Prudente Ernesto

“Alfazeta” voci del dialetto ponziano (1)


Una vecchiaia senza interessi uccide più della morte.


 


Introduzione


Nel luglio del 1993, dopo anni di ricerche, diedi alle stampe un glossario ponzese, “A Nzèrte”.  Fui spinto dalla paura che la parlata dei  nonni  stesse scomparendo sotto le cannonate dei mezzi di informazione e dell’istruzione di massa che hanno portato, giorno dopo giorno, alla formazione di  un linguaggio, sciapito e incolore, il più possibile uniforme, che ha distrutto la forma dialettale.


Il dialetto sta morendo, dicendo così mi voglio illudere, perché quasi certamente è morto già, sia a Ponza che negli altri paesi, ovunque.


Non c’è giovane che ardisca esprimersi in dialetto.


Ccà nun ce stà cchiù  nisciune ca te dice c’a pettule è na paròle dialettale  che significhe doje còse. Pe primme è chille piézze i cammise, chille i nanze o chille i rète è a stésse còse,  comme è a stésse cose si a cammise è d’a fémmene o dall’òmme, che , sfacciatamente, facenne  finte i niente, tante nisciune se fa russe cchiù pecché u scuorne  è state sfrattate da na sentènze i nu giùdece d’assalte,  che sporge a chille pòste,  proprje llà addo nun sa fosse fa vedé.


A pettule, cu tiémpe, s’à pigliate nu sacche i mode i dicere, assaje bèlle, comme:


“ sta sèmpe sotte a pettule d’a mamme” ( chiste è nu pruverbje c’à fennute i campà, pecché mò nisciune cchiù sta sotte i pettule d’a mamme) ; “à fatte  a società i pettulancule e cumpagne”; “ pare c’a pettule s’arròbbe a cammise”;  “a pettulélle i mammà”.  E nce ne stanne ancòre .


Ma a pettule int’a case d’a nonne significave pure n’ata còse: quella sottile sfoglia di pasta  abilmente preparata e distesa con il mattarello per ritagliarla, poi, una volta asciugata,  a listelli da condire, dopo averla bollita, con il sugo del ragù  o da completare il piatto di legumi.  Nelle lenticchie la nonna metteva le pettule e diceva che aveva cucinato paste e lummiccule.


Ho l’atroce dubbio che i cultori delle tradizioni locali, compresa quella linguistica,  siano sempre più rari. C’è rimasto qualche dilettante allo  sbaraglio che va facendo tesoro, accussì, pe sfìzìje, di  definire le caratteristiche  del luogo dove vive e della sua gente. La massa se ne strafotte. Quando poi nel giorno di San Silverio non vede il palo della cuccagna, non vede l’oro addosso al Santo, non vede, in quel giorno, gli uomini  in giacca e cravatta,  allora insorge e dice: Ccà stamme perdénne a féde. No!, nuje amme pèrze tutto. Della agricoltura e della pesca, le nostre attività economiche, nun è rimaste cchiù niénte.eppure u paése è crisciute cu i sorde i chille lavorature.  Nun ce stà nu giovene ca sape putà nu file i vite, nun ce sta nu   giovene ca pure jénne a pescà sape  fa na magle vicine a rézze stracciate,  sape nferì na  spaccature o sape fa nu marruffe.  I può  truvà  sule ncòppe u cammusante. Non l’abbiano a male quei miei cari amici, più o meno della mia età, che sono i simboli di un ricco passato, perché sono loro che mi notiziano in merito.


In altre parole la pronuncia dialettale rimane ma la riserva di vocaboli dialettali si va impoverendo giorno per giorno così che la parlata si è ridotta ad un italiano tradotto in dialetto che non può essere forma dialettale pura e sincera.


Della lingua dei nonni non c’è rimasto neanche lo strascico. E in questo anche la scuola ha dato il suo diretto destro. Da leggere o da studiare una poesia in dialetto contribuirebbe a non far progredire la malattia. E di poesie belle, nella nostra parlata, ce ne stanno a caterva. Sono poesie vere; esprimono sentimenti, emozioni, sensazioni e passioni con verità e bellezza che commuovono il cuore e l’immaginazione.


Debbo fare un esempio?  “ L’ammore /  l’ammore è comme fosse nu malanno / ca, all’intrasatte, schioppa dint’o core / senza noavvertimento, senza affanno, / e te po ffà murì denza dulore.  ( Totò )  Ma dove questi nostri figli e nipoti possono avere la possibilità di aprire un libro di Di Giacomo, Russo, Nicolardi, Bovio o di altri. Un libro di Franco De Luca che scrive e regala come una seminatrice a straccune (spaglio)  quando quì, in questa terra,  pur baciata dal Creatore, non esiste alcunché che possa avvicinare la gente alla cultura della propria terra, che non significa avere la  laurea o il diploma appeso dietro una scrivania. Anni fa, tanti, Mario Feola , il papà del geometra Salvatore, tornando da una ”campagna” di otto mesi nei mari dell’estremo oriente mi spiegò, con una semplicità da maestro, la vita di quei popoli  illustrandomi  tradizioni,  usi e  costumi. Fu una lezione da ateneo che ancora ricordo e conservo. Andiamo a Le Forna a parlare con Costantino Vitiello, novantottenne, per farci raccontare la sua vita, un lunghissima vita trascorsa sul mare  su un gozzo di sedici palmi tra gli anfratti della costa sarda.


A novembre del 2008 pubblicai il “Dizionario illustrato del dialetto parlato dai pescatori e dai marinai ponzesi”. Intesi fare un omaggio a , ne cito solo qualcuno, Gennaro Valiante e Antonio Cristo, due giovani che hanno preso la via del mare.


Continuo a scrivere queste cose  perché mi diverto e mi diletto e mi auguro che le stesse sensazioni le provino chi legge, Spesso qualche  amico che ha letto qualcosa mi ferma per avere maggiore informazione se non  per spiegarmi meglio una  certa cosa che lo ha colpito o, addirittura,  per suggerirmi termini nuovi.


Per fare progressi dovrebbe scendere in campo una istituzione che metta a disposizione un centro culturale che funzionerebbe anche da ritrovo. Quì la gente non sa come passare il tempo libero, specialmente durante la stagione invernale. I vecchi si rintanano presto perché manca la compagnia. Sono sempre gli stessi e sempre più pochi quelli che si vedono tutti i giorni. I giovani e i graduati sono all’aperto, soffia o non soffia il vento. Un gruppo si raduna in piazza discutendo solo su due argomenti a seconda della stagione, pesca e caccia. Oggi sono per ami, totanare  calamari, dentici e cernie; domani per cartucce, polvere, pallini, tordi e beccacce . Ci sono poi i lunghi  letarghi.  Altri gruppi sostano a  Sant’Antonio e qui le discussioni sono più variate e più variopinte. Alle otto, con la corriera che parte per le Forna, i gruppi si dividono e si sciolgono. La stessa situzione del centro  si vive a Le Forna.  Sul notturno meglio non mettere occhio. Ci si potrebbe anche disgustare.


Paese abbandonato che degrada giorno per giorno. Si aspetta l’estate non per migliorare culturalmente ma per fare soldi. Si pensa solo a quelli.


Non sono uno studioso del dialetto ponziano, non né ho le capacità, sono un amante di questa parlata, che è quella dei nostri antenati,  Sono un cultore del suo modo di definire perché è dolce, espressivo, poetico. Dipinge e scolpisce il soggetto dell’espressione


E’ ben noto che quando si scrive in dialetto si incontrano difficoltà infinite.


