Geologia

Quel giacimento minerario (1)

di Ernesto Prudente

La storia della miniera è un resoconto lungo e difficile da narrarsi anche per i molteplici e complicati risvolti umani che comporta.

Che Ponza fosse un’isola di vasto interesse geologico lo affermarono e lo sostennero quegli avventurosi pionieri (Hamilton, Fortis, Dolomieu, Doelter, Ventura, Sabatini, Von Rath e altri, tanti altri) che, dalla seconda metà del 1700, misero piede sull’isola richiamati ognuno dalle notizie del precursore. Ma che contenesse un vasto giacimento di minerale tale da essere sfruttato per anni,  per le sue qualità, si venne a saperlo soltanto  negli anni che ruotano intorno al 1935, quando, il 21 ottobre, ebbe  inizio la perforazione della prima galleria che attraverserà una ingente e quantitativamente abbondante massa bentonitica che era stata scoperta con una lunga serie di ricerche.

Autore di tutto ciò – merito o demerito? – fu l’ingegner Francesco Savelli, nato nel 1890 ad Asciano, in provincia di Siena, e morto a Roma, alle Fosse Ardeatine, il 24 marzo 1944.

Savelli sbarcò a Ponza agli inizi del 1933 richiamato, forse, da qualche scritto che parlava di questo minerale isolano. Ne avevano trattato alcuni autori classici latini e se ne parlò, più diffusamente, quando, nel 1807, il governo del regno di Napoli, a cui l’arcipelago ponziano apparteneva, concesse in enfiteusi al medico chirurgo Gabriele Antoduro l’isola di Gavi ‘perché la coltivasse, la utilizzasse per la caccia e sfruttasse l’interessante miniera di creta  che si smaltisce nella capitale per la manifattura delle stoviglie’. Due secoli or sono si conosceva già un uso di questo minerale.

Alla fine dell’estate del 1933,  il Savelli, partecipando a Milano al 1° Congresso Internazionale della Ceramica e del Vetro, 16 – 25 settembre, parlò dei ‘supponibili giacimenti di bentonite esistenti a Ponza’ e, nella stessa sede, lanciò un invito a tutti gli studiosi, presenti e non, perché si interessassero delle particolari caratteristiche geologiche delle isole ponziane, già segnalate da eminenti studiosi italiani e stranieri. Un invito che non fu raccolto forse per le particolari difficoltà che l’isola presentava in quel periodo. Le linee di comunicazione erano difficoltose e scadenti, ma soprattutto l’isola era un luogo di confino politico. L’invito  venne ripetuto, e sempre senza accoglienza, anche l’anno seguente, 1934, al Congresso minerario di Iena.

L’isola, per motivi politici, diventò tabù per i forestieri, per tutti quelli che vi erano nati e per quelli che avessero interessi ma che risiedevano in altri comuni. Nessuno, non residente, poteva imbarcarsi sulla nave diretta a Ponza se non munito di uno speciale permesso di imbarco che rilasciava il Ministero degli Interni dopo aver ottenuto tutte le informazioni dalle prefetture e dalle questure dei luoghi di provenienza. Tutto questo era poi sottoposto al benestare della Direzione della Colonia di Confino di Ponza. Per sbarcare a Ponza bisognava, non solo essere iscritto al P.N.F. (Partito Nazionale Fascista – N.d.R.), ma ‘essere ben noto e di condotta ineccepibile’.

All’inizio del 1935 il Savelli tornò di nuovo a Ponza accompagnato da valenti collaboratori e da giovani studenti che, ognuno per la sua parte, effettuarono un accurato studio geologico, geochimico e geofisico. Il risultato fu la conferma della scoperta, tra Cala Fontana o Cala dell’Acqua e Cala Caparra, sul versante nord – occidentale dell’isola, di un vasto giacimento di bentonite la cui consistenza venne valutata in diverse diecine di milioni di tonnellate. Nell’ottobre del ’35 Savelli pubblicò una prima monografia su questa nuova risorsa mineraria italiana, rimaneggiata poi e riedita nel 1943 per l’Editore Hoepli.

