “Patrona dei soldati italiani in Africa Orientale”. Quell’icona mi ha incuriosito fin da bambino e quella titolazione della Madonna mi ha spinto ad intraprendere e portare avanti nell’età adulta una ricerca storica su quella guerra.

Ho iniziato partendo praticamente da zero, senza alcuna conoscenza delle cose, fatti salvi i pochi ricordi scolastici, ma con alcuni obiettivi precisi: trovare una risposta soddisfacente a tante mie domande sull’avventura italiana in Africa Orientale e farmi un idea sull’esperienza vissuta da Eugenio, intorno alla metà degli Anni Trenta, in un teatro di guerra.

Mi interessava conoscere tutto sulla Divisione di appartenenza di Eugenio, il nome, il Reparto, le dotazioni militari, la sua organizzazione; il nome del comandante, dove si era addestrata in preparazione della guerra; il porto italiano di partenza, il nome della nave che aveva trasportato l’intera Divisione in Africa, la vita di bordo durante quel lungo viaggio per mare; la rotta seguita dalla nave, il porto di arrivo e i luoghi dove si era acquartierata la Divisione una volta giunta in Africa.

Volevo conoscere la data di arruolamento di Eugenio, le mansioni da lui svolte, le azioni di guerra a cui aveva partecipato; lo stipendio di un soldato in zona di operazioni, la data del congedo, il nome del piroscafo che l’aveva riportato in Italia nel 1936 terminata la guerra; il lavoro svolto dopo il ritorno in Sardegna e la qualità della vita per la gente semplice nell’Italia imperiale, dopo la conquista di Addis Abeba.

Mi appassionava l’idea di conoscere le abitudini quotidiane dei soldati e dei militi impegnati nei teatri di guerra sugli altopiani etiopici. Ho cercato di sapere dove dormivano, come si proteggevano dal freddo, quali cibi consumavano, come veniva distribuito il rancio; come era stato risolto il problema dei rifornimenti di acqua potabile, della pulizia personale e del bucato; come si spostavano le truppe da un luogo all’altro, considerata l’estrema carenza di infrastrutture; come trascorrevano i giorni di festa e il tempo libero; il ruolo svolto dai cappellani militari, il servizio postale per le truppe, i rapporti dei soldati con le famiglie; la situazione sanitaria, le malattie più frequenti e le cure; i disagi del clima tropicale, i rapporti con le popolazioni indigene e quelli tra eritrei ed abissini da sempre nemici per la pelle.

Volevo sapere qualcosa di più sulle strategie militari adoperate dai comandi italiani, sull’organizzazione della resistenza etiope e sull’efficacia della guerriglia; sul ruolo svolto dall’aviazione militare nel conflitto; sulle atrocità compiute dagli italiani e sull’uso di armi proibite dalle convenzioni internazionali; sui festeggiamenti per la conquista di Addis Abeba, sia in Etiopia sia in Italia; sulla propaganda di guerra organizzata dal regime fascista; sulle notizie dal fronte di guerra riportate dalla stampa nazionale. In altre parole, volevo capire come un giovane di appena 26 anni, aveva vinto le paure della guerra, affrontato le difficoltà ambientali, il lavoro duro, e come aveva accolto la notizia della fine del conflitto e del ritorno a casa.

* * *

Nel 2001, il mio desiderio di conoscere le vicende della guerra coloniale in Africa Orientale ricevette un impulso decisivo: in un armadio chiuso da tanti anni con un lucchetto senza chiavi, dell’Istituto dove ho prestato servizio come docente per quasi trent’anni, insieme ad alcuni colleghi, portai alla luce numerosi libri di grande interesse storico, riguardanti proprio la guerra di Etiopia. In particolare, c’era una copia nuova fiammante dell’autobiografia del Maresciallo Emilio De Bono, l’iniziatore della campagna d’Etiopia, dal titolo: “La preparazione e le prime operazioni, anno 1935”; e quella del Maresciallo Pietro Badoglio, che concluse trionfalmente l’avventura africana, dal titolo: “La Guerra d’Etiopia  1936”.

Dallo studio di quei testi così autorevoli, dalla lettura dei diari di alcuni soldati, dalla consultazione delle pagine del quotidiano “Il Corriere della Sera” di quel periodo, presso la biblioteca comunale; dallo studio dei numerosi libri di Angelo Del Boca, il massimo conoscitore dell’avventura africana dell’Italia, e dalla lettura dei reportage dal fronte di alcuni celebri giornalisti e scrittori – molto appassionante quello di Curzio Malaparte – ho cercato di comprendere le vicende più significative di quella cruenta guerra di conquista, per conoscere, o soltanto immaginare, attraverso di esse, i quindici mesi trascorsi da Eugenio sull’altopiano.

Man mano che procedevo nella ricerca, ero sempre più entusiasta all’idea di essermi calato nei panni di un coraggioso cronista dilettante a caccia di verità taciute, o semplicemente nascoste, con lo scopo di portare alla luce la commovente storia di guerra di un uomo comune, non un eroe, non un fanatico del fascismo, non un fervente sostenitore di Mussolini, ma un giovane di paese in cerca di lavoro per costruirsi un futuro.

I soldati al fronte, ma anche quelli dell’intendenza che operavano nella logistica lontani dai campi di battaglia, conoscevano bene le atrocità compiute dai colonizzatori agli ordini di Badoglio e di Mussolini. Le rappresaglie dell’esercito occupante, piuttosto frequenti e sanguinarie, comportarono la distruzione di interi villaggi indigeni, l’arresto di migliaia di civili, la tortura e l’uccisione dei sospetti guerriglieri.

L’aviazione italiana, padrona indisturbata dei cieli etiopici, soltanto nella giornata del 4 aprile del ’36, lasciò cadere sull’esercito nemico migliaia di potenti ordigni, contenenti gas iprite, che provocarono la morte, dopo atroci sofferenze, di migliaia di abissini.

Vi risparmio gli aspetti della guerra, della quale si potrà riparlare soltanto se mi sarà sollecitato dal pubblico dei lettori di Ponzaracconta, per concentrarmi principalmente sul viaggio, per mare e per terra, di un giovane soldato che andava alla guerra.

 

Antonio Usai

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