Io mi sono appoggiato il più vicino possibile a quanto ho sentito dalla viva voce cercando di portare sulla carta, come una nota musicale, il suono della parola più esatto e più fedele possibile. Mi sono servito  della pronuncia dei veri isolani, quelli, nella cui casa, si è sempre parlato nella forma dialettale. Giosuè Coppa, Giustino Mazzella, Livio Vitiello, Gaetano De Martino e tanti, tanti altri, che, sin dalla nascita, hanno “zucate” questo modo di parlare. La pronuncia di una parola dialettale è autentica  soltanto se esce dalla bocca di chi in quel luogo è nato ed è vissuto e sono vissuti i suoi genitori.E’ difficile, molto difficile tradurre in segni alfabetici certi suoni che solo la voce riesce ad esprimere  E quando sono nati  dubbi su un modo di dire ho preferito riportare la parola “incriminata” nei vari modi che la pronuncia suggeriva. Basterebbe guardare con attenzione alcune parole che iniziano con la  Nc o con la Ng. Troverai scritto “ncattevàte” e “ngattevate”;  “ncagliate” e “ngagliate”, dopo una lunga serie, con larga partecipazione, di esami fonetici.


Nel nostro dialetto il genere dei nomi, quasi sempre,  dipende dal cambiamento di una vocale all’interno della parola: ntussecuse, maschile, e ntussecose, femminile;  zuzzuse, maschile, e zuzzose, femminile; suorve, maschile, e sòrve, femminile, oppure dall’articolo: u sprùcete, a sprùcete; a gnore, u gnore.


Il plurale dipende quasi sempre dall’articolo: U zamprevite – i zamprevite, u scungille – i scungille, a sègge – i sègge, a nucchètte – i nucchètte.


Punti essenziali della parlata ponziana sono l’accento e l’apostrofo. L’accento può essere grave o acuto a seconda se la sillaba accentata, che è l’anima della parola,  deve  esprimere un suono largo e aperto o un suono chiuso e stretto.  L’apostropfo, che è molto usato nel nostro idioma, è adoperato, come nella lingua, quando una parola termina con una vocale, non accentata, e la seguente comincia con una vocale per evitare un cattivo suono che si avrebbe dal loro incontro. Piglia il posto della vocale con cui termina la parola.


Le particolarità fonetiche del  dialetto ponzese si possono, a mio parere, così esprimere:


1 )  Tutte le parole vengono accentate secondo la pronuncia in modo tale  che la sillaba venga pronunciata con maggiore intensità rispetto alle altre;


2 )  La vocale  e  non accentata è sempre muta sia che si trovi in finale di parola che all’interno della stessa;


3 )  L’accento grave sulle  e  ed  o  serve ad  indicare un suono largo e aperto;


4 )  L’accento acuto sulle vocali  e  ed  o  indica un suono stretto e chiuso;


5 )  Le parole che finiscono in  gle  vanno pronunciate con la  e  muta, dando alla sillaba  gle  il suono che essa ha nella parola coniglio;


6 )  Le parole che finiscono i  chje  vanno  pronunciate senza le vocali finali dando alla  ch  il suono che essa ha nelle parole macchia  o chiesa;


7 )  Le parole che finiscono in   che  vanno pronunciate dando alla  ch  lo stesso suono della parola barca;


8 )  L’uso dell’  j   al posto della vocale  i  ha lo scopo di dare alla stessa un suono più prolungato;


9 )  Tutte le voci verbali della prima e terza coniugazione sono accentate per indicare la sillaba tonica;


10 )  I nomi, nel passare dal maschile al femminile, cambiano una vocale all’interno della parola: nennélle – nennìlle, nfuse – nfose, peccerìlle – peccerèlle, ntussecuse –ntussecose;


11 )  In molti casi  il genere dei nomi si distingue dal tipo di articolo.


12 )  Spesso la vocale finale dell’aggettivo che precede un nome si trasforma da  e  od  o in una quasi  u : belle-uaglione in bellu uaglione; male-tiémpe in malu tiémpe;


13 )  L’articolo  o  , nella nostra parlata  si converte in  u: u dite, u mare, u lione, u  stipe, u munaciélle.


Sono questi i principali accorgimenti a cui mi sono attenuto nel portare a buon fine questo mio lavoro, dimenticando che a molte parole si antepone  una  a: auciélle per uccello, aiére per ieri, arùte per ruta, alàcce per làcce.


Prima di chiudere, non posso  non esimermi dal dovere di ringraziare tutti quelli, e sono tanti,  che mi hanno dato una mano nel reperimento, nella scelta e nella trascrizione delle parole. Particolari  riconoscenza e gratitudine  vanno a Giosuè, amico dall’ infanzia, che spesso per aiutarmi è stato costretto a indossare, con sofferenza, i miei vestiti. Cu i cazune ca nciarrevàvene ncòppe i ginòcchje mi ha sempre sorriso.


Ernesto Prudente


Questa rubrica è divisa, per questioni tecniche, in 2 sezioni, la prima, questa, comprende i vocaboli che vanno dalla lettera A alla lettera M compresa.


La seconda sezione, contrassegnata dal titolo “Alfazeta” voci del dialetto ponziano (2) comprende invece i vocaboli che vanno dalla lettera N alla lettera Z compresa.


 


A


 


A – la   art. prep.  la, a.


 


A bacante –  a  vuoto  agg. Che non contiene nulla dentro di sé, sforzo inutile, senza effetto, mandare o andare a vuoto, invano, privo, mancante.


 


Abbabbià – lusingare  v.   Allettare, intontire.


 


Abbabbiàte – intontito  agg.  Confuso, lusingato. E’ abbabbiato chi si lascia sedurre, chi è sorpreso dalla meraviglia, chi è rimasto sbalordito.


 


Abbaccate – corrotto  agg.  Di persona facile alla corruzione.


 


Abbadà – badare  v. Stare in guardia, fare attenzione.


 


Abbajàte – ghiacciato  agg. Del pesce che appena pescato viene travasato in una vasca contenente acqua ghiacciata.


 


Abballà – ballare  v. Muovere i piedi secondo il ritmo di una musica, danzare, fare quattro salti.


 


Abbambate – avvampato  agg.  Acceso in viso, rosso, bruciato.


 


Abbasate – posato  agg.  Tranquillo, attempato, serio.


 


Abbasce- giù  avv.  Sotto, nella parte bassa.


 


Abbastà  v.  Bastare  v.  Soddisfare, appagare, accontentare.


 


Abbastante – sufficiente  agg.  soddisfacente.


 


Abbaste – perché  cong.  A patto che.


 


Abbaste ca pò – ma va  escl. Non posso credere, non è vero.


 


Abbate – dono  sm. Per la festa del lastrico, consisteva in un omaggio che parenti e amici facevano a chi gettava il solaio di una nuova casa. Consisteva in un cesto con dentro coniglio, pollo, pasta, vino, zeppole e altra roba, coperto da un panno colorato. Quando arrivava l’omaggio gli operai, che battevano il calcestruzzo con una grossa mazzola, gridavano: viva l’abbate. Gli “abbate” venivano consumati da tutti, operai e familiari, alla fine della gionata di lavoro.


 


Abbelute – avvilito  agg.  Depresso, scoraggiato, umiliato, accasciato.


 


Abbentà – avventare   v.  Scagliarsi con violenza  di parole, di pugni, di giudizi; gettarsi con impeto, scaraventarsi.


 


Abbesugnà – bisognare  v.   Abbisognare, necessitare, occorrere, convenire.


