Ambiente e Natura

Dentro una vecchia fotografia


di Sandro Russo

 

Un giorno ci si ritrova tra le mani una vecchia fotografia e si comincia a pensare… Al passato, al tempo, a tutto quel che è cambiato.

La fotografia in sé, è vero, dà qualche spunto alla nostalgia, ma è anche lì, sotto gli occhi, come prova inoppugnabile di una realtà che non si è solo immaginata; perché si sa, ognuno ricorda a modo suo… Invece, per fortuna, c’è la foto!

Di quell’epoca che mai più tornerà s’imprimono nella memoria delle immagini di una purezza assoluta. Di com’era il mondo prima che il tempo ci passasse sopra; prima delle macchine, della strada asfaltata, dei muretti, di molte delle case che sono venute dopo; anche dell’edicola e del ristorante sul marciapiede.

Senza che sia un giudizio di merito – in meglio o in peggio – la foto mostra l’incanto di un tempo in cui tutto doveva ancora succedere; di quando il futuro poteva prendere tutte le direzioni possibili, invece della sola che poi ha imboccato, che abbiamo sotto gli occhi.

E allora, andiamo a guardarla meglio, in tutti i suoi particolari, per cercare di capire, prima di ogni altra cosa, il periodo della storia dell’isola cui si riferisce.

La datazione si può fare in base a diversi elementi. Ci sono già i tre alti archi di sostegno alla via Nuova [edificati all’inizio dell’era fascista  (1919-1943); la ‘Marcia su Roma’ è dell’ottobre del 1922 – N.d.R.].

Non ci sono ancora ‘le banchine’, che furono realizzate nel 1954, per cui le case, tra il ‘grottone’ di Sant’Antonio e la Punta Bianca affacciano direttamente sull’acqua.

Non ci sono automobili: le prime macchine giunsero a Ponza nel periodo fascista (si racconta che il primo isolano proprietario di automobile fu il dott. Bruzzese Giuseppe).

Elementi aggiuntivi per la datazione della foto possono esser forniti dalle case che fronteggiano la spiaggia di Sant’Antonio. È presente solo l’edificio di Totonno Primo; isolato. Al di qua non c’è ancora la casa del notaio De Luca (edificata intorno agli anni ’50) e neanche, dall’altra parte, verso u’ rutton’, quella di Veruccio Migliaccio, progettata dal geometra Giulio Migliaccio tra il ’27 e il ’29; sicuramente prima degli anni ’30.

Quindi la foto risale ad un periodo localizzabile intorno alla metà degli anni venti. Stiamo parlando di circa novant’anni fa; quindi nessuna delle persone raffigurate nella foto è ancora viva!

Non ci sono ancora le banchine che risalgono alla metà degli anni ’50 (1954). Le case, tra il grottone di Sant’Antonio e la Punta Bianca affacciavano direttamente sull’acqua. Si vede una roccia bianca, all’estrema sinistra: è forse quella “la Punta Bianca”, o stava ancora più avanti?

Sulla perpendicolare dell’imbocco del grottone, sopra la via Nuova, non c’è ancora l’edificio dell’Hotel ‘La Baia’.

Sulla spiaggia c’erano i’ spasare, degli stenditoi rudimentali, fatti con assi di legno (i verticali) e con il fusto dell’infiorescenza dell’agave, ’a cannafeola (gli orizzontali); per le reti che a quel tempo (pre-nylon) erano di cotone ed avevano bisogno di asciugare al sole, se no puzzavano e ammuffivano. Quando i’ spasare non erano usati dai pescatori, le donne ci mettevano le lenzuola ad asciugare.

Il chiosco che si vede nella foto era ‘la pescheria’ o ‘il mercato ittico’. A dire di Ernesto e di Giosuè  u’ Cancelliere’, di pubblico utilizzo, nel senso che chiunque poteva andare a vendere lì i suoi pesci.

Immediatamente dietro la ‘pescheria’ c’era la strada: bianca, in terra e sabbia battuta dall’uso, e lo spazio intorno, adesso occupato dal deposito delle corriere, era libero. Dietro al chiosco, sotto la parete di roccia, dopo gli alti archi di muratura, c’erano delle grotte usate come botteghe di falegnami. Uno di loro, che faceva le barche a quel tempo, doveva chiamarsi Stanise. Successivamente, nel periodo della guerra e subito dopo, c’era lì la bottega di falegname di mio nonno, Ciccillo Zecca. 

La salita d’i ‘Ualàn’ è rimasta pressoché immodificata, ma mancano delle costruzioni che da sempre siamo abituati a vedere in quel luogo. L’unica casa presente, si è già detto, è quella di Antonio Feola (Totonno primo), dove attualmente c’è lo studio dentistico del nipote Antonello. Ma nello spazio adesso occupato dalla Banca – nella costruzione già casa ‘De Luca’ – si può vedere un terreno brullo; che fu poi coltivato. Era l’orto  – u’ ciardine’i Maria ’i Mastu ’Ngiulille, la cui figlia, Regina, sposò appunto il notaio De Luca. Dall’altra parte (lato grottone) manca anche la casa  – attualmente di Irio – costruita dal padre Veruccio Migliaccio, che al piano terra aprì un negozio di ‘Ferramenta’. Per contiguità con la baracca antistante del pesce, per identificare il negozio e il proprietario, si usava allora dire ‘da Verucci’a pescherìa’.

