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Chiaia di Luna

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Chiaia Di Luna

di Dante Taddia

Ponza è mare e roccia. Roccia e mare.

Ma è la roccia che entra nel mare o piuttosto è lui che si spinge così ad accarezzare le pareti a lui sovrastanti ? Mi piacciono le due alternative.

Quelle pareti i francesi le chiamano falaises,  falesie, nome che per loro rievoca bianche scogliere,  una manica di mare del nord coperto dalle brume dove il corno da nebbia risuona ma che a Ponza è solo grida di gioia di vivere e di immergersi in quel mare.

Figurarsi poi quando chiamano,  forse in modo riduttivo per la bellezza “la falaise”, l’anfiteatro di Chiaia di luna…

Io preferisco chiamarlo così,  anfiteatro,  perché l’immagine che fornisce è quella d’un proscenio per assistere allo spettacolo della natura che dalla notte dei tempi fa assaporare ogni giorno il tramonto del sole annegando gli ultimi raggi dorati in uno smeraldino chiaro-blu cobalto d’acqua.

Da quella parete tufacea giallognola a picco, l’anfiteatro permette di chiudere in una dissolvenza di luci e colori la rappresentazione del giorno in cui gli attori principali,  il sole,  il mare e il cielo hanno interagito in combinazioni e sfumature che nessun regista saprebbe mai programmare con identica armonia.

Anche per andarci, a Chiaia di Luna, c’è quasi un rito d’iniziazione per pochi adepti.

“Andiamo a fare il bagno a Chiaia dato che sicuramente il mare è calmo lì”.

E’ la voce del gruppo,  un qualcosa che non si sa perché,  ma qualcuno ha già detto in precedenza fin dalle ore del mattino e che si ripete ad ogni incontro con  chi sta andando al mare.

“A Chia’liuna ‘u mare è calme”. E’ la sentenza di zi’ Umbertino, ‘u piscatore”

E’ strano dire andare al mare parlando di un’isola ma tant’é. Ponza ti offre sempre il miglior mare possibile perché,  qualunque vento spiri c’è sempre la possibilità di un bagno in acque calme e limpide riparate  dal vento. Ecco quindi “andare al mare”. Andare a trovare il mare che vuoi.

Era la prima volta che andavo a Chiaia di Luna proprio perché col vento di levante si sarebbe increspato troppo il versante del porto e a Chiaia invece il mare era calmo.

La prima volta. E come tutte le prime volte diventa tutto indelebile.

Lasciamo il porto e ci incamminiamo per una strada che sale dolcemente ma che sale. Mi guardo intorno,  case,  verde, cielo azzurro. E si continua a salire…

“…Vabbè che vengo dalla città e dall’Adriatico ma il mare in salita non l’ho ancora visto” faccio un poco scocciato.

E per tutta risposta una gran risata generale del gruppo di amici ed ecco il mistero svelato.

Da un lato della strada si apre l’antro della grotta fatata,  un tunnel in opus reticulatum in cui si affacciano squarci di cielo azzurrissimo,  aperture per aria e luce. E poi un’altra grotta,  ancora più scura,  un vento salmastro che sa di mare buono,  di alghe,  di fondale,  di fresco,  entra prepotente nei polmoni,  il buio totale che gli occhi abbacinati dal sole rendono ancora più impenetrabile,  i piedi che trovano da soli il cammino giusto sulle asperità del tracciato,  una curva nella grotta la intravedo solamente,  gli occhi ancora non assuefatti al buio.  E si procede fra grida festose e risatacce. Mi lascio guidare dagli amici,  dal loro passo sicuro. Il profumo del mare si fa intenso,  la curva termina e la grotta pure e… come se un grandioso occhio di bue avesse bucato la scena con una luce di smeraldo sfumato in turchese proiettato nel buio circostante…  si apre lo scenario di Chiaia di Luna.

Sotto al cielo azzurrissimo e incorniciato da rocce policrome si stende come una moquette un mare trasparente e scintillante al sole appena increspato qua e là da qualche refola di vento,  su cui sembrano sospese due o tre piccole imbarcazioni. Sospese,  tanto è difficile stabilire  la linea di galleggiamento da quella dell’immagine speculare riflessa sull’acqua e poi…  il resto.

E’ tutto detto.

Gli occhi hanno indelebilmente impresso l’animo con questa immagine,  per sempre.

Ci torneremo ancora e ancora e ancora, e ogni volta è la stessa sensazione,  gli occhi “impressionano” ogni volta la lastra fotografica dell’anima di quell’immagine che si sovrappone a quella conservata precedentemente,  a quella precedente,  a quella precedente… ma senza cancellarla.

Aggiungendo ogni volta qualcosa, che è sempre unico.

Dante Taddia