 


Abbetiélle – scapolare  sm.  Immagine sacra che, cucita in un pezzo di stoffa, si metteva al collo dei bambini.


 


Abbià – avviare  v.   Incamminare, andare avanti, indirizzare, accendere.


 


Abbìate – partenza  sf.  Avviamento, inizio, muovere i primi passi, rincorsa, principio, fare la prima mossa.


 


Abbiénte – pace  sm.  Stato d’animo tranquillo, quiete, riposo.


 


Abbonde – in punta  avv.  All’estremità.


 


Abbrile – aprile  sm.  Uno dei mesi dell’anno.


 


Abbrucà –  abbassamento di voce v. Divenire rauco, afono.


 


Abbrucate – afono agg. Di persona che ha la raucedine, arrochito.


 


Abbrumate agg.     Si dice quando una tavola di legno della carena è tarlata o cariata dalla azione della teredine, tarlo marino vermiforme.


 


Abbrustulature – tostatore sm.  Tostacaffè


 


Abbrustulì – tostare v. Arrostire, rosolare.



Abbrustulute – abbrustolito agg. Cotto eccessivamente.


 


Abbuccà – rovesciare v. Capovolgere, inclinare, piegare.     Dicesi quando un natante si inclina su di un lato fino ad arrivare con la fiancata al pelo dell’acqua o addirittura quando l’acqua penetra in coperta capovolgendolo.


 


Abbuccate – inclinato agg. Piegato, rovesciato, capovolto.


 


Abbudecate – capovolto agg. Ribaltato, rivoltato, rovesciato. Es: a lanze s’è abbudecate é a gènte è gghiute a fennì a mare.


 


Abbuffà – gonfiare v  Accrescere, aumentare, dilatare, tumefare, inturgidire, saziarsi per copiosa ingestione di cibi.


 


Abbuffate – gonfio agg  sazio, ingrossato. Sf scorpacciata.


 


Abbunaccià –  abbonacciare v.  Il calmarsi del mare e del vento.


 


Abbunate – semplicione agg. Ingenuo, babbeo, allocco, credulone, lento, bonaccione, sprovveduto.


 


Abbunnanze– abbondanza sf.  Dovizia, copiosità, in grande quantità.


 


Abburate – bruciacchiato agg. Tipica bruciatura causata dal ferro da stiro.


 


Abburtì – abortire v. Fallire, sfumare, andare a monte.


 


Abbuscà – guadagnare v. Intascare, lucrare, rimediare, essere bastonato.


 


Abbuttà – riempire v. Colmare fino all’orlo come una botte piena, gonfiare, annoiare, infastidire.


 


Abbuttunate – cauto agg. Sospettoso, accorto, guardingo, previdente, vigile.


 


Abbuttunature – abbottonatura sf. Parte del vestito dove sono sistemati i bottoni e le asole.


 


Abbuzzà – abbozzare v.   Tenere fermo con una legatura provvisoria (bozza) una


catena o una cima tesata al massimo per evitare che durante la manovra per avvolgerla ad una bitta o ad una calorce essa scorra facendo perdere quello che è stato tesato. Sopportare, subire, pazientare, redigere la minuta di uno scritto o di un disegno.


 


A bonde-a bonde – all’estremità loc avv. In punta. Es: Chélla paròle  a tènghe abbonde a léngue, in punta di lingua.


 


A brétte – a sproposito loc. Alla buona, senza competenza, tanto per dire qualcosa..


.


A cagne – in cambio  loc. Al posto di, in sostituzione di, invece.


 


Acalà – calare  v.  Abbassare, ammainare, gettare in mare,  calare il prezzo, il canestro, il calzone, gli occhi, il capo, le ali. Anche il sole e la luna s’acalano.


 


Acalate- chinato agg. Curvo, abbassato, piegato, nascosto.


 


A ccà – qua avv. Da questa parte, di quì, a questo punto, per di qua.


 


Accalurate – accaldato agg. Febbricitante, accalorato,  sudato.


 


Accannà – rincalzare v. Rimboccare il terreno intorno ad una pianta, tesare una cima allentata.


 


Accannate – avvicinato agg. Messo accanto.


 


Accantunate – accantonato agg. Accatastato, messo da parte.


 


Accapà- scegliere v. Sistemare i pesci nella cassetta.


 


Accapace- casomai  avv. Eventualmente, può darsi, facilmente, probabilmente, magari.


 


Accaparrà – accaparrare v. Incettare, riservare per sé le cose migliori.


 


Accapezzà- unire v. Mettere insiene, attaccare, accoppiare, collegare, unificare, agganciare, allacciare, annettere, appaiare, mettere la cavezza.


 


Accappà – acchiappare v. Prendere, afferrare, agguantare.


 


Accappucciate – incappucciate agg.  Coperto, ammantato, incappottato.


 


Accapputtàte – capovolto agg. Rovesciato, ben coperto nella persona.


 


Accasate – accasato agg. Sposato


 


Accattà – compare v. Acquistare, fare compere: Partorire, es: A muglière i Ferdinande a accattate nu bèlle peccerille.


 


Accattevà  – attirare v. Conquistarsi, guadagnarsi, propiziarsi, ingraziarsi le simpatie di qualcuno.


 


Accavallà – accavallare v. Sovrapporre, sopraffare.


 


Accemmà – cimare v. Capitozzare, cimare, scapezzare, scamozzare,  sfrondare, snellire.


 


Accemmate – adirato agg. Arrabbiato Es: Chille, cumme stà accemmate, nun u férmene manche i diavule.


 


Acceppà – acceppare v.   E’ la manovra per assicurare al bordo della murata, con particolari legature, l’ancora che è stata salpata.


 


Acceppute – raggrinzito agg.  Avvizzito, incartapecorito, grinzoso, rugoso, per età o per malanni; stropicciato, sgualcito.


 


Accettùgle – accetta sf. Ascia, scure di piccole dimensioni.


 


Acchiappà – acchiappare v. Afferrare, abbrancare, agguantare, catturare, acciuffare, capire a volo.


 


Acchiuppà – appaiare v. Unire, mettere insieme, accoppiare, congiungere.


 


Acciaccate – malandato agg. Zoppicante, pestato, raffreddato, calpestato,  ammaccato.


 


Acciaccuse – cagionevole agg.  Malaticcio, delicato, debole, vulnerabile.


 


Accianze – occasione sf. Opportunità, appiglio, incontro di circostanza, pretesto, motivo.


 


Acciarjate – adirato agg. Focoso, impetuoso, preso da libidine.


 


Accidacane – inabile sm. Incapace, inetto, poco abile nel proprio mestiere, cattivo lavoratore.


 


Accidere – uccidere v. Percuotere, affaticarsi, travagliarsi, stancarsi.


 


Accramà – acclamare v. Applaudire, osannare.


 


Accrianzate – educato agg. Osservante delle buone e belle maniere.


 


Accucchjà – accoppiare v. Unire, mettere insieme con difficoltà; parlare a sproposito, affermare corbellerie e sciocchezze. Questo termine ha la venatura   vedi un senso di ironia e di sarcasmo perché sottintende un senso di sprezzante suffucienza verso chi parla : ma che vaje accucchianne! Questo accucchià fa rivivere nella mente il ricordo della causa tra Eduardo Scarpetta e la SIAE che faceva le parti di D’Annunzio il quale  si doleva della parodia fatta dallo Scarpetta alla sua opera Il figlio di Jorio. D’Annunzio era difeso dall’avv. Cocchia che fece una arringa meritevole di elogi  ma  Scarpetta,  interrompendo il discorso dell’avvocato, rivolgendosi al Pretore, disse : Ma che cacchio mi accocchia  stu cacchio di Cocchia.


