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Ritratti fornesi. Intervista a Vittorio Iodice. La miniera dei miracoli

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di Giuseppe Mazzella

 

“Avevo solo quindici anni, ma ricordo ancora con nitidezza il territorio sconvolto dai lavori della Samip”, così racconta Vittorio Iodice, classe 1942, ora in pensione, dopo una vita sul mare. “Collaboravo con la ditta edile De Blasis, impegnata a costruire i silos e la centrale elettrica. Vi lavoravo come manovale. Era la metà degli anni cinquanta. Tutta la zona che va da Forte Papa alla Piana era intensamente popolata. Ci saranno state settanta-ottanta abitazioni. Quando i lavori in galleria crearono lesioni alle case soprastanti, cominciò il braccio di forza tra la S.A.M.I.P. e la popolazione, combattuta tra la necessità di un lavoro e l’abbandono forzoso della propria casa”. Mentre ricorda, Iodice ha ancora forte il senso del dramma vissuto da tanta gente, tra le quali la sua stessa famiglia, costretta a vendere e ad emigrare. “Ci fu un gruppo di irriducibili” aggiunge, che propose alla società mineraria di ricostruire in località Tre Venti, ma fu la società stessa, d’intesa con l’Amministrazione comunale, a sfavorire la cosa. E’ vero che nel periodo di massima attività la S.A.M.I.P. impiegava quasi mille persone, ma il costo che noi fornesi abbiamo dovuto pagare è stato molto alto. Come la silicosi, malattia che segnò molte vite ”.

Il territorio acquisito dalla società si estendeva in gran parte su quell’intricato e efficace dedalo di cunicoli che gli antichi romani avevano ricavato nel cuore delle colline, per raccogliere l’acqua. Un’acqua, ricorda Vittorio, freschissima e che bastava abbondantemente alle esigenze delle settanta-ottanta famiglie, all’epoca molto numerose, che vivevano nella zona. Una zona ubertosa e coltivata, come le due vallate che guardavano Zannone, ora ricoperte di terriccio e pietre e che alla base conteneva una spiaggetta che poteva ospitare in sicurezza almeno otto barche di pescatori.

Certo non fu tutto negativo, aggiunge ancora Vittorio. Oltre alla garanzia di un lavoro continuo, ci furono molte iniziative sociali come l’asilo, il dopolavoro, i doni nelle festività ai figli degli operai. Ma quante sofferenze, alle quali partecipavano in numero di alcune centinaia anche le donne. Donne impiegate in lavori maschili e faticosissimi.

Gli chiediamo cosa pensa si debba fare per il futuro di questa zona così devastata. “Io penso che tutto il terreno che è stato impiegato per riempire un laghetto artificiale debba essere rimosso. Il porto, di cui questa parte dell’isola ha bisogno, è già predisposto naturalmente. Un porto, benché piccolo, ben protetto e che si incunea nel promontorio di Forte Papa verso la località La Piana. Risanare e costruire un approdo in questa zona di Ponza oltre a rappresentare una necessità per l’armonico sviluppo dell’isola, rappresenterebbe anche una sorta di risarcimento a tutta quella gente che qui visse e soffrì per anni. Un porto, beninteso, non in mano a pochi privati speculatori, ma dato alla fruibilità dell’intera popolazione. Questo forse è un sogno, ma per chi come me ha lavorato su quelle terre calcinate, rappresenterebbe non solo una sogno realizzarlo, ma un riscatto della mia gente”.

 

Giuseppe Mazzella

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