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Costumanze antiche

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Sempre grazie a Lui, a Ernesto Prudente, “il più tenace e irriducibile testimone della storia” (prendendo a prestito una  dichiarazione di Indro Montanelli ) di Ponza, noi oggi, con la pubblicazione a puntate, su questo nostro sito, del libro “Costumanze antiche”,  andremo ad arricchire di ulteriori  elementi, di richiamo storico – culturale, la storia isolana.

Con tale libro l’autore, oltre ad allargare la conoscenza degli storici e non solo, vuole trasmettere alle future generazioni un principio fondamentale dei suoi libri e cioè che “senza storia non c’è avvenire” come egli stesso scrive.

In questa prima puntata pubblicheremo solo  la presentazione di detto libro  ed un annesso aneddoto il quale, come tutti gi aneddoti, riesce a trasmettere, attraverso un breve scritto, peraltro anche divertente, il senso alle cose e il significato dei racconti.

Gennaro Di Fazio

 

Costumanze antiche

Presentazione

La storia si intreccia con la gastronomia perché la gastronomia non è un settore trascurabile degli usi e costumi di una etnia.

Scrivete i vostri costumi se volete la vostra storia” ci ha lasciato scritto Machiavelli Noi che critichiamo e censuriamo l’allontanamento della gente dalla natura, noi che non troviamo più i sapori e “a ndore” della nostra infanzia abbiamo il dovere di scendere in campo per combattere, come possiamo, ad invogliare quelli più giovani a ritrovare la strada per riaccostarsi alle usanze, ai costumi dei loro antenati.

Senza storia non c’è avvenire!

Sento di poter dire, dato che passo la vita in mezzo a loro, a cui ho fatto dono di tutti i libri che ho scritto, che i giovani mostrano un certo interesse per le cose passate sia che si tratti di storia che di tradizioni che di gastronomia.

Oggi la gastronomia è diventata una passione, un passatempo, uno svago. Negli anni della mia gioventù non era possibile portare a casa, all’ora di pranzo, un amico che volevi a tavola con te come non era pensabile preparare per gli ospiti una minestra a base di legumi. Quando la signora Rita, strettamente legata alla cucina materna, cucina pasta e fagioli telefona ed io a mezzogiorno siedo a capo tavola gustandomi quella leccornia farcita dalla visione di un panorama indescrivibile. Giosuè, invece, perché c’è sempre pure lui, per non disperdere la concentrazione, si mette con le spalle alla vetrata.

Ho scritto questo libro, facendo soprattutto ricerche negli altri miei lavori, per non lasciar morire tante tradizioni.

Mi scuso per le omissioni. Saranno motivo per un successivo lavoro.

Anche perché ho un debito con la signora Ornella maestra nell’arte culinaria. Mi rifarò, in cambio di una cena.

Come vedrete non ho parlato di aragosta perché ritengo che mangiare aragosta non significa mangiar bene. Racconto un aneddoto:

Un giorno all’Ufficio della Capitaneria di Porto di Golfo Aranci, località della Sardegna, si presentò, con una valigia legata con cordicelle e un sacco sulle spalle, un uomo con un libretto di navigazione in mano. Al marinaio, in servizio di piantone, disse che doveva sbarcare. Il militare lo fece entrare e annunciò la sua presenza al comandante che lo fece entrare e accomodare nel suo Ufficio chiedendogli dove era imbarcato e ponendogli alcune domande di rito come se fosse stato liquidato per le sue spettanze. Il marinaio disse che era stato trattato benissimo e che non si doleva per eventuali mancanze da parte del capitano –armatore che gli aveva regalato finanche il biglietto di rientro.

Allora il Comandante del Porto gli chiese se ci fossero gravi motivi di famiglia. “Niente di niente” fu la sua risposta. Al che il Comandante, esterrefatto e anche un po’alterato, gli chiese: “Se non ci sono motivi di alcun genere, perché vuoi sbarcare?” Imperterrito il marinaio rispose: “Perché si mangia sempre aragoste!”

Ernesto Prudente