 


Accullà – addossare v. Imporsi una fatica o un debito.


 


Accummencià – incominciare v. Avviare, dare inizio.


 


Accumpagnà – accompagnare v. Seguire, guidare, condurre, stare dietro un corteo funebre.


 


Accumparì – apparire v. Comparire, farsi vedere, fare bella figura in un ricevimento.


 


Accuncià – aggiustare v. Riparare, sistemare, mettere in ordine, abbellire.


 


Accuntà – socchiudere v. Avvicinare le imposte Es: Appicce a luce é accunte a pòrte si nò chille che passe véde dinte.


 


Accunte – acconto sm. Notizia, informazione, cliente.


 


Accunzentì – acconsentire v. Assentire, manovrare senza contrasti,


 


Accuonce – aggraziato agg. Piacevole, armonioso, garbato, vezzoso, sistemato.


 


Accuppature –  primo piano sf. Il meglio, il fior fiore, la cima, la parte migliore di un prodotto sistemato nelle cassette come copertura della normalità.


 


Accuppute – concavo agg. Fondo, cavo, cupo. Il piatto accuppute è quello in cui si mangia la minestra. Scodella.


 


Accurcià – accorciare v. Ridurre, tagliare, abbreviare, sintetizzare, condensare, rimboccare le maniche o i pantaloni.


 


Accurciatoje – scorciatoia sf  Strada più breve, espediente, stratagemma.


 


Accurdà – accordare v.   Mettersi d’accordo, concedere qualcosa


 


Accurtènze – accortezza sf  Attenzione, avvedutezza, oculatezza, buonsenso, riguardo, accorgimento, metodo, modo, garbo.


 


Accussì – così avv. In questo modo, con esattezza.


 


Accustà –  accostare v.   E’ la direzione che si vuole dare alla nave, con l’uso del timone. E’ usato anche quando ci si  vuole avvicinare ad un’altra barca o ad una banchina.Lo si usa anche per far compiere al natante un movimento angolare di 30, 45, 90 gradi. Avvicinare.


 


Accuvate – accovacciato agg  Ripiegato, curvato, posizione per nascondersi.


 


Accuzzà – sottostare v  Stare ai patti.


 


Acene – acino sm  Chicco, granello, tizzone.


 


Acete – acido agg  Inacidito.


 


Acìte – aceto sm. Liquido ottenuto dalla fermentazione del vino.


 


Acetùse – acitoso agg  Acidulo, inacidito, scontroso, iroso, aspro nelle risposte.

 


A coscecavalle – a cavalluccio loc Portare un bambino sulle spalle.


 


Acquaricce – siero sf  Parte liquida, giallastra,  che esce dalla ferita.


 


Acquattà – acquattare v  Nascondersi, appostarsi.


 


Acquètte – acquetta  sf.Espressione spregevole di liquidi mescolati con acqua. Es: chiste nun è vine, è acquette.   E chiste u chiamme cafe? Chiste è acquette!


In genere, sostanza poco densa, poco genuina e senza sapore.


 


Acquùse – acquoso agg.  Brodoso, di sapore insipido.


 


Acquità – quietare v.   Smettere di piangere, riposare, appagare.


 


A crèpapanze – a crepapancia loc. avv. Usato nel modo di mangiare o di ridere.


 


A cuppelone – colmo avv. Stracolmo, pieno , traboccante.


 


Addacquà – innaffiare v.  Irrigare, irrorare, bagnare.


 


Addate – calmata sf. Dicesi di mare e di vento quando vanno calmandosi.


 


Addebbulute – indebolito agg. Debilitato, deperito, fiacco, estenuato, infiacchito, sfibrato.


 


Addecrjà – deliziare v. Ricreare, sollazzare, compiacersi, rallegrarsi, svagare.


 


Addefreddate – raffreddato agg. Gelato, affievolito, attenuato, spento, smorzato.


 


Addefrescà – rinfrescare v: Ricordare, rammentare, pensare, evocare.


 


Adderezzà – raddrizzare v. Drizzare, correggere, redimere.


 


Addeventà – diventare v. Divenire


 


Addimandà – domandare v. Chiedere, informarsi, sollecitare, reclamare.


 


Addimane – domani avv. Il tempo futuro.


 


Addimustrà – dimostrare v.  Manifestare, indicare, esprimere, mostrare,  rivelare, palesare.


 


Addivinà – indovinare v. Presagire, prevedere, profetizzaare, pronosticare.


 


Addo – dove avv., cong.  Donde, ove, in cui,  qualora, laddove, dovunque.


 


Addubbecarsi – assopirsi v. Addormentarsi sotto l’azione di sostanze  tossiche, cadere in dolce sopore.


 


Addunà – accorgere v. avvertire, capire, notare comprendere, avvedere, indovinare, intuire.


 


Addunucchjà – inginocchiarsi v. Prostrarsi, umiliarsi, sottomettersi.


 


Adduobbe – addobbo sm.  Abbellimento, decorazione, ornamento, arazzo, drappo, festone.


 


Adduobbeche – sonnifero sm.  Sonnolenza dovuta a sostanze tossiche, narcotico, assopimento.


 


Addurà – odorare v. Annusare, fiutare, percepire, intuire.


 


Addurmute – addormentato agg. Lento, incapace, inetto.


 


Adòppe – dopo avv. Poi, in seguito, successivamente.


 


Adugljà – pungere v. Intingere di olio i fichi per affrettarne la maturazione.


 


Adunà – raccogliere v. Prendere, raccattare, recuperare.


 


Aduttate – adottato agg.  Adoperato, attuato, usato, scelto.


 


Affabbile – affabile agg.  Cordiale, gentile, disponibile, buono, simpatico, amichevole, benevolo,  comunicativo, cortese, socievole.


 


Affacciate – veduta sf. Esposizione della casa, vista da un balcone.


 


Affannà – affannare v. Respirare con fatica, lavorare senza posa, crearsi preoccupazioni.


 


Affarate – affarato agg. Affaccendato o che affetta di esserlo,  impegnato, occupato.


 


Affatate – fatata agg.  Incantevole, favoloso, affascinante, fantastico, delizioso, meraviglioso.


 


Affatturà – affatturare v. Stregare, ammaliare, affascinare, raggirare, ingannare, conquistare.


 


Afferrà – afferrare v.  Comprendere, capire, venire alle mani, tenere ben stretto, raggiungere.


 


Affetì – annoiare v. Riempire di improperie o di puzzo.


 


Affibbià – affibbiare v. Dare cosa cattiva per buona..


 


Affiurà  – affiorare v. Emergere, venire a galla, sporgere.


 


Affruntà – affrontare v. Andare decisamente incontro, confrontare, scontrarsi, offendere con ingiurie,   unire maglia a maglia una rete lacerata.


 


Affrunte – affronto sm. Offesa.


 


Affummà – affumicare v. Riempire di fumo.


 


Affunnà – affondare v. Andare o mandare sott’acqua. Si dice di qualunque galleggiante che, per essersi riempito d’acqua, si sommerga e discenda fino a toccare il fondo marino.


 


A fòrze – con forza avv. Insistentemente, con violenza, stentatamente.


 


Aggarbatézze – garbo sf. Buone maniere, cortesia.


 


Aggarbulià – accontentare v  Lusingare, soddisfare, sistemare.


 


Agghiuntà – unire v. Mettere insieme, aggiungere.


