Medicina

Animali ubriachi… e anche peggio

di Sandro Russo

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Ogni tanto, per stimoli occasionali, mi ricordo della mia vita passata di medico e tossicologo (stavo al Centro Antiveleni dell’Università di Roma) e provo a mettere insieme qualche notiziola che può interessare i lettori di Ponzaracconta.

Tempo fa Iole Pomponi aveva pubblicato un breve articolo sul corbezzolo, che aveva innescato un mio commento e un possibile sviluppo su cui ho pensato di scrivere:
“Il raccontino di Iole mi ha ricordato che i corbezzoli (a Ponza appellati sorve pelose); a Cassino – mio luogo di nascita e formazione “terricola”, per parte paterna – si chiamano invece ’mbriachelle perché gli uccelli che se ne nutrono; prediligono quelle in fase avanzata fermentazione), poi hanno un volo un po’ incerto, da vera e propria ebbrezza alcolica.


Per associazione di pensieri mi sono anche ricordato, dal mio passato di tossicologo appunto, della Zoofarmacognosia”.

La Zoofarmacognosia – conoscenza della farmacologia attraverso gli animali -, a dispetto del nome astruso, è una scienza interessante.
È una branca delle Scienze Naturali che studia, attraverso i comportamenti degli animali che per istinto si curano (o anche si inebriano) attraverso l’ingestione di alcune piante – …e sì, anche gli animali “si fanno”! -, le implicazioni che possono derivarne per l’uomo.

In passato e nelle civiltà contadine in genere, gli uomini erano grandi osservatori della natura e dei comportamenti degli animali, con cui spartivano l’ambiente e la vita. Si racconta che in questo modo – osservando l’inusuale stato di eccitazione delle pecore che si abbeveravano ad un particolare stagno in cui cadevano e maceravano bacche di piante presenti sulle sue sponde – siano state scoperte le proprietà stimolanti della pianta del caffè.

Elefanti e alci su di giri. Ogni tanto compaiono, su giornali scientifici o anche sulla stampa generalista, segnalazioni di elefanti responsabili di danni a persone o cose, “ubriachi” per essersi abbuffati di frutti fermentati di marula, un albero africano che può raggiungere anche 20 metri di altezza. In passato, gli scienziati le avevano messe in dubbio sostenendo che i pachidermi, essendo così grandi, dovrebbero mangiare enormi quantità di quei frutti per sbronzarsi.

L’Albero di Marula (Sclerocarya birrea) è una delle grandi piante indigene africane. Appartenente alla famiglia delle Anacardiacee come il mango, il pistacchio e l’anacardo

Non la pensa così Mareike Janiak in un articolo su Focus (1): gli elefanti si nutrono principalmente di fogliame, quindi non sono geneticamente in grado di metabolizzare l’alcol. Come anche gli alci, che sono stati visti con sintomi simili all’ebbrezza e addirittura con le corna incastrate tra gli alberi, dopo aver mangiato mele marce.

Tupaia, è un genere di mammiferi dell’ordine degli Scandentia. Abbastanza simili agli scoiattoli, se ne differenziano per alcune caratteristiche morfologiche e funzionali

La volpe volante malese è un pipistrello appartenente alla famiglia degli Pteropodidi, diffuso in Indocina, Indonesia e nell’Arcipelago delle Filippine

La regola c’è, ma non vale per tutti gli animali. Va molto meglio alle volpi volanti e ad altri pipistrelli, o ad altri piccoli mammiferi come la tupaia: loro sì che reggono bene l’alcol dopo una scorpacciata di frutta ben fermentata! Restano in piedi anche scimpanzé, bonobo e gorilla. Vanno matti per la linfa di palma fermentata: la rubano dai contenitori appesi agli alberi in cui viene raccolta per produrre il vino di palma. Per aver vissuto due anni in Sri Lanka, sono abbastanza esperto della raccolta di nettare dalle infiorescenze di palme, da sottoporre poi a fermentazione alcoolica, dal nettare di Kitul, al toddy, all’Arrak (2).

Ma perché queste differenze? Perché gli umani e le specie a noi affini sono equipaggiati per metabolizzare l’etanolo.
Infatti la particolare suscettibilità degli animali agli effetti dell’alcool dipende è genetica.
Tutto si può ricondurre alla capacità di metabolizzare l’alcol che dipende dall’enzima (epatico) alcol-deidrogenasi. A differenza degli animali, ma non tutti allo stesso modo – gli umani sono equipaggiati con l’enzima, a sua volta indotto da una mutazione del gene ADH7 che migliora la capacità di metabolizzare l’etanolo. E anche nell’ambito della specie umana ci sono differenze.

