Lontano da Ponza

1734. Il viaggio di Mattia ed i compagni

di Giuseppe Mazzella “di Rurillo”

 

Mattia Mazzella aveva 38  anni nel 1734, mese in più, giorno in meno, ed aveva 7 figli. Si era sposato con una donna di Barano, Giulia Arcamone almeno 15 anni prima. I quattro  figli maschi – a dimostrazione del maschilismo anche della storia  locale –  hanno un nome: si chiamavano Sabato. Michele, Fabrizio e Bartolomeo. Ma delle tre donne non ne abbiamo il nome. Possiamo solo immaginare come spesso saremo costretti a fare in questo racconto.

La cronaca del secolo XXI abbiamo potuto documentarla con la fotografia e la videocamera oltre che dalle nostre impressioni. Ma quella del XVIII secolo possiamo solo immaginarla affondando però le radici nella Storia Scritta che abbiamo cercato e trovato.

 

Lo storico locale dell’isola di Ponza, Giuseppe Tricoli, nel suo libro del 1855 ci dice che “…in occasione che la città d’Ischia nel primo anno di regno di Carlo III fu sola nel reame a festeggiare con pompa il compleanno che ricorreva per la genitrice Elisabetta Farnese, richiamò alla memoria il di lei feudo Ponza, onde piazzarvi a duraturo ricordo una colonia di quei abitanti”.

“Per cui – continua lo storico Tricoli nel suo libro – con l’atto de’ 30 ottobre 1734 accordava ai coloni il terreno a migliorare, avendo due terzi del valore migliorato e tre anni di franchigia, per poi continuarsi la coltura in “colonia”. Essi si trattennero per la estensione di suolo che circonda il porto, a partire dalla collina la Rotonda alla intera ed estesa vallata di S. Maria, colla catena di colline da Frontone al ciglio di Luciarosa. Ciascun individuo allo arrivo si ricoverava fra quelle tante antiche grotte, o pagliata che si costruiva, ed indicava al Castellano amministratore la porzione di terreno boscoso che intendeva occupare; era così confinata e notata sul registro”.

Lo storico Tricoli – che era  un commerciante e non era un ponzese e che fu anche sindaco di Ponza – scrive ancora che fra i primi abitanti di Ponza arrivati dall’isola d’ Ischia ci fu “l’eremita Giuseppe Scotti di Sant’Angelo che vi morì decrepito, variando di dimora in dimora punti  di Ponza, e sono smemorate le di lui celle in luoghi balzasi e di pericoloso accesso”. Poi giunse  “Pietro Migliaccio di Campagnano, onde trovarvi sicuro asilo, perché ricercato dalla giustizia per reato di ferita, conducendosi la moglie Antonietta Strabella coi figli, cioè due femmine ed i maschi Gennaro, Pascale, Giuseppe, e Sabato, occupando la contrada S.Antuono ed il Fieno e tuttora lascia numerosa discendenza”.

L’arrivo di Mattia Mazzella è raccontato da Tricoli con maggior attenzione oltre 120 anni dopo l’approdo. Mattia era “compare” di Pietro Migliaccio. Avrà avuto anch’egli problemi con la giustizia. Ischia era in quel tempo un’isola in cui si uccideva con faciltà  Ma forse era un semplice contadino senza terra.

Mattia si situò “nell’intera vallata di S. Maria ove tuttavia compone un casale abitato  esclusivamente da 400 Mazzelli suoi discendenti” – scrive Tricoli nel 1855.

Tricoli scrive ancora che “in seguito si riunivano in Ponza dalle seguenti contrade le altre famiglie cioè  da Ischia, Giuseppe Tagliamone, Alessandro Conte, Antonio Garofano, Francesco Piccerillo, Paolo Colonna,Ignazio Onorato, Pascale Conte, Filippo Della Camera, Cristofaro Castaldo,Onofrio Catalano, Giuseppe Conte,Vincenzo Martino, Francesco Bernascone, Tommaso Pallardo, Angiolo Candia, Pietro d’Atri, Andrea e Filippo d’Arco, Giovanni Russo, Cristofaro Guarino, Francesco De Bernardo, Domenico Petroso, Francesco Picino, Vitantonio Mattera, Gennaro De Sio, Leonardo de Luca, Andrea Colonna, Francesco Sasso, Cristofaro De Paola, Antonio Sabatino, Antonio Petrollese,  Nunzio Galano, Giovanni Califano, Giuseppe Cimino, Antonio Amalfitano”. Ma si aggiunsero altre famiglie di Campagnano scrive lo storico ponzese  e ne segna i nomi: Gennaro Albano con moglie e quattro figli, Giuseppe e Giovanni Guarnieri, Giuseppe Conte con moglie Rosa Cuomo e figlia, Domenico Coppa, moglie Barbera Grimaldi e tre figli, Aniello Tagliamone, moglie Apollonia del Vecchio e tre figli, Crescenzo Cuomo con moglie Rosa Cavone e due-tre figli, Vito Nicolka Mattera  e Gennaro Curcio col garzone Agostino Candia”.