 


Agghiustà – aggiustare v. Riparare, sistemare,  accomodare.


 


Aggia – devo  voc,verb. Da usarsi sempre con il verbo, es: aggia campà cientevinte anne.


 


Aggiubbà – sistemare v. Ingannare, abbindolare, mettere a posto.


 


Aggraziate – grazioso agg. Piacevole, raffinato, garbato, leggiadro, vezzoso, elegante, armonioso.


 


Agguantà – agguantare v. Smettere di filare, azionare il freno.


 


Agguànte – stabilità s.f.  Saldezza, equilibrio e resistenza della nave.


 


Agguazzà   guazzare v. Trarre profitto da una particolare situazione, sposarsi, accasarsi, sistemarsi.


 


Aggubbate – ingobbito agg. Gobbo, gibboso, curvato.


 


Aghe – ago s.m. Ago della bussola o quello per cucire.


 


Agliàndere – ghianda sf. Futto della quercia


 


Agliaruole – orzaiolo sm. Foruncolo che si forma, per infiammazione, nell’occhio, sul margine delle palpebre.


 


Aglione – aglio sm.  Bulbo selvatico delle gigliacee raramente usato in cucina.


 


Agnule – mastite sf. Affezione infiammatoria della ghiandola mammaria.


 


Agnune – ognuno pron. Ciascuno, chicchessia.


 


Ajate – occhiata s.f.  Oblata Melanura della famiglia dei Sparidi. Pesce che pur somigliando al sarago si riconosce  facilmente  per il corpo più allungato e totalmente argenteo.


E’ molto diffusa nei nostri mari specialmente nel periodo primaverile. Vive in fondali rocciosi lungo la costa ma non si intana.  Si pesca con le coffe, a traino, con i tramagli e con una caratteristica  rete da posta, a schiétte. Una pesca particolare è fatta con sugheri galleggianti cui vengono attaccati diversi ami dove  le occhiate abboccano nel tentativo di mangiare l’esca di pane. La sua morte è alla brace o in bianco.


 


Ajére – ieri avv. La giornata passata.


 


Ajérennotte – ieri notte avv. Il tempo della nottata di ieri.


 


Ajéressére – iesri sera avv. Un tempo recentemente trascorso.


 


Aità – età  sf. Gli anni della vita umana.


 


Aiutà – aiutare v. collaborare, cooperare, dare una mano, difendere, proteggere, sostenere, agevolare, spalleggiare, favorire.


 


Aizzà – alzare v. Issare, portare in alto.


 


Alacce – sedano sf. Pianta di odore e sapori eccellenti, molto usata in cucina.


 


Alalònghe – Alalunga-  s.f.  Thunnus alalunga, della famiglia dei scomberidi. La pesca della alalonga, come quella del tonno e del pesce spada, l’abbiamo appresa da alcuni siciliani che negli anni cinquanta misero piede a Ponza con due piccole imbarcazioni a fondo piatto, armate di una potente luce a petrolio, per esercitare la pesca con la fiocina. Su ogni barca vi erano due pescatori: un rematore e un fiocinatore.  Il ramponiere perlustrava il fondo marino con lo specchio e come vedeva il pesce faceva segnali con i piedi e il vogatore o fermava la barca o la spostava per portarla perpendicolarmente sul pesce avvistato. Tra i due vi era un affiatamento perfetto. Lo specchio era un cilindro di lamierino, se di legno era di forma quadrata, con un diametro di circa quaranta centimetri e di altezza intorno ai cinquanta-sessanta. Era chiuso da un lato con un vetro. Immergendolo nell’acqua si poteva chiaramente esplorare il fondo marino, anche oltre i dieci metri,  perché vengono soppressi i riflessi mobili della luce che rendono opaca la massa d’acqua.


Uscivano all’imbrunire e rientravano il mattino seguente. Erano abilissimi in questo loro lavoro. Dovevano essere ambedue bravi. Sembra strano,  ma penso che il più bravo dovesse essere il rematore. Tutti i giorni la loro barca era piena di pesce. Pesce di ogni specie: dalla cernia al dentice, al sarago, alla murena, alla perchia, all’ombrina, all’occhiata, alla grancevola e qualche volta anche alla zaragosta. I pescatori ponzesi, alcuni,  prima li accettarono ma poi, di fronte a quelle pescate, reagirono vivacemente asserendo che usavano medicinali velenosi per uccidere il pesce. Orazio e Ciccio, una delle due coppie, si dichiararono disponibili a imbarcare con loro un ponzese per farlo assistere al loro lavoro. Non vollero un pescatore e scelsero me che andavo bene anche per i miei compaesani, che, in certe circostanze, non sono facili. Passai alcune notti meravigliose. Fu una esperienza unica. Orazio e Ciccio erano provetti nel loro lavoro. Li paragonai a Giovanni Califano, masaniélle, e Silverio Conte, facciabruciata, nella loro attività venatoria. Erano maestri di tiro.


Questi siciliani, dopo alcuni anni di pesca  con la fiocina, cambiarono attività. Un anno,  sempre in primavera, arrivarono a Ponza  con un gozzo e con una grossa vasca di plastica contenente  una particolare attrezzatura da pesca. Il loro arrivo fu preceduto da una telefonata all’iscaiuole, la pescheria a cui davano il loro pescato, facendogli presente di procurargli dei calamari congelati e avvertendolo di non far parola con nessuno.


Nel  pomeriggio del primo giorno di pesca, quasi di nascosto lasciarono il porto. Rimasero in mare tutta la notte. Al rientro, nella tarda mattinata del  giorno dopo, Ponza rimase attonita. Su quella barca vi erano sette pesci spada che superavano i quattro quintali di peso. Era una scoperta. Tutta la popolazione isolana ne parlava.  Il cestone contenente l’attrezzo era sempre coperto da un telo cerato e legato intorno, strettamente legato, da una cordicella.  Veniva sbarcato di nascosto appena la barca arrivava  in banchina e portato nella casa dove abitavano. Nessuno doveva vedere. Passò del tempo prima che i siciliani incominciassero a svelare il loro segreto. I pescatori ponzesi interessati a questa nuova, feconda e fertile, attività si diedero da fare per farsi svelare il mistero. Le reazioni furono feroci. I pescatori come prima cosa  minacciarono di disertare la pescheria dell’Iscaiuolo se non si facesse promotore per comporre la situazione.


Dopo una lunga serie di dispute  i siciliani, a cui venne fatto presente che si trovavano in terra straniera, fecero vedere come era composta la loro coffa ma non imbarcarono nessun ponzese per mostrare come si doveva stendere. In men che non si dica,  Geppino Di Meglio, alias portazero, lungimirante, si fece arrivare, per sé e per eventuali altri acquirenti, quintali di filo di nailon di diverso spessore e diversi tipi di ami che, per la loro grandezza, sembravano ganci. Furono diverse le barche ponziane che si diedero alla pesca del pesce spada. Dopo il Geppino di Gennaro di Meglio, il figlio di portazero, e la Francesca Maria, dei Feola, che mutarono, vedendo i risultati dei siciliani, il loro tipo di pesca: da cianciole divennero palangare. E vennero imitate anche da altre barche: Onorino trasformò il suo peschereccio mettendo da parte la rete a strascico per imbarcare le coffe. Il Maestrale, la barca che Onorino comandava, era del professore Antonio Assante di Formia, un galantuomo che è piacevole ricordare. E la trasformazione di Onorino venne seguita finanche da Geppino Vitiello, il proprietario dell’Ave Maria, un grosso bastimento da trasporto merci che lavorava sulla linea Golfo di Napoli – porti della Sardegna.


