Aneddoti

Cànte…..aragosta e politica

Cànte

– pendio s.m. Scoscesa del fondo marino dove i pesci e le aragosta si ammucchiano rendendo più ricco il pescato.

dal libro di Ernesto Prudente “Vocabolario illustrato del dialetto parlato dai pescatori e dai marinai ponziani”

Un aneddoto su questo vocabolo marinaresco

Partecipai, con il maestro Totonno Scotti alle elezioni amministrative del 1956, per aiutare Francesco Sandolo, avversario della democrazia cristiana, che si trovava impelagato in un processo amministrativo. La lista aveva per simbolo l’aragosta. Ci trovammo per caso , durante lo sfoglio, nella IV sezione posta nella zona della chiesa di Le Forna dove, a scrutinio concluso, la lista avversaria prese solo sette, ripeto, sette voti. Un plebiscito. Il presidente della sezione era un magistrato della Corte di Appello di Roma. Un simpatico vecchietto che nella lettura dei voti ripeteva: aragosta, aragosta, aragosta fino a stancarsi tanto da imporre una sosta con la richiesta di un bicchiere d’acqua. Un vecchio pescatore che seguiva lo sfoglio, a voce alta, nel sentire sempre e continuamente: aragosta, aragosta, disse: “stamme facce u cante” e dovette dare spiegazioni al presidente che si era fermato per attendere il bicchiere d’acqua che aveva chiesto e che il vecchio sagrestano, scrutatore di quel seggio, con abitazione vicina, si era mosso per andare a prenderlo. Quando tornò con il bicchiere pieno d’acqua, lo prese dal vassio e lo porse al presidente che ebbe un sussulto e, a voce alta, disse: “Non c’è da meravigliarsi, quì le chele sono finanche nelle vostre mani.”
Il buon Scarabucchiélle aveva il pollice della mano destra diviso in due come la chele di un crostaceo.

(Ernesto Prudente)

1 Comment

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  1. Silverio Tomeo

    8 Luglio 2011 at 07:59

    A proposito di aneddoti: sicuramente si ha ancora memoria sull’isola di una pratica una volta abbastanza diffusa, dicono i “maligni” ancora adesso, ma non ci voglio credere….Di che si tratta? Che nel rapporto tra “sudditi” (più che cittadini) e potere politico, amministrativo, economico, e di qualsiasi altro tipo, alcuni isolani andavano sulla terraferma (verso Roma, o Latina, una volta forse anche Napoli)a questuare le proprie preghiere e richieste, portando – come si porterebbe un bambino in braccio – una grossa aragosta viva infasciata di foglie di canne fresche. L’aragosta oscillava con le sue antenne tutto intorno, a rischio di cecare i vicini. C’è chi parla di ceste piene di aragoste vive. Merci di scambio sacrificate ai potenti o presunti tali. Io ne ho traccia labile nella memoria, le vedevo portare sin sul vaporetto e poi sul treno. Magari non erano tutte regalate per favori ottenuti o da ottenere, e qualcuna finiva nella pentola di parenti o buoni amici…Anche in questo caso si tratterebbe di aragoste e politica…

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