Ancora coloni da “Barano” e cioè: Giovan Battista de Meglio, Pietro Tagliamone, con moglie Viola Migliaccio e due figli, Gennaro de Meglio. Moglie Lucia Esposito e figlio, Antonio Conte, moglie Orsola de Meglio e due figli ed iolo Buono”. Altri coloni da “Serraro” ma deve intendersi Serrara-Fontana cioè “Cristofaro Scotti, moglie Angiola Jacono e tre figli Paolo, Pompeo e l’altra femine”.

Mattia doveva essere il “capopolo”. Era un contadino. Era analfabeta. La scuola allora era cosa per ricchi. Ad Ischia non aveva possedimenti e viveva solo del suo lavoro a giornate presso un padrone locale. Forse avrà anche avuto qualche problema con la giustizia. Il filosofo inglese,George Berkeley, che visitò Ischia nel 1717 restando 3 o 4 mesi nella lettera a Lord Percival   del 1° settembre 1717  dice che “gli ischioti hanno preso la brutta abitudine di uccidersi reciprocamente per un nonnulla” e che “l’anno scorso (1716) furono composte dal Governatore trentasei cause per assassinio: la vita umana fu valutata dieci ducati”.

Anche nella lettera ad Alexander Pope – che fece innamorare i tedeschi di Ischia per la magnifica descrizione delle bellezze naturali – del 22 ottobre 1717 scritta da Napoli Kerkeley  sottolinea che “gli abitanti di quest’ isola deliziosa sono senza ricchezze e onori così come sono senza i vizi e le follie che ne derivano e se come sono del tutto estranei all’avarizia e all’ambizione, non conoscessero la vendetta, potrebbero effettivamente corrispondere alla poetica nozione degli uomini dell’ età dell’oro. Tuttavia essi hanno preso, come per attenuare la loro felicità, la cattiva abitudine di uccidersi l’un l’altro per offese di nessun conto”.

Mattia – come tutti i contadini ci informa Berkeley nei suoi “diari” –  “portava al fianco un largo coltello da potatore, curvo all’estremità, col quale frequentemente gli ischioti si feriscono e si uccidono a vicenda”. E’ quello che i contadini di Ischia portano ancora oggi e che chiamano “u’ marrazzo”.

Il censimento del 1747  rilevò che l’isola d’Ischia aveva “16.415 anime e ben 420 preti ai quali vanno aggiunto i molti religiosi” – ci dice Don Camillo D’Ambra nella sua storia dei vescovi isolani.

***

Fu certamente  il desiderio di possedere  una terra tutta sua che lo fece decidere di  andare a costituire una colonia a Ponza. Con la sua paga giornaliera non avrebbe mai potuto acquistare ad Ischia un terreno. Viveva con la famiglia in una grotta scavata nel tufo in località San Pancrazio .

Ma sapeva anche pescare ed aveva amici fra i pescatori del Borgo di Celsa che erano circa mille ed avevano già costruito la loro bella Chiesa  dello Spirito Santo e solcavano tutti i mari del Mediterraneo con le loro feluche.

Mattia dovette chiedere ad un suo amico di  portarlo a Ponza con tutta la sua famiglia le poche cose che possedeva, i semi, la zappa, “u’ marrazzo”.