Alla fine dei suoi studi, l’ing. Savelli, accompagnato da due testimoni, Giuseppe Feola e Amedeo Mastropietro, si recò al Comune di Ponza per verbalizzare davanti al Commissario Prefettizio, cav. Bruschelli, comandante M.V.S.N. (Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale – NdR) di Ponza, la scoperta di un giacimento minerario. Dal  verbale risulta che: “…tale scoperta ed accertamenti sono stai fatti dal dott. Savelli sul fronte nord della insenatura ‘Cala dell’Acqua’ sulla costa occidentale di quest’isola di Ponza. L’accertamento del giacimento è stato compiuto dal dott. Savelli con una galleria lunga fino ad oggi 20 metri su tale fronte, attraversando una massa compatta ed omogenea di Bentonite, e scoperchiamento e pozzi sul fronte stesso e più a nord, tanto da assicurare la vera e reale scoperta di un giacimento di notevole consistenza.

Ricevuta tale dichiarazione convalidata dai due testimoni oculari che hanno sempre assistito agli studi e lavori compiuti dal dott. Savelli, il sottoscritto Commissario Prefettizio del Comune di Ponza si è recato sopraluogo ed ha personalmente constatato la esatta veridicità dal dott. Savelli e dai due testimoni affermata e qui verbalizzata a tutti gli effetti di legge”.

Era il 28 ottobre 1935, giorno più che festivo nell’era fascista. Forse Savelli  lo scelse appositamente per diffondere la sua fede fascista e per essere aiutato contro l’assoluto scetticismo con cui venne accolta la sua scoperta. Una parte della scienza italiana restò diffidente e ci fu anche chi battezzò questo minerale “terra bianca”.

Come tutte le cose nuove, la bentonite venne accolta sul mercato con molta incredulità.

Il primo impiego avvenne nell’industria delle ceramiche e dei materiali edilizi. Successivamente ebbe largo uso nelle fonderie per la produzione di acciaio, ghisa, alluminio duro e altri metalli. Venne impiegata nella chiarificazione dei vini, dei liquori, della birra e dell’aceto. E ancora, nella perforazione dei pozzi petroliferi.

Il suo impiego non ebbe confini: surrogò la cellulosa nella fabbricazione della carta e della pellicola di plastica; nella fabbricazione dei saponi e dei detersivi; venne usata nella preparazione dei prodotti farmaceutici; ebbe impiego nella industria tessile; ed ebbe anche largo uso nella industria dei colori e delle vernici.

La bentonite forma nel terreno uno strato impermeabile che non consente all’acqua di penetrare negli strati sottostanti. L’acqua che si infiltra nel terreno con la pioggia, una volta a contatto della bentonite scivola su di essa fino a raggiungere uno strato di minerale diverso in cui continua l’infiltrazione, oppure raggiunge il mare. I romani, a conoscenza di questa caratteristica, la sfruttarono per la raccolta delle acque piovane di cui tanto avevano bisogno sia per l’uso degli abitanti dell’isola sia, soprattutto,  per avere sempre disponibile una scorta d’acqua per fronteggiare le richieste navali. Era infatti l’isola luogo di stazionamento di una flotta di pronto intervento e di rifugio per le navi in transito. I romani, nel territorio di Cala Fontana o Cala Acqua, crearono una serie di gallerie e cunicoli per raccogliere l’acqua che filtrava  da tutte quelle zone che avevano una base di bentonite. Queste gallerie e cunicoli confluivano tutti in una grossa cisterna, scavata sempre nella medesima area, che proprio per questo motivo prese il nome di Cala Fontana o Cala Acqua. Dato che l’acqua era necessaria nella parte sud-orientale dell’isola, quella popolata e fornita di approdi – i romani crearono un collettore sotterraneo per portare l’acqua prima nella parte orientale dell’isola, da Cala Acqua a Cala Inferno, e da qui attraverso un camminamento di scorrimento che ha dell’incredibile, attraversarono tutta la parete orientale dell’isola, portando l’acqua nella zona portuale.

Ernesto Prudente

(Quel giacimento minerario. (1). continua)

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