Ambiente e Natura

Ritratti fornesi. Filippo Ratti. Quarant’anni d’amore per Ponza


di Giuseppe Mazzella

 

Cinquemila volumi, tremila riviste, un migliaio di giornali, decine di stampe e disegni aventi per argomento un solo soggetto: le Isole Ponziane. Una ricerca durata quarant’anni, una passione per le nostre isole che non conosce pausa. Filippo Ratti, classe 1937,  studi classici, una vita da dirigente come direttore di marketing in un’importante società multinazionale, ogni anno è a Ponza, di cui è originaria la madre Romilde. Il padre, torinese, Pietro, impegnato in politica nella sinistra, dovette scontare il confino a Ponza, con puntate a Foggia, alle Isole Tremiti e a Ventotene, dove conobbe la moglie e nacque Filippo. A Ponza, anno dopo anno, Filippo ripercorre sul filo dei ricordi della madre, i “luoghi della sua prima infanzia”, si attarda la sera ad orecchiare i vecchi parlare in stretto dialetto ponzese, vive le atmosfere e gli odori di un’isola che gli appare in gran parte ancora ferma nel tempo.

Quando hai cominciato a ricercare le tue radici? – gli domando.

“Fu a seguito di un grave incidente automobilistico, 40 giorni in coma, che venni a Ponza dai nonni e dalle zie, per recuperare la salute. Era l’inverno e la primavera tra il 1962-63. Le Forna in quegli anni era uno spettacolo da fiaba. Silenzio, odori intensi, un rapporto con la gente veramente speciale, nonostante la povertà che ancora gravava su molte famiglie. La notte, poi, Forna Grande, che io vedevo dalla Montagnella, era punteggiata di fioche luci, candele e lumi a petrolio. In quei pochi mesi la mia salute rinacque, ma mi ammalai di ponzesite”.

Tuo padre, antifascista, che negli anni di confino a Ponza scrisse “Sindacalismo in Europa”, ancora inedito, cosa pensava della nostra isola?

“Amava Ponza e amava mia madre. Tornato a Torino, il suo impegno politico e nelle fabbriche, non gli permise subito di pensare di tornare. Ma a casa raccontava a me ancora adolescente che avrebbe voluto trascorrere gli anni della vecchiaia a Ponza, offrendo gratuitamente la sua opera di assistenza sindacale agli isolani. La morte, però, lo colse nel 1945. E furono poi anni difficili per mia madre che in un ambiente assolutamente estraneo seppe provvedere a se stessa e all’unico figlio in cui riponeva ogni speranza di riscatto”.

Una vita difficile, la lontananza dai luoghi nativi, ma anche una grande forza d’animo.

“Mia madre è stata una donna eccezionale. Con la sola seconda elementare, i suoi magri guadagni li investiva tutti perché io studiassi, privando se stessa anche del necessario. Quando cominciai a capire, mi diedi da fare e trovai lavori occasionali come quello di cameriere. In casa, però, mia madre mi cullava con i suoi ricordi, narrandomi di una Ponza, che è poi diventata la mia, che faceva crescere in me sempre più il desiderio di riscoprirla e conoscerla. Un desiderio che si è andato acuendo sopratutto dopo la sua morte, avvenuta nel 1990”.

Quando venivi a Ponza d’estate negli anni sessanta, andavi ovviamente a fare il bagno e dove?

“Il mio piccolo regno era Cala Feola. Io, assieme a pochi amici, tra cui Aniello Aprea, ingegnere e Pompeo Rivieccio, avvocato, andavamo a bagnarci alla Caletta o alla spiaggia della Marina. Non arrivavamo a dieci. Pochissime le donne che osavano prendere il bagno, tutte regolarmente vestite di lunghe vesti nere che sull’acqua si gonfiavano come aerostati. Una vita semplice – il turismo non c’era ancora – in cui i rapporti personali e il senso di ospitalità erano forti. La sera poi mi incantavo a sentire da Antonio Balzano (il nonno di Mario e Antonio – Ndr), che aveva allora 70-80 anni, antiche canzoni d’amore con quella dolce malinconia che ancora mi fa accapponare la pelle”.

E oggi come ti appare Ponza?

“Nel complesso non è molto cambiata, a parte le nuove case e il turismo invadente dei mesi di punta. Quello che è molto cambiato è l’anima della gente, troppo concentrata sul lucro e pochissimo attenta a tutti gli altri valori della vita. Un’isola dove non si prende nessuna decisione per programmare il futuro e dove si vive alla giornata. Di questa situazione di incertezza e precarietà vedo soffrire soprattutto i giovani”.

Cosa pensi di fare della tua raccolta?

“Avrei desiderio di donarla al Comune di Ponza o di Ventotene, a condizione che venga intitolata a mio padre Pietro Ratti e sia fruibile da tutti. Un atto d’amore per la terra mia e di mia madre, dove anche papà trovò, pur tra sofferenze, la sua felicità”.

 

Giuseppe Mazzella

 

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