Preliminarmente bisogna comprendere come l’alcol (o etanolo) una sostanza potenzialmente tossica, viene metabolizzata nel corpo umano

Una volta nel nostro corpo l’alcol (o etanolo) arriva al fegato dove viene convertito in acetaldeide da un enzima chiamato alcol deidrogenasi (ADH), l’acetaldeide viene quindi catturata da un secondo enzima presente nei mitocondri delle nostre cellule e chiamato acetaldeide deidrogenasi (ALDH). Questo secondo enzima converte l’acetaldeide in acido acetico il quale a sua volta verrà decomposto in acqua e anidride carbonica.

Schema super semplificato del metabolismo dell’alcol nel nostro fegato

In questa catena metabolica il composto più tossico è l’acetaldeide, la cui pericolosità è però mitigata dalla rapida azione dell’ALDH.
Molti asiatici, però, hanno delle variazioni sia nell’ADH che nell’ALDH che compromettono il corretto funzionamento della catena metabolica descritta sopra.
In particolare circa l’80% degli asiatici possiede una variante molto più efficiente dell’ADH in grado di convertire l’etanolo in acetaldeide con una frequenza molto superiore alla norma. In aggiunta, il 50% della popolazione orientale mostra una versione meno efficiente del secondo enzima ALDH che converte perciò l’acetaldeide in acido acetico con una frequenza minore.
In sostanza, se da un lato la produzione di acetaldeide tossica aumenta, mentre dall’altro la sua distruzione è ridotta, il risultato finale non può che essere l’accumulo nel sangue di questo composto.
Si determina così  una sintomatologia complessa che nell’immediato dà origine ad un rossore diffuso e a segni evidenti di ebbrezza anche per l’assunzione di piccole quantità di alcolici; successivamente si manifestato sintomi che variano da postumi di “sbronza” particolarmente prolungati, a una vera e propria intossicazione da acetaldeide (3).

Per le popolazioni asiatiche questa predisposizione all’intossicazione da acetaldeide è un’arma a doppio taglio. Sono chiaramente attratti dall’alcol, ma per certi aspetti è un fattore che aiuta a ridurre l’incidenza dei casi di alcolismo, visto che il bere diventa una pratica poco gratificante (un’efficienza maggiore dell’enzima ADH nella degradazione dell’etanolo porta anche ad una riduzione degli effetti più piacevoli di una sbronza). D’altro canto un maggior accumulo di acetaldeide è associato ad un incremento del rischio di tumore all’esofago nei bevitori (l’acetaldeide è carcinogena nell’uomo). Trattandosi di un disordine genetico, inoltre, non esiste ad oggi una cura valida e i farmaci generalmente utilizzati agiscono solo sulla riduzione del rossore cutaneo senza effetti sull’intossicazione da acetaldeide. L’unico metodo efficace per prevenire questa sindrome e i suoi effetti è, tristemente, non bere.
Ho un’esperienza diretta di ciò.
Il tourist driver che frequentavo in Sri Lanka – dire tassista è riduttivo; funzionano come veri accompagnatori turistici, anche responsabili e attenti a che i loro clienti non si mettano nei guai – accompagnò in un tour un giovane turista giapponese e lo teneva costantemente d’occhio consapevole della particolare risposta di quel popolo agli alcolici. Solo che l’ultima sera (la mattina dopo doveva partire) gli sfuggì e quello andò a festeggiare a modo suo. In breve, lo dovette andar a recuperare in condizioni pietose, lo portò a casa sua e dovette lavarlo a fondo perché aveva anche avuto un attacco incontenibile di diarrea; alla fine riuscì in qualche modo a rimetterlo insieme e a imbarcarlo su un aereo per il Giappone

Tornando agli animali, la predilezione degli animali allo “sballo” non riguarda solo l’alcool; anche alcune specie di funghi sono appetite dagli animali, in particolare l’Amanita muscaria, “il fungo delle favole” di cui abbiamo già scritto e Biagio Vitiello ci dice che si trova anche a Ponza.

Esemplari giovani di Amanita Muscaria

Appendice:
Alimenti tossici per gli animali domestici
Mi sembra pertinente (e utile), con i residui delle mie conoscenze tossicologiche mettere in guardia i compagni di animali  – “proprietari” non è bello – contro i rischi cui possono andare incontro i nostri amici, soprattutto cani e gatti; più i primi per la loro nota ingordigia e minore selettività nei confronti de cibo.