L’attrezzo coffa ebbe vita breve perché  si trascinava il problema esca il cui prezzo, con la richiesta sempre in aumento, saliva di giorno in giorno. E non era Ponza a generarlo. In Calabria e in Sicilia vi erano centinaia di barche che si erano date alla pesca del pesce spada con le coffe tralasciando la caratteristica pesca con la fiocina, una attività secolare. I pescatori di quelle regioni pensarono e realizzarono, per abbattere il costo dell’esca, ad una rete e passarono pochi anni che nelle acque di Ponza si videro barche cariche di reti. Oltre ad una quindicina di barche ponziane, durante il periodo di pesca, nel porto di Ponza vi erano anche una ventina di barche calabre e sicule.


Anche con le reti  il prodotto era abbondante, anzi maggiore di quello ricavato con le coffe. Alla fine del primo anno di pesca con la rete, i pescatori ponziani comprarono le reti di alcuni  pescatori siciliani e calabresi per dotare le loro barche di questa nuova attrezzatura. I cestoni con gli ami vennero posti in magazzino ad arrugginire e sulle barche vennero poste le reti. Era una corsa alla lunghezza e, contemporaneamente, una corsa al rinnovo delle barche. Nacquero diversi natanti con  caratteristiche adatte a questa nuovo tipo di pesca. Su alcune barche la rete raggiunse la lunghezza di trenta chilometri. Cosa assurda e pericolosa.


La barca, qualunque barca, con quel quantitativo di  rete a bordo, era, in caso di un temporale improvviso, in pericolo di affondamento. Questa paura evidente mi ha fatto sempre rifiutare l’invito a partecipare ad una pescata a pesce spada.


Stavo per dimenticarmi di raccontare che, durante l’uso della coffa, con i tanti pesci spada venivano sbarcati anche tanti pescecani, dallo smeriglio alla verdesca, al capopiatto, al cagnaccio, al pescecane, al pesce volpe, al palombo, alla canesca, allo squalo grigio, al pesce carabiniere, al tritone.


Possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che ci fu lo stermino dei pescecani.


Conoscemmo, in quel periodo, il pesce vetro e altri tipi di pesce mai visti ed imparammo anche a mangiarli.


Imparammo anche il lavoro per la conservazione dell’alalunga e del tonno sott’olio. Con il passare degli anni e con le dovute correzioni siamo giunti a fare un tonno, e per tonno intendo anche l’alalunga, sott’olio, per l’uso della famiglia, da fare invidia alle migliori ditte industriali.


Io approfitto, ogni anno, della bontà e della generosità della consuocera Antonietta. Mi inscatola all’incirca trecento vasetti.  Io le procuro solo il pesce. Il resto è tutto sulle sue spalle. Alle spese vive deve aggiungere il lavoro manuale che non è cosa facile e semplice. Il pesce viene  bollito in una grossa caldaia, per cui il peso è sempre in relazione alla capacità del pentolone. Ritengo che ogni bollitura ammonti ad una quindicina di chili. Il pesce, tolto la testa,  le lische e le pinne, viene tagliato a fette dallo spessore di quattro-cinque centimetri e deposto nella caldaia. L’acqua è in ragione di tre litri per ogni chilo di pesce così come il sale che va messo in ragione di ottanta grammi a chilo. Dopo tre ore di  bollitura il pesce viene estratto dall’acqua e disteso su una tovaglia ad asciugare. Questo procedimento ha la durata di due giorni e in questo periodo viene pulito dalla pelle e da qualsiasi altro elemento che non sia la carne del pesce. Si passa poi “all’imbuccacciamento” all’inscatolamento. A Ponza si usano barattoli di vetro, con larga apertura, facili a pulirsi e a chiudersi ermeticamente senza che l’olio fuoriesca. I coperchi si rinnovano anno per anno. Una volta sistemato nel barattolo, la cui apertura deve permettere il lavoro interno, si passa alla oleazione. Il barattolo,  riempito d’olio, rimane scoperto per permettere all’olio di penetrare.  Di tanto il tanto, si infila uno spiedino il cui leggero  movimento consente all’aria di emergere ed uscire dal barattolo. Dopo la chiusura i barattoli con il tonno vengono presi e messi nuovamente in una pentola per una ebollizione a bagnomaria di mezz’ora. Il lavoro  è finito. Si lasciano raffreddare e si dispongono nei luoghi di deposito.


Per i miei barattoli c’è ancora il trasporto. Antonietta li mette in casse di plastica e con l’intervento delle figlie e di Roberto, uno dei generi, li accimpagna a casa  mia dove, questi barattoli, trovano la vera padrona, mia moglie. Grazie, Antonietta e con te ringrazio Roberto e Silveria. Se ho dimenticato qualcuno, pensaci tu.


 


Albanne juorne – albeggiando avv. All’alba, sul far del giorno.


 


Albere – albero   sm.  Ogni pianta il  cui fusto che dev’essere alto e  legnoso; albero della nave per il sostegno delle vele; asse cilindrico che fa girare la ruota  o trasmette il movimento ad altre parti di una macchina. Per quanto riguarda la pianta, lo scorso anno il Corriere della Sera ha pubblicato una interessante notizia: Quanti sono gli alberi in Italia?  E ha dato anche una risposta, premettendo che è stato il Corpo Forestale dello Stato a dare i numeri dopo il censimento.Potrebbe sembrare un gioco  ma non lo è.  Sono stati usati satelliti artificiali sistemati in 40.000 punti di riferimento. Sono stati impiegati 400 uomini in un lavoro di tre anni. Questo lavoro non è stato un sfizio, né un passatempo. E’stato un lavoro richiesto dalle normative di Kyoto in base alle quali  gli stati europei si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas che sono nocivi e vengono ritenuti responsabili dei disastri climatici.


La pianta,  lo sanno tutti quelli che hanno frequentato le elementari, con la sua chioma, con le sue foglie, svolge una  funzione importantissima per la comunità.La clorofilla, sostanza contenuta nelle foglie, assorbe il carbonio contenuto nell’aria, e con un processo, chiamato fotosinesi clorofilliana, lo trasforma in ossigeno. Le norme di Kyoto prevedono impegni da parte degli stati che, se non saranno in grado di rispettare gli obblighi sottoscritti,  saranno costretti a pagare una multa.


Per il caro amico Maiorca, come lui ce ne stanno tantissimi, cultore della numerazione sotto qualsiasi aspetto, riporto lo schema, regione per regione, degli alberi esistenti in Italia:  Piemonte 1.017.877.685;  Valle d’Aosta 89.613.445;  Lombardia  712.681.161;  Alto Adige  295. 711.495;  Trentino  494. 912.021;  Veneto  637,931.021;  Friuli  436.441.493;  Liguria  509.530.408;  Emilia Romagna  1.018,602.813;  Toscana  1.422.419.326;  Umbria  674.059 203:  Marche 516.508.292; Lazio  848.924.827;  Abruzzo  558.336.173;  Molise  217.308.128;  Campania  577.236,386; Puglia 133.576.231; Basilicata  296.800.992; Calabria  587.014.178;  Sicilia 192. 918.529;  Sardegna  658.226.572;  per un totale di 11. 876. 691. 354. Caro Maiorca so bene che tu e Giosuè, per motivi opposti,  non ci credete, allora non vi resta che andare a contarli. Nella cifra di circa dodici miliardi non sono stati conteggiate le piante inferiori al metro e mezzo di altezza e con un tronco inferiore ai quattro centimetri e mezzo di diametro. Considerando che la popolazione italiana si aggira intorno ai sessanta milioni di persone abbiamo un carico individuale di circa duecento alberi a testa.. Dall’indagine è risultato che la pianta più diffusa è il faggio, un legno caro ai nostri pescatori perché  lo si usava per fare i remi e la barra del timone. Il faggio era caro anche ai bambini perché di faggio erano i”cegliune”, le trottole più grosse.


