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Ricordi di traversate

[1]di Silverio Lamonica

Proprio questa mattina, 7 maggio, curiosando tra i libri esposti “Al Brigantino” mi è balzato agli occhi una recentissima pubblicazione di Maurizio Appicelli “Postali nel Golfo di Napoli dal 1800”.

Lo studioso ventotenese effettua un excursus dei collegamenti marittimi dall’era dei Borbone ai giorni nostri. Un lavoro molto interessante, soprattutto per quel che concerne la documentazione fotografica.

L’autore dedica poi uno spazio ampio, del resto doveroso, all’affondamento del Santa Lucia del 24 aprile del 1943 in cui persero la vita quasi tutti i passeggeri, vittime innocenti, tra cui il papà di Mirella Romano che tuttora tiene vivo il ricordo, anche con l’istituzione di un museo a perenne memoria di quella tragedia.

Dopo quattro anni da quell’ avvenimento tanto funesto, nel 1947, i collegamenti tra Ponza e la terraferma non si erano ancora normalizzati del tutto, tanto è vero che feci il mio primo viaggio verso “il continente” sul gozzo a motore di Di Scala “u vuzze ‘e Sciammereca ”. Era la primavera del 1947. Mio padre mi accompagnava a Terracina, da lì, in pullman raggiungemmo Borgo Montello, vicino Latina, dove mio fratello Tommaso insegnava nelle scuole elementari. Il viaggio in mare avvenne di notte. Ero rannicchiato sotto coperta da dove scorgevo la sagoma del timoniere, Carmine Cuomo, nonno di Franco Faruffini, che guidava con perizia quel guscio di noce, con la stessa grinta di Padron Silverio, che esattamente cento anni prima, con una barca a remi e a vela, traghettò da Gaeta a Ponza Pasquale Mattej. A Padron Silverio, lo storico formiano dedicò il primo capitolo del suo libro di viaggio, riproducendone l’immagine. Giungemmo a Terracina alle prime luci del mattino.

Il viaggio di ritorno a Ponza, l’anno successivo, partendo da Gaeta, lo feci con una nave della SPAN, simile a quella affondata nel ’43 e, probabilmente, riportata a pag. 39 del libro in argomento, con la didascalia: “Ventotene – arrivo del postale”

Spulciando il libro di Appicelli, ho notato però che non c’è traccia del “Gennargentu”, una nave a carbone, lenta e scomoda, immessa sulla linea agli inizi degli anni ’50, tanto da suscitare le proteste dei cittadini. Uno di questi, Ciro Cuomo, figlio del timoniere Carmine, al momento dell’attracco gettò in mare, con rabbia, la sagola che il marinaio di bordo aveva appena lanciato a terra durante la manovra di ormeggio. Per quel gesto subì il fermo da parte dei carabinieri. Purtroppo Ciro, meglio noto come Girotto, non aveva fatto i conti con la pavidità dei compagni, i quali, invece di appoggiarlo, presero le distanze anche fisicamente, arretrando di corsa dal luogo del “misfatto”.

Il “Regina Elena”… altra nave storica, con cui effettuavo le traversate da Ponza verso Napoli, dove studiavo, e viceversa, faceva scalo a Ventotene e Santo Stefano, lì il piroscafo si fermava in rada (il porto non c’era) ed imbarcava i passeggeri ed i reclusi coi ferri ai polsi, che si avvicinavano con le lance alla paratia della nave. Dopo un viaggio di ben otto ore (una minicrociera) con altre soste a Forio, Ischia Porto e Procida, si arrivava finalmente a destinazione: il Molo Beverello a Napoli.

All’epoca si viaggiava sia in prima classe, dove c’erano poltroncine in vimini e divani imbottiti, oppure in terza classe con panche in legno, ovviamente il costo del biglietto era diverso. Anche i servizi igienici erano diversi: quelli di prima classe erano indicati all’inglese W. C., quelli di terza classe erano Latrine.

La differenza di classe scomparve nel corso degli anni ’60 con l’arrivo delle nuove navi, tra cui l’Isola di Ponza. Anche allora i comandanti cercavano di garantire i collegamenti da Formia con le isole sfidando le avversità “meteomarine”. Ricordo, in particolare, una traversata da Formia a bordo dell’ “Isola di Ponza” nell’inverno del 1968. La nave allora partiva dal Molo Vespucci e appena arrivato in pullman da Ausonia, dove insegnavo, notai con rammarico  le onde che si infrangevano paurosamente contro la diga foranea. Il comandante, dopo aver valutato i pro e i contro e invogliato dal suo vice, il capitano Giordano di Ventotene, decise di salpare. Non sto qui a descrivere il rollio e il beccheggio. Il comandante, per distrarre i viaggiatori, teneva accesa la radio di bordo che trasmetteva canzonette. Ma all’altezza del promontorio di Gaeta la musica leggera finì, subentrò la rubrica religiosa “Tre minuti per te” di Padre Virgilio Rotondi che, proprio durante un’impennata paurosa del “Ponza”, esordì in questo modo: “Fratelli, pregate!” Lascio a voi immaginare i volti pallidi e affranti dei passeggeri! Comunque, giungemmo a Ponza alle ore 21,30 con circa tre ore di ritardo.

Nel 1975 la SPAN cambiò nome: CAREMAR.  Subentrarono le nuove navi Adeona, Vesta, Fauno, Tetide… che a Ponza avevano difficoltà ad attraccare. Si pensò al “dente” al Molo Musco, per facilitarne l’ormeggio, poi si optò per l’ampliamento della Banchina Nuova. Ma agli inizi degli anni ‘80 i pretesti non mancavano per impedire che arrivasse la “nave nuova”: l’ormeggio era difficile con i venti di Ponente e di Levante. Ci furono proteste e manifestazioni di piazza. Alla fine gli ostacoli furono superati. Ora tutto è diverso, grazie anche agli aliscafi.

Ma quando la CAREMAR sarà sciolta, come sembra, cosa accadrà?

Silverio Lamonica