Racconti

Chiesa della SS. Trinità (8)

di Gino Usai

In un anno imprecisato, certamente prima della guerra, un noleggiatore di Catania, in prossimità di Natale, ordinò  ai fratelli Sandolo un carico di capitoni dalla Grecia da far pervenire sui mercati italiani in prossimità delle feste natalizie. Fatto il carico sul burchiello “Maria Assunta”, il capitano mise la prua verso le coste dell’Italia. Il motoveliero era comandato da Gennarino Sandolo, affiancato da suo fratello Raffaele; nostromo Biagio Rivieccio e tre marinai d’equipaggio.

Giunti nel Salento, a ridosso delle coste del Leccese, il vento da Maestrale rinforzò spingendoli verso sud e costringendoli a riparare a ridosso di Malta; ma la tempesta fu tale che li sballottò per sette giorni e per sette notti lungo il Mediterraneo, senza lasciargli tregua, tanto che furono più volte sul punto di naufragare. Le vele venivano strappate dal vento e sottocoperta era un continuo rattoppare tele. Invocarono atterriti la Madonna della Salvazione S. Silverio. Poi Raffaele impose al fratello, che s’intestardiva a puntare verso nord, di assecondare il vento e di appoggiare sulle coste dell’Africa. Giunsero così nel porto di Alessandria d’Egitto. Qui gli inglesi li guardarono con sospetto scambiandoli per spie e quel burchiello con la stiva tutta  sforacchiata e piena di capitoni gli sembrava una nave pirata sbucata dalla tormenta infernale.

Non erano pirati: erano i temerari marinai ponzesi, al comando dei fratelli Sandolo di Le Forna, leggendari capitani coraggiosi.

A Ponza intanto li aspettavano… e aspettavano invano! Erano attesi per festeggiare in famiglia il Capodanno. Il vecchio padre li attendeva con ansia da una settimana, ma di loro nessuna notizia; le comunicazioni a quel tempo erano quasi inesistenti. Si cominciò a pensare al peggio e nella famiglia si diffuse la paura e lo sgomento.

Il vecchio Salvatore telegrafò a Catania al noleggiatore per chiedergli spiegazioni. Ma lui stesso non era in grado di darle, e per saperne di più non gli restò che recarsi in un convento di monaci sulla cima di un monte per chiedere una divinazione. I monaci assecondarono la sua richiesta e nel silenzio della notte sentirono il rumore di un motore; non ebbero più dubbi e predissero l’arrivo del bastimento. Infatti l’indomani il “Maria Assunta” entrò nel porto e il noleggiatore poté finalmente telegrafare a Ponza: “Tutto bene”. Il vecchio Salvatore pianse in cuor suo e festeggiò i figli ritrovati che di lì a poco raggiunsero Ponza.

Questi ricordi si materializzarono negli occhi di Raffaele e magistralmente li rappresentò sull’intonaco bianco: abbozzò il bastimento tra le onde in tempesta e pensò al “Maria Assunta”, che negli anni successivi assumerà il nome di “S. Silverio”, quando le onde tempestose stavano per travolgerlo e affondarlo e ai marinai, sgomenti e atterriti, non restò che implorare la Madonna e S. Silverio; e s’immaginò il  “S. Salvatore” colpito a morte nelle acque prospicienti la Sardegna, riproducendone la stessa vela quadrata. Lavorò col cuore e con la fede, con abnegazione e sofferenza, dando fondo a tutte le sue capacità tecniche e umane.

Terminati i lavori e smontata l’impalcatura, Raffaele, nel guardare e riguardare il quadro dalla giusta distanza, si sentiva insoddisfatto della sua opera e chiese al parroco di far rimontare l’impalcatura perché voleva apportare alcuni piccoli ritocchi. “Non c’è nulla da ritoccare…sta bene così!” rispose soddisfatto l’arcigno parroco, e non se ne fece nulla. Il quadro rimase così senza la preziosa firma del grande Maestro.

(Chiesa della SS. Trinità. (8) – Continua)

Gino Usai

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