Da un po’ di tempo a questa parte, a causa dell’abbandono della campagna da parte del contadino, il paesaggio arboreo è in netto aumento perché il bosco sta invadiendo il terreno seminativo. Nei terreni, una volta dedicati alla agricoltura e alla pastorizia e poi abbandinati, perché queste attività vanno scomparendo, crescono  e avanzano, per un processo naturale, le piante che lo abitavano prima del dissidamento. Tra i “soci della crusca”  che costituiscono il club dei senzatetto, la materia e scottante perché vi sono favorevoli e contrari. Il gruppo capeggiato da Maiorca è nettamente contrario, quello di Giustino è favorevole. Valiante, come tanti deputati, undici, fa gruppo a sé. Per lui il  necessario e che il forno abbia  la quercia e le pampuglie, sì, le pampuglie, per cuocere la pizza. Il resto sono tutte chiacchiere che fanno innervosire Giosuè, il sommo pontefice che la  pronipotina di quattro anni, già acculturata, uscendo dalla scuola di zia Teodora, lo definisce, con aria ironica, pontefices maximum, perché non tralascia nessuno argomento pur di difendere il manto vegetativo, uno dei suoi cavalli da battaglia. E’ uomo di vasta cultura. Giulio, invece, ha altri moventi culturali, E’ per il cane  che poi tu lo tosi o meno a lui importa poco.


Stavo dimenticando di affermare che questa inchiesra non ha tenuto conto delle isole ponziane  dove sicuramente vivono, oltre gli alberi da frutta,  duemila  lecci. Fanno parte, come in guerra, delle truppe di riserva. Vengono mandate al fronte quando il nemico prepara l’invasione.


 


Aleche – alga sf. Pianta acquatica marina.Qiando il terreno isolano veniva coltivato le alghe venivano usate come concime.Le forti mareggiate le estirpavano e le ammucchiavano sulle spiagge. Il contadino, armato di bidente e di forcone, le spostava dal luogo dove il mare le aveva depositate portandole, sempre sulla spiaggia  in un posto dove il mare non poteva arrivava. Di tanto in tanto le rimuoveva per farle asciugare e, una volta asciutte, le caricava sugli asini e le portava nelle zone di campagna dove ne aveva bisogno per concimare il terreno.


 


Alìce – acciuga  L’alice è stata scoperta e conosciuta, per quanto riguarda Ponza, negli anni appena dopo la seconda guerra mondiale. Fu Peppe Feola ad armare, con familiari e parenti, una prima “cianciola”. La “cianciola” è una barca da pesca munita di lampara, una sorgente luminosa capace di sviluppare un chiarore accecante. La luce serve per attirare i pesci e tenerli bloccati. Quando si notavano le alici, ed anche altri tipi, nel chiarore creato dalla lampara, la barca stendeva la sua rete, lunga all’incirca mille metri, intorno al barchino con la luce. Si iniziava subito il recupero della rete così da imbottigliare i pesci. Una volta, nei primi anni, il lavoro avveniva a braccia, successivamente, e nel periodo moderno, il recupero della rete avviene con l’impiego di un verricello a pressione d’olio. La rete veniva recuperata in modo tale che il pesce che si trovava all’interno doveva essere indirizzato verso un posto preciso, “u pezzale” che era fatto di materiale più consistente per evitare che il peso del pesce provocasse cedimenti della rete.


A questo punto si calava un grosso cuoppe, retino o bertovello, con il quale si trasbordava il pesce dalla rete  sulla barca dove erano pronte delle grosse vasche con acqua ghiacciata.. Finito il trasbordo, i marinai pensavano ad incassettare il pescato mentre la barca metteva la prua su uno dei porti della costiera continentale dove intendevano vendere il prodotto.


Le alici, per la loro bonta, sono molto richieste. Si possono cucinare in tante maniere e in qualunque modo sono saporite.


Le alici si possono anche mettere sotto sale per averle nei periodi in cui non si pescano.


Esse vengono scapate e messe in un tino cospargendole di sale. Vi restano ventiquattro ore. Poi si prendono, una per una, e sistemate, una a fianco dell’altra, in un barattolo di terracotta, largio una ventina di cm e alto una trentina. Il sale si pone su ogni fila fino al riempimento del barattolo.


Sopra si pone un coperchio di legno, circolare e con il diametro leggermente inferiore a quello del barattolo. Su di esso si pone un peso, in genere una pietra, che ha la funzione di premere le alici per fare uscire il “sanguaccio”. Stabilire l’entità del peso è molto importante: se è leggero non dà la giusta pressione per lo spurgo; se è troppo pesante le alici diventano secche ed immangiabili.


Di tanto in tanto bisogna avere l’accortezza di cambiare la salamoia.


Quando le alici sono pronte, quaranta giorni dall’invasatura, si prendono, si lavano usando l’acqua se il consumo è immediato, usando l’acerto se bisogna tenerle per diversi giorni.


Si spinano e si dispongono in un piatto di portata condendole con olio, prezzemolo, aglio e peperoncino tritati. Le mogli isolane, forti del proverbio, saggezza popolare, “a marite musce mine pepe assaje”, fanno largo usa del peperoncino. Si lasciano insaporire per qualche ora e poi a chi piglia – piglia.


Chi non le ha mai mangiato non saprà mai cosa si è perso.


 


Albere – albero s.m. Fusto verticale di legno o di ferro per sostenere  le vele o qualsiasi altro tipo di materiale che esiste su un natante. Pianta.


 


Alètte – aletta s.f. Striscia di legno o di lamiera fissata sui due lati della carena per stabilizzare i movimenti di rollio del natante.


 


Alifante – astice  sf.  Crostaceo marino. Paragonarla agli altri componenti la famiglia si commette un sacrilegio.


 


Allagamènte – allagamento s.m. Acqua penetrata nello scafo. Sommersione.


 


Allargà – allargare v. Allontanare, stare alla larga.


 


Allascà – allascare v. Mollare dolcemente, acconsentire, diminuire la tensione mollando un po’ di cima, allentare, filare.


 


Alleggerì – alleggerire v. Scaricare, liberare dal peso.


 


Allentà  – allentare v. Allascare, mollare.


 


Allestimènte – allestimento s.m. Fase di preparazione e di armamento di un natante.


 


Allestute – allestite agg. Predisposto, apprestato, pronto per essere usato.


 


Alliégge – alleggerimento s.f.  Il gettare in mare parte del carico allo scopo di alleggerire il natante durante una traversata tempestosa.


 


Alliémme – allievo s.m. Aleggio, piccolo foro nella carena della barca,  da tenere chiuso  con un tappo (zaffo).


 


Alliffate – azzimato agg. agghindato, messo a lucido, ricercato nell’abbigliamento.


 


Alliniamènte – allineamento s.m. Segnale opportuno a mare e a terra per evitare zone pericolose.


 


All’intrasàtte – improvvisamente  avv.  Inaspettato, imprevisto, inatteso,insospettato, impensato, fulmineo, rapido.


 


Allògge – alloggio s. m. Nome generico che si dà ai locali destinati al riposo.


