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La deportazione libica a Ponza (1)

[1]di Gino Usai

Cadono in questi giorni i cento anni della conquista della Libia da parte delle truppe italiane e della relativa deportazione dei “ribelli”  a Ponza.

Nell’estate del 1911 il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, sulla spinta delle nascenti tendenze imperialistiche italiane, prende la decisione di entrare in guerra con la Turchia che esercita la sovranità sulla Libia.

Il 28 settembre, il governo italiano invia un ultimatum alla Turchia chiedendo di acconsentire entro 24 ore all’occupazione italiana di Tripolitania e Cirenaica; il giorno successivo viene dichiarata la guerra.

Il 4 ottobre, un corpo di spedizione di 35.000 uomini, al comando del generale C. Caneva, occupa successivamente Tobruk, Tripoli, Derna, Bengasi, Homs; le truppe regolari turche appoggiate dalla popolazione araba, resistono. Il 23 e 26, i patrioti arabi attaccano le truppe italiane a Sciara Esc-Sciat e provocano 400 morti tra i bersaglieri italiani: la repressione è immediata e brutale. Viene proclamata la legge marziale e attuata la deportazione di 2000 arabi ad Ustica; ben presto anche Ponza verrà riempita di  patrioti libici, che negli anni successivi  raggiungeranno la cifra di circa 500.

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Il 30 e il 31 Ottobre del 2002, per iniziativa dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (ISIAO) e del Centro Libico per gli studi storici, si è svolto a Ponza nei locali dell’Hotel “S. Domitilla” il terzo convegno su “Gli esiliati libici nel periodo coloniale”. Il seminario rientrava nell’ambito del Programma di ricerca storica sulle relazioni italo-libiche finanziato dal Ministero degli Affari Esteri italiano e concordato dai due istituti in applicazione del Comitato congiunto italo-libico del 4 luglio 1998. L’obiettivo era la realizzazione di un programma scientifico regolare in un accordo accademico sistematico codiretto finalizzato allo studio della tragedia dei deportati libici nelle isole italiane per toglierla dall’oblio e dal riserbo. I lavori scientifici si sono sviluppati parallelamente in Libia e in Italia.

La Commissione scientifica congiunta  dei seminari era composta da Mohammed Taher al-Jerary (Professore di Storia antica presso  l’Università di al-Fatih e direttore del Centro Libico per gli Studi storici); Salvatore Bono; Habib Wida’a al-Hasnawi; Gianluigi Rossi (professore di Storia  e istituzioni dei Paesi afroasiatici e di Storia dei trattati e politica internazionale presso “La Sapienza” di Roma e direttore del progetto all’ISIAO); Salaheddin Hasan Sury.

Il Comune di Ponza era degnamente rappresentato dall’Assessore alla Cultura Carlo Marcone, che si è mostrato abile e solerte organizzatore della cerimonia, per la parte che gli competeva; ospite eccellente. E’ stato lui ad aprire i lavori del seminario con il seguente intervento:

“Strano destino quello delle isole come Ponza, rinomate località di villeggiatura o mortificanti luoghi di espiazione di colpe spesso nemmeno provate. Lo stesso luogo visto con occhi diversi da chi vi arriva condotto contro la sua volontà e che mai avrebbe pensato di venirci.

Sono a darvi questa mattina il benvenuto nella nostra isola e ad aprire i lavori di questo terzo seminario sugli esiliati libici durante il periodo coloniale e Ponza è per voi la terza tappa, dopo le isole tremiti e Favignana, di un itinerario che può sembrare dettato dalla vocazione turistica di questi luoghi e che è invece un viaggio in luoghi di sofferenza e patimenti per onorare e preservare il ricordo di chi è stato vittima di tali barbarie.

Ci darete tante notizie e informazioni su un periodo che per molti di noi, vuoi per problemi generazionali vuoi per la difficoltà di reperire dati spesso coperti da segreto di Stato, è ancora oggetto di approfondimento: noi ascolteremo con l’attenzione e l’impegno di chi vuole trarre da questi episodi del passato le motivazioni per non più ripetere errori e causare sciagure.

Nell’augurare la migliore riuscita ai lavori che stanno per iniziare, voglio lanciare l’auspicio che i rapporti tra questa piccola isola e la grande nazione libica possano essere d’ora in avanti improntati alla cordialità e all’amicizia, collante che deve cementare le relazioni tra i popoli anche diversi per usi, costumi, tradizioni e religione, ma uniti nel deprecare l’odio, la violazione e la sopraffazione del più debole da parte del più forte. Grazie.”

(Continua)

Gino Usai