I marinai del Borgo di Celsa già conoscevano Ponza. Frequentavano Ponza e Ventotene per “svolgervi l’attività di pesca fin dal XVI secolo, soprattutto nel mese di aprile, e poi vendevano il pescato sia ad Ischia e sia soprattutto a Napoli”. Patrona particolare dei marinai di Celsa che si recavano a Ponza per la pesca, doveva essere la Madonna della Salvazione in onore della quale tra la fine del sec. XVI e l’inizio del seguente fecero dipingere un quadro con l’immagine della Madonna e ai piedi una veduta panoramica di Ponza con alcune barche che lottano contro i marosi. Questa tavola, che ancora oggi si conserva nella Chiesa dello Spirito Santo, è stata attribuita al pittore foriano Cesare Calise” (Agostino Di Lustro – I marinai di Celsa e la loro chiesa dello Spirito Santo) A Ponza avevano ricavato delle grotte per  ripararsi dalle intemperie e si fermavano con le loro feluche soprattutto nella rada antistante quella che sarà chiamata vallata di Santa Maria  dove c’erano anche i ruderi di un abbandonato monastero.

Mattia fu consigliato di  insediarsi proprio in quella vallata e “conquistare” i  terreni per poi coltivarli.

 

Quando partirono Mattia ed i suoi compagni?  Da dove partirono ?

***

Siamo seduti io e Gianni sul terrazzo di casa mia, la Villa Pithaecusa, descritta fin dal 1894 da una turista belga di lingua francese  nel suo “Diario di un ignorante” del quale Mons. Pasquale Polito mi fece dono della sua trascrizione in uno dei suoi “quaderni” con la nitida sua calligrafia e l’uso del “pennino”.

Da questo terrazzo si vede tutto il porto di Casamicciola ed il lontananza  la costa casertana, Monte di Procida e la punta di Perrone. Sotto di noi vediamo  centinaia di motoscafi di ogni dimensione, barche a vela, gommoni,  attraccati ai moli. Vediamo entrare ed uscire traghetti ed aliscafi. Abbiamo visto passare anche una nave crociera del gruppo MSC capace di portare 2mila persone.

Siamo sicuri che Mattia è partito dal Borgo di Celsa, la rada più sicura dell’isola d’Ischia,dove abbiamo fatto i nostri due viaggi in canoa. E’ partito con la feluca. Gianni ne è convinto. Il viaggio – quello stesso che noi abbiamo fatto in 50 minuti – sarà durato almeno 8 ore. Mentre noi stavamo comodi su una bella poltrona, Mattia, sua moglie, i sette figli erano stipati su una barca di  pochi metri  portata dal vento verso un’ altra isola.

Lo vediamo passare davanti ai nostri occhi, Mattia e la sua famiglia, eppoi vediamo passare tutti gli altri. 55 famiglie  per complessive 112 persone.

Dovettero partire d’ estate o in primavera cioè nel 1735  – se l’atto del Re Carlo III è del 30 ottobre 1734  – quando il mare è “la mar” di Hemingway. Non possono aver rischiato di partire in inverno anche perché dovevano seminare per raccogliere i frutti del lavoro del terreno. Mattia avrà rassicurato la moglie che l’avventura valeva la pena.

“Il nuovo Re – avrà detto a Giulia per superare le sue reticenze – ha promesso che costruirà un grande porto a Ponza che sarà il più bello del Mediterraneo. Per costruirlo arriveranno muratori, carpentieri, capo masti, oltre ad ingegneri ed uomini d’ affari. Costruirà anche una Cittadella. Non saremo soli”.

I primi anni saranno stati durissimi. Ma Mattia aveva un terreno tutto suo dove coltiva tutto dalle patate al vino, ma quello che riusciva meglio era la favetta e la lenticchia. Ampliò la sua “grotta” e proprio davanti cominciò la costruzione della casa. Una tecnica di costruzione che Conrad Haller   sottolinea nel suo libro del 1822 e che è comune a tutte le antiche  case di Ponza. Qualcosa di simile possiamo vederla ad Ischia in località Ciglio con quelle case scavate nella pietra ed alle quali si sono aggiunte stanze.

Ma qualcosa non andò bene nella famiglia di Mattia. Mattia dovette partire per andare a cercare fortuna altrove o si imbarcò come marinaio su un battello da pesca d’altura.

Non fece più ritorno a Ponza.

Silverio che ha fatto ricerche nell’archivio della Chiesa di San Silverio non ha trovato  l’annotazione della sua morte.

Probabilmente sarà morto in una giornata di tempesta affondato con il battello nel Mar di Sardegna o nel canale di Sicilia. Molto lontano da Ponza dove però la sua progenie è rimasta, ha fatto progressi e soprattutto non l’ha mai dimenticato.

 

Giuseppe Mazzella “di Rurillo”

 

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