Ambiente e Natura

Salvatore Quasimodo, nostro fratello (2)

di Antonio De Luca

 

Per la prima parte dell’articolo: leggi qui

 

Mediterraneità

…Ma è anche l’isola di Ponza, fin dalle sue origini, figlia di quei sentimenti e ideali, di quei paesaggi interiori, di quella spiritualità mediterranea greco-latina. “Tutti siamo figli di Omero” dice De Vigny, il poeta francese. Tutto il Mediterraneo è una sovrapposizione di culture che poi nel corso dei millenni diventa unitaria, pur con tante sfaccettature; un’unica famiglia che si sposta tra le sponde di questo piccolo oceano, tra isole e città, generando nuove caratterizzazioni, nuove civiltà, nuova ricchezza. Culla di quella civiltà occidentale punto di partenza e riferimento per tutto il patrimonio culturale mondiale. Non si parte da Socrate e dal diritto greco-romano e dai vari codici, per ogni percorso culturale?

Troviamo in giro per coste e isole usi e costumi, abitudini e insegnamenti che furono nostri ma che vivono e si tramandano di generazioni in generazioni dalla Turchia alla Francia dai paesi Nord-africani, alle coste adriatiche, al mar Nero.

Il pane raffermo fatto in un certo modo per resistere al tempo, il pane dei marinai, le così dette gallette, si trovano da Istanbul a Beirut a Marsiglia; le mangiavano i nostri naviganti quando tornavano a casa. Il pane ‘simbolo’ delle religioni monoteiste  è motivo di unione di popoli: quando cade un pezzo di pane per terra lo baciamo. Così in Anatolia, nelle case di tutto il bacino mediterraneo, i panettieri prima di informare il pane facevano il segno della croce come benedizione di ringraziamento. I germogli di grano che portiamo in chiesa per Pasqua: così avviene nelle chiese orientali copte e greco-ortodosse. Il mortaio per la farina o la pietra per macinare, fino a qualche anno fa stavano nelle nostre case; ancora oggi li troviamo nei paesi africani; sono tuttora in uso del bacino mediterraneo e anche nei popoli sahariani e orientali, in Iran, in Iraq, nel bacino mesopotamico e sulle coste dalmate.

I marinai non hanno frontiere – si dice – ebbene in tutti i cantieri, troviamo gli stessi odori, gli stessi attrezzi e le stesse gesta del ‘calafato’; chi di noi non ha nella propria memoria l’odore della canapa imbevuta di trementina, così come il canto della cicala e dei grilli, che dalla Provenza al mar Nero allietano le estati mediterranee.

Qualcuno ha detto che mai con tanta attenzione, come in paesi lontani, si cercano nel mondo vegetale le piante conosciute, che ci rassicurano con la loro presenza, che non tutto è estraneo, come possono esserlo la lingua, le architetture, i codici di comportamento.

La parietaria (Parietaria officinalis) la troviamo su tutti i muri screpolati; cresce dove cade l’intonaco e ritrovarla in un luogo lontano dalla propria casa fa ritornare col pensiero al proprio paese d’origine. Così molte altre piante – le aromatiche per esempio: dal rosmarino al basilico al timo – fanno parte del nostro bagaglio ancestrale.

Già Omero parlava del vino rosso denso delle isole. Ebbene non è quella pastosità, quell’acidulo dovuto alla presenza del mare a caratterizzare anche il nostro vino dopo tremila anni?

Ho incontrato bambini in Marocco e in Portogallo che giocavano d’inverno sulla spiaggia con le scarpe. Non lo fanno ancora oggi i nostri figli? Dello spirito mediterraneo invecchia prima il corpo e poi l’anima: troppo ricca essa è, per arrendersi al tempo.

Tra i vicoli di Tangeri, di Marsiglia, di Tunisi i bambini giocano a rincorrersi, per poi sparire all’improvviso al richiamo delle mamme per la sera in arrivo. Camminiamo per città e paesi e tra i vicoli sentiamo le stesse voci; cambiano i vocaboli, ma i toni, le inflessioni sono gli stessi. Le mercanzie nei mercati, gli odori dei cibi, per strada e nelle case ci uniscono. Piatti prelibati, anche se di aspetto diverso, sono fatti con gli stessi ingredienti; sentiamo gli stessi profumi da Lisbona a Odessa nel mar Nero.

Qualcuno ha detto il Mediterraneo è un immenso archivio, una infinita biblioteca e un grande sepolcro. Noi possiamo dire che Ponza appartiene orgogliosa a quella stessa cultura. Nel nostro piccolo attraverso i secoli, i padri dei padri e ancora dei padri ci hanno nutriti di mediterraneità. Siamo figli legittimi di quella matrice, che spazia nel tempo e per i luoghi fisici; parte dalla Mesopotamia, passa per i Fenici e giunge fino ai nostri giorni. Nutrire questa cultura, esserne consapevoli per poterla conservare, è nostro obbligo morale e civile; il contrario sarebbe la morte dell’isola e della sua comunità.

Un popolo non sopravvive senza conservare e tramandare la sua storia e la sua secolare cultura.

 

Antonio De Luca

 

[Salvatore Quasimodo, nostro fratello. (2) – Continua]

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