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La pelle d’angelo di Teodora

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dal libro “Racconti dall’Isola

di Franco Schiano

 

 

La cala delle Felci o più semplicemente “O’ Fèlice”, come viene chiamato dagli indigeni, per via di alcune piante di felce che da tempo immemorabile lì allignano, a pochi passi dal mare.

Quasi a strapiombo su due minuscole spiaggette di pie­truzze levigate dai mare e dai colori e forme incredibili, la roccia, ha una varietà di colori che difficilmente ho potuto riscontrare in altri luoghi.

Si passa dai giallo ocra al giallo chiaro, dai grigio perla al grigio antracite, dal bianco latte macchiato al bianco panna, dal rosso sangue al rosa sfumato e ancora arancione, terra di siena, smeraldo…

Poi tutti questi colori, rispecchiandosi nel mare circo­stante, fanno di quella piccola insenatura, protetta dai venti del secondo e terzo quadrante, una delle più belle dell’isola di Ponza.

Non so quante volte durante le mie estati ponzesi ho fatto il bagno in quella stupenda caletta. Ogni volta sempre un’emozione nuova.

Qualche giorno fa, gustavo per l’ennesima volta quest’angolo di paradiso, facendomi cullare dalla leggera risacca nei pressi della battigia della spiaggetta di sinistra, quel­la più piccola, quando arrivò un gruppetto di una decina di bagnanti – scaricati da uno di quei gozzi che portano i turisti in giro per le calette di Ponza.

Tutti insieme, dando chiara dimostrazione di sapere quel­lo che stessero facendo, si misero a raccogliere bianche pietre di friabile bentonite bianca, di cui l’area abbonda. Poi sempre con l’aria di chi sa quello che fa, cominciarono a pestare queste pietre su una grossa roccia nei pressi del bagnasciuga, aggiungendo acqua di mare. In poco tempo venne fuori una poltiglia di bentonite che cominciarono a spalmarsi per tutto il corpo. Io guardavo stupito ed incuriosito.

Debbo confessare che dopo che l’ultimo turista lasciò quell’angolo di paradiso non ho resistito alla tentazione e mi sono anch’io cimentato nel pestaggio con acqua di mare di qualche pezzetto di bentonite bianca. Mi sono cosparso il corpo con quella poltiglia dal sapore di mare e un lieve profumo di zolfo. In attesa che si seccasse mi sono steso al sole e mi sono addormentato…

Teodora apparteneva ad una famiglia di minatori della SAMIP, la società mineraria che sfruttava dagli anni trenta il giacimento minerario di caolino e bentonite di Ponza. La sua famiglia costituiva anche il nucleo principale di seguaci della Chiesa Evangelica, che a Le Forna aveva un certo numero di adepti. In quell’epoca pre-conciliare i rapporti tra Cattolici ed Evangelici erano pessimi a tutti livelli. Sull’isola poi si aggiungevano asti locali, religiosi e non. Il nome Teodora in un certo modo voleva essere una sorta d’insulto ai cattolici locali, per via della profonda devozione di questi a San Silverio Papa e Martire, patrono dell’isola e ucciso per mano di un sicario di Teodora, regina di Bisanzio.

Il nome Teodora – nell’immaginario collettivo isolano dell’epoca – era un nome esecrato in quanto ricordava la “perfida” persecutrice del venerato protettore dell’isola. Insomma il padre l’aveva chiamata Teodora per far dispetto ai cattolici ponzesi, tutti fedelissimi di S. Silverio.

Capelli di un nero corvino, così intenso che a volte avevi la sensazione che avessero dei riflessi blu. Erano lunghi, ma li portava sempre raccolti in un bel toupè tenuto insieme da una “pettinessa” di madreperla di evidente buona fattura artigianale.

Acconciatura che poneva in evidenza un magnifico collo affusolato e candido su un corpo elegante e sinuoso che si indovinava coperto da vestiti dal taglio e dai colori poco appariscenti. Anche se decisamente castigati, gli abiti non riuscivano a nascondere delle caviglie sottili, termina­li di gambe sicuramente lunghe.

Poiché, inspiegabilmente, data la sua avvenenza, non era ancora sposata, avendo superato la trentina, era considerata una “zitella”

La gente la chiamava Teodara ‘a sapunera, scendeva al porto di Ponza da Le Forna, con il suo carico, tutti i mercoledì.

Si fermava in due punti – uno a via S. Antonio e l’altro in Piazza – tutti lo sapevano e l’aspettavano o la raggiungevano per comprare la sua merce: sapone.

Pezzi grandi di sapone per il bucato e più piccoli per il corpo.

Il sapone per il bucato era fabbricato con la tecnica del sapone di  Marsiglia, leggermente morbido, aveva un lieve profumo di lauro di limone.

Teodora otteneva questo tipo di sapone miscelando nelle giuste e segrete proporzioni sego, olio ricavato dalla spremitura con sistemi rudimentali – dell’alloro o del limone (foglie, rami e bucce di limone), un po’ di bento­nite bianca e soda naturale ottenuta dalle ceneri di alcune piante marine a lei solo note.

Era il sapone più venduto anche perché il più econo­mico e, in molti casi di famiglie meno abbienti, veniva usato indifferentemente anche per corpo.

Le saponette erano bellissime: colorate, rettangolari o ovali, dal profumo intenso di “spicandossa” (lavanda) o di menta limoncella (erba limoncina). Dure e fabbricate con la tecnica della zona di Savon(a), acquisita dai marinai liguri che capitavano con i loro bastimenti nel porto di Ponza. Non contenevano sego, ma un olio ricavato dalla spremitura di sansa e foglie d’olivo e alloro. Nella saponetta c’erano pezzetti di foglie di erba limoncina, di lavanda, petali di rose ed altre erbe e fiori essiccati.

Poi c’era un altro manufatto, era quello di cui Teodora era più orgogliosa. Lei io chiamava “La pelle d’angelo”. Era un prodotto, come si direbbe oggi, di nicchia.

In un vasetto d i vetro c’era una poltiglia biancastra, composta da bentonite bianca, con qualche traccia minima di zolfo, acqua di mare, olio d’alloro e mandorle selvatiche, erbe aromatiche e foglie di rose finemente triturate.

Le poche signore che se la potevano permettere, la spalmavano sul corpo e sul viso ed ottenevano un effetto peeling intenso ed allo stesso tempo delicato.

Una vera pelle d’angelo, come diceva la “pubblicità” di Teodora: l’antesignano del moderno Scrubb !

In qualche caso particolare Teodora si recava a casa della cliente e procedeva personalmente a spalmarei suo ritrovato sulla pelle della privilegiata signora.

La cosa scatenava maldicenze di ogni genere, non si sa quanto fondate o quanto generate dalla guerra di religione tra cattolici e protestanti, come sommariamente veni­vano definiti gli evangelisti (evangelici).

Ma questa è un’altra storia.

Al risveglio mi sono risciacquato in mare lo strato di  fango essiccato e, dopo aver constatato sulla mia pelle gli effetti della maschera di bentonite bianca delle Felci, non ho potuto far a meno di pensare alla “Pelle d’Angelo” di Teodora ‘a sapunera.

Chissà che uno dei prossimi giorni su e-bay insieme alla pubblicità de “I Sali del Mar Morto” – scrubb per il corpo della ditta Bottega Verde, troverò quella de “La pelle d’Angelo” di Teodora ‘a sapunera scrubb per il corpo a base di bentonite bianca dell’isola di Ponza!

Franco Schiano