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Leggendo di Chiaia di Luna…

di Lino Catello Pagano

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Leggendo di Chiaia di Luna nel racconto di Raffaele Sandolo, ho pensato ai miei di giorni, mesi, anni… trascorsi dalle 7 del mattino alle 7 di sera, sempre in guerra di mia mamma, che mi diceva che bisognava bagnarsi “quando esce il sole sulla spiaggia”. Il sole arriva a coprire la spiaggia di Chiaia di Luna verso le 10,30..! Io avevo una complice, che andava all’unisono e d’accordo con me… Ci si vedeva alle 8 giù a Chiaia di Luna; chi arrivava primo aspettava l’altro.

Era la mia più cara amica ed è ancora una mia carissima amica. Sto parlando di Lucia Mazzella detta d’a’ Russiéll’. Abitavamo vicinissimo e la maggior parte della giornata la passavamo insieme.

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Partivamo organizzati per fare pesca subacquea. Eravamo i primi; avevamo rotto un ombrello e con i ferri della raggiera facevamo gli archi con le frecce. Nel nostro piccolo, tutti i giorni portavamo la cena per la famiglia: un cerniotto, due o tre polipi, qualche pintirré, patelle e altro… Si cenava e ci perdonavano le nostre marachelle: la cena era assicurata.

Iil giorno dopo per poter andare prima alla spiaggia avevamo escogitato con Lucia di salire su una pianta di gelsi; ci dipingevamo tutto il corpo di rosso e per togliere il tutto dovevamo andare a mare.  Restare a mollo per far sì che il sale si mangiasse il colore… Posso dirvi che alla fine il colore della mia pelle e quella della mia amica Lucia era di colore marrone e i capelli quasi bianchi.

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Chiaia di Luna era per noi la seconda casa. Quando si univano a noi i miei cugini, Franco Migliaccio e Giovanni Migliaccio, facevamo un buon  gruppo: dalla mattina alla sera a pescare tra gli scogli e tutto intorno alla Schien’ i’ ciuccio. Recuperavamo dei bei polipi, qualche dentice e qualche cernia; per queste ultime bisognava andare verso ‘a mandria’ dove tra i sassi caduti c’erano delle tane e pesce in abbondanza.

Quando arrivavamo sotto al Fieno, nella zona profonda ma con pesci grandi, facevamo scorta di Patelle. Ce n’erano tantissime, proprio sulla punta. Ritornavamo a casa con chili di patelle!

Una mattina Lucia si presentò con un ombrellone che distruggemmo in un attimo, per recuperare i ferri che erano più duri, e sparare su pesci più grandi. Ci organizzammo facendo due archi, con due frecce a testa. Nel giro di un paio d’ore avevamo in mano due pezzi ‘unici’. Mia madre era spaventata perché quelle frecce erano come armi in mano a dei ragazzini, però noi eravamo coscienti di quello che facevamo. Eravamo sempre ad un metro uno dall’altro, per paura che qualche pesce grosso potesse spaventarci, ma non avevamo paura di niente, andavamo a nuoto dalla spiaggia fino a Capo Bianco a raccogliere i rufoloni.

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Questo sono io, bella faccia da schiaffi, ma simpatico!

Un giorno il mio papà decise di venire anche lui, con la barca e la bombola; aveva deciso di farmi provare le bombole. Per me era la prima volta con le bombole e avevo paura.

Arrivammo sulla punta del Fieno dove le patelle viste dall’alto sembravano dei piattini da caffè attaccati agli scogli.

Mi preparò, mi spiegò bene come mettere le bombole e come respirare. Lui, mio padre, era pronto con la maschera messa, pronto ad intervenire in caso di emergenza. Ero pronto, attaccato ancora alla barca, con Lucia che mi diceva: Dai che è facile!

Uno… due… tre…e mi lasciai andare. Incominciai a respirare e a scendere; man mano imparavo a sincronizzare i movimenti e il respiro; nuotavo e scendevo senza problemi. Così cominciai a staccare e mettere nel retino che avevo al fianco le patelle… Passai quasi un’ora a fare patelle. Quando uscii dall’acqua ero viola in viso e battevo i denti dal freddo, ma avevo portato sulla barca una trentina di chili di patelle …e che patelle!

Al ritorno a casa la divisione: la parte più abbondante per Lucia, perché erano in tanti in casa; un po’ per mio zio Silverio, un po’ per i miei nonni dind’ ‘a Padùr’, e il restante era il nostro pranzo per la domenica.

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Di Lino Catello Pagano