Gli uomini sono ‘vestiti bene’ per la Processione; pochissime le donne, tra loro (vedi anche foto completa); ma a quel tempo le donne erano riunite in ‘congreghe’ e stavano – in processione ma soprattutto in Chiesa – separate dagli uomini. Ci sono dei militari in divisa: uno in divisa da marinaio e altri da alpini (dice Gino Usai che le ‘camicie nere’ usavano cappelli simili a quelli degli alpini).   A fianco ad essi una ‘camicia nera’ con stivaloni alti. Qualche Carabiniere con copricapo ‘a busta’ con il pennacchio, da grand’uniforme…

Sotto al baldacchino – poi utilizzato per le processione del Corpus Domini – c’è un prete, che sembra avere dei capelli bianchi che spuntano da sotto la beretta; potrebbe essere il parroco Tagliamonte. Più a sinistra ci sono altri tre sacerdoti che guardano il baldacchino. Quello di mezzo, alto e corpulento potrebbe essere don Francesco Sandolo (non è sicuramente Dies, che è arrivato a Ponza solo nel 1939, alla morte di Tagliamonte).

La statua di San Silverio non sembra la stessa che siamo abituati a vedere, ed ha alle spalle una struttura raggiata. Appare evidente come non sia ancora invalsa la tradizione di portare il Santo in processione su una barca colma di garofani rossi. Questa usanza fu introdotta dal parroco Dies (u’ parrecchiane) intorno agli anni cinquanta. Quanto alla statua del Santo, le persone che ho interpellato propongono diverse versioni: che l’effigie che si vede in foto sia diversa da quella tuttora in uso; oppure che la statua attuale sia stata intagliata nell’Ottocento e quindi sia la stessa della foto.

Ad una indagine più approfondita sembra che le effigi di San Silverio passate per Ponza siano state ben quattro! Le vicende di ciascuna di esse sarebbero una bella storia da raccontare, da parte di qualcuno di buona volontà e buona memoria…

Ma torniamo alla foto di partenza, per qualche considerazione ulteriore.

Immaginiamo una foto presa adesso, dallo stesso punto di osservazione di questa di tanti anni fa, e capiremo anche i mugugni (o il malessere) di tanti ponzesi- americani emigrati nel periodo tra le due guerre. Quando tornavano, trovavano una realtà diversa da quella che avevano immaginato…

Mentre noi, per una maggiore dimestichezza con l’isola, avevamo avuto il tempo di adattarci ai piccoli cambiamenti di ogni giorno, essi, dietro ai loro occhi, avevano orizzonti liberi: un ‘piccolo mondo antico’ che avevano accarezzato per anni nel ricordo. Erano immagini come questa che confrontavano con il presente. E non potevano certo essere contenti di quel che vedevano…

 

Sandro Russo

3 Comments

3 Comments

  1. Mario Balzano

    7 Gennaio 2012 at 08:13

    Ottimo l’articolo! I complimenti bisogna farteli per il procedimento di analisi della foto.
    Speriamo che gli altri ti seguiranno sul metodo.
    Una curiosità: si può applicare lo stesso procedimento alla foto proposta da Rosanna Conte? – vedi qui – Poteva nel ’36 quella spiaggia essere remota visto che era raggiunta da tutta quella gente e visto che le barche a motori non erano diffuse più di tanto?
    D’altra parte Pascone vuole un posto lontano dal paese, quindi l’unica alternativa rimane Chiaia di Luna, con gli scogli in lontananza dietro la gente riferibili a quelli sul versante sud della spiaggia, verso il Fieno per intenderci…
    Chi può aiutarci a dirimere il dubbio?

  2. Vincenzo Ambrosino

    7 Gennaio 2012 at 16:00

    Bravo Sandro, dal generale al particolare, dal particolare al generale. La foto ci ha portato indietro nei lontani anni 20/30; poco è mancato che rispiravamo il profumo dell’incenso che si mescolava alla puzza delle spasare. Vita semplice e dignitosa qualcuno potrebbe dire: quella gente non potevano immaginare quello che sarebbe accaduto. Ma se guardate attentamente, nella foto noterete l’immensa precarietà: il mare sotto le case che quasi ti può risucchiare quando diventa cattivo e il pesce che si vende giù nella sabbia; e sulle spasare, prima si stendono le reti, diciamo odorose di mare, e dopo si stenderanno le lenzuola. La strada sterrata e polverosa e le botteghe senza intonaco, le case dei ricchi già in pieno sole e gli uomini che avevano l’unico vestito della festa, senza donne: dove sono le donne? Povertà, miseria, precarietà che hanno portato tanti giovani ad emigrare con la valigia di cartone a fare gli schiavi nel Bronx.
    Certo, dopo cinquant’anni, magari a S. Silverio, questi vecchi emigranti ritornano e ricordano altre dimensioni, ma non hanno dimenticato quella miseria, infatti ti parlano con nostalgia della lora infanzia, erano più forti e pieni di speranze, ma benedicono mille volte il loro raggiunto piccolo sogno americano.

  3. Lidia Porzio

    8 Febbraio 2012 at 00:10

    Sull’articolo “Dentro una vecchia fotografia”: molto bello.
    Stanise il falegname era il cugino di mio nonno Biagio e si chiamava Stanislao.

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