Le sostanze presenti in quasi tutti i tipi di cioccolata, e responsabili degli effetti tossici negli animali, sono due metilxantine: la teobromina e la caffeina, la cui concentrazione varia a seconda del tipo di cioccolato considerato. Nella maggior parte dei composti a base di cioccolato la teobromina è comunque il componente tossico predominante, mentre la caffeina è presente in concentrazioni molto più basse (a scopo indicativo, 28 g di cioccolato amaro con un contenuto di 400 g. di teobromina, possono essere letali per un cane di 5 kg).
Le metilxantine come inibitori della fosfodiesterasi; determinano aumento dell’AMPc, favorendo così la funzione delle catecolamine; si pensa che tale meccanismo d’azione sia alla base della sintomatologia presente negli animali con intossicazione da cioccolata, compresa la stimolazione del sistema nervoso centrale (irrequietezza, poi iperattività fino a tremori e convulsioni), la sete intensa con iper-diuresi e la tachicardia.

Cani e gatti (ma maggiormente i gatti) sono suscettibili alla tossicità delle cipolle, generalmente non assunte come tali crude, ma nei piatti  cucinati che le contengano.
La tossicità delle cipolle è dovuta alla presenza al loro interno di alte concentrazione di composti solforati. Nel corpo degli animali si formano disolfuri sono potenti agenti ossidanti, in grado di causare emolisi degli eritrociti (rottura dei globuli rossi, per carenza di glutatione ridotto). In linea di massima, per cani e gatti la tossicità della cipolla nei cani si manifesta quando la quantità di cipolla nel cibo supera lo 0,5% del peso totale dell’animale.  Come regola generale, il modo di dire che “il gatto ha nove vite” ha una certa base di verità, ma riguarda soprattutto la resistenza ai traumi fisici, mentre sono estremamente suscettibili (i gatti) a veleni di ogni tipo tanto da essere utilizzati come animali da esperimento per testarli (orribile da sentire e da scrivere per un gattofilo).

Uva fresca e uva passa, frutti molto appetiti dai cani per il loro sapore dolce, si possono rendere responsabili di gravi intossicazioni in questa specie animale. A seguito dell’ingestione di tali alimenti i soggetti più sensibili manifestano inizialmente turbe gastro-intestinali che possono evolvere in insufficienza renale acuta. Il meccanismo d’azione e l’eziopatogenesi dell’intossicazione da uva nei cani restano ancora sconosciuti. Le teorie fino ad oggi formulate includono disturbi metabolici, l’azione di un composto nefro-tossico (?) presente nell’uva nonché reazioni individuali (idiosincrasia).

Pane e dolci datti in casa, se ingeriti dai cani in gran quantità possono dare luogo a sintomi anche gravi, già a poca distanza dall’ingestione. Il caldo-umido dell’ambiente gastrico stimola la lievitazione e quindi l’aumento di volume dell’impasto, fino a dare compromissione della respirazione e della vascolarizzazione. Oltre all’imponente aumento di volume, la lievitazione produce anche un notevole quantitativo di etanolo (derivato dal processo di fermentazione del lievito), con i sintomi conseguenti (atassia e disorientamento, depressione del sistema nervoso centrale ed incontinenza urinaria.


Note

(1)https://www.focus.it/ambiente/animali/alcol-come-fanno-gli-elefanti-a-ubriacarsi

(2) – La palma Kitul in Sri-Lanka: https://www.fondazioneslowfood.com/it/arca-del-gusto-slow-food/melassa-di-kitul/

(3) – https://potenzialedazione.wordpress.com/2014/07/08/la-sera-leoni-la-mattina-o-la-scienza-dellhangover/

(4) – Intossicazioni “indoor” negli animali domestici. 3: intossicazione da alimenti. Della Rocca G., Conti M.B., Fuccelli A. Dipartimento di Patologia, Diagnostica e Clinica Veterinaria – Facoltà di Medicina Veterinaria Università degli Studi di Perugia. Bollettino AIVPA – 2009/4
Intossicazioni-indoor-negli-animali-domestici-parte-3-intossicazione-da-alimenti.pdf

N. B. – Immagine di copertina: Vignetta: “Qualcuno può spiegarmi come sono finito quassù?Shutterstock [immagine di fantasia, scelta da Focus (e anche da me) per attirare l’attenzione sull’articolo, che invece è ‘serio’ e documentato].

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