 


Allummature i viénte – luminosità s.m. Chiarore,  albore serale dovuto all’effetto di un forte vento.


 


Allungà – allungare v. Stendere,  accrescere, aumentare, prolungare.


 


Altomare – altomare s.m. La parte del mare lontano dalla costa e con acque profonde.


 


Alungare – alongara s.f. Rete per la pesca delle alalonghe appellata pure ferrettàre.


 


A luvatore – a levatoio avv. Smontabile, scomponibile.


 


A manése – sottomano avv. A portata di mano, vicino, nei pressi. Questa espressione mi fa rivivere  un aneddoto raccontatomi da Geppino, Geppino Vitiello, noto anche come Geppino dell’Ave Maria, dal  nome di una sua nave. Geppino è stato una pietra miliare nella storia della marineria ponzese.


Una volta gli chiesi: “Secondo il tuo parere, chi è stato il migliore marinaio isolano”? Mi rispose,  quasi immediatamente e senza esitazione: “Silverio di Scianghinètte, non perché non vomitasse o avesse una forza erculea da poter fare di tutto e di più ma era quel marinaio a cui, in piena notte e in totale oscurità, tu  chiedevi nu musciélle e Silverio allungava la mano e te lo consegnava; gli chiedevi la lanterna e Silverio apriva uno stipetto e ti dava la lanterna. In pieno temporale gli chiedevi la mazzetta (il grosso martello) per sfondare una tavola della opera morta per far defluire subito i cavalloni che inondavano continuamente la coperta e Silverio con due passi si recava dietro il tambuccio di poppa e di dava la mazzetta. Ernesto, questi sono i veri marinai, quelli che nei momenti difficili ti risolvono, direi quasi con disinvoltura, i problemi”.


 


Ambariélle – amo s.m. Attrezzo di varie forme e misure idoneo per la pesca.


 


Ammaglià – ammagliare v. Finire nella rete.


 


Ammalute – malaticcio  agg. Malinconico, triste, sciupato.


 


Ammainà – ammainare v. Far scendere una imbracata, sospesa ad una corda, facendola scorrere pian piano, calare le vele, la bandiera.


 


Ammaniglià – ammanigliare v. Unire due pezzi di catena con una maniglia a perno.


 


Ammarragge- recinto sf.  Siepe


 


Ammarrate – chiuso  agg. Recintato, otturato.


 


Ammasà – ammassare v. Sistemare le reti sulla barca, accumulare.


 


Ammasciate – comunicazione sf.  Dichiarazione d’amore,  informazione, notizia.


 


Ammature – maturo agg. maturato, stagionato.


 


Ammazzarute – non lievitato agg. Non fermentato, decresciuto, affievilito. E’ il principale aspetto, direi particolarità  del casatiélle, il classico dolce pasquale fatto con farina, sugna, uova e, sì, pure u crìscete, lievito. Si facevano in casa e la sua caratteristica era quella di essere sempre ammazzarute.


 


Ammeccià – tagliare v. Calettare, inserire, unire due pezzi di legno in modo tale che nell’incastro combaci perfettamente l’altro pezzo corrispondente.


 


Ammescà – mischiare  v. Miscelare, combinare, amalgamare, confondere.


 


Ammèstere- urtare v. Toccare, investire.


 


Ammezziàte – sobillato agg. Avverito, messo sull’avviso.


 


Ammische – intrufolamento sm. Confusione, intromissione, coinvolgimento, compromissione.


 


Ammubbiglià – mobiliare  v. Ammobiliare, arredare.


 


Ammuccà – credere v. Prestare fede ingenuamente a frottole, introdursi furtivamente.


 


Ammucciate – accovacciato agg.  rannicchiato, avvilito, depresso.


 


Ammuinatore  –  confusionario sm.  Arruffone, agitatore, che  mette scompiglio.


 


Ammuine – confusione sf.  Chiasso, vocio, caos.


 


Ammulate – affilato agg.  Aggressivo, nervoso.


 


Ammullechià – ammollire   v.  Sdilinguire, ammollare nell’acqua tanto da far diventare papposo, mollicoso.


 


Ammuscià – seccare  v. Infastidire, annoiare, inaridire, appassire.


 


Ammuntunà – ammucchiare v.  Ammassare, radunare, accumulare.


 


Ammurrà – arenare  v. Andare in secca, incagliare, insabbiare, impantanare.


 


Ammurrute – imbronciato agg. corrucciato, immusito, impermalito, indispettito, irritato,   offeso, risentito, seccato.


 


Ammutinà – ammutinare v. Insorgere, rivoltare, sollevare.


 


Ammuttà – mettere nella botte v. Travasare il vino dal palmento alla botte.


 


Ammuzzà – tagliare v. Tarpare, mutilare.


 


Amprèsse – subito  avv. Presto, subito, immediatamente, senza perdere tempo.


 


Anche – anca  s. f. Fianchi della poppa che si arrotondano per formare il quadro di poppa come i fianchi del corpo umano.


 


Anciarje – ingordizia sf.  Bramosia, desiderio vivo.


 


Ancoragge – ancoraggio s.m. Zona di mare destinata all’ancoraggio per  quelle navi che non hanno tovato  spazio nel  porto.


 


Ancore – ancora s.f .  Attrezzo per dar fondo.


 


Ancuròtte – ancorotto s.m. Ancorotto a quattro marre,  senza ceppo, usato dalle barche da pesca. Si adopera anche per rastrellare il fondo  alla ricerca di oggetti caduti in acqua o per agganciare attrezzi da pesca spezzati. Grappino.


 


Aneme – anima s.f. Parte interna di una cima.


 


Anfì – finché prep.  Fino, persino.


 


Anganèlle – angamo,  s.f.  Attrezzo da pesca. Gangamo, piccola rete a strascico  con cui si rastrella il fondo. Le piccole barche, gozzi, la usavano  per prendere l’esca viva.


 


Annude – nudo  agg.  Senza vesti addosso, senza ornamenti, spoglio di ogni arredo.


 


Antemurale – antemurale s.f. Scogliera per la protezione dell’entrata di un porto e delle banchine.


 


Antènne – antenna s.f. Lunga asta in legno a cui veniva legata la vela latina.


 


Anticiclone – anticiclone s. m. Area di alta pressione che si forma in una determinata zona nella quale la pressione presenta un massimo. E’ indice di tempo bello.


 


Appennellà – appennellare  v. Preparare l’ancora per dar fondo facendola uscire dalla cubia.


 


Appiccecà – litigare v.  contendere, bisticciare, accapigliarsi, scontrarsi.


 


Appicceche- litigio sm.  contesa, alterco, baruffa,  discussione, diverbio, gazzarra, scenata.


 


Appise – appeso agg. Sospeso, pendente, attaccato.


 


Appruate – appruato  agg. Dicesi di barca che presenta, per la cattiva disposizione del carico, la prua molto immersa rispetto  a quanto dovrebbe essere normalmente.


 


Appuntà – appuntare v. Imbastire, legatura immediata che si fa ad una vela sfilacciata dal vento o ad una rete che si è strappata e che bisogna rimettere in acqua. Il sarto quando prepara un vestito lo appunta con l’imbastitura.


 


Appuppate – appoppato agg.  La stessa cosa, in senso inverso, di appruato.


 


Arà – arare v. Si dice di una nave ancorata alla fonda che, sotto la pressione di un forte vento, ha divelto l’ancora e se la trascina arretrando. Ciò determina lo scarroccio del natante.


 


Arbanne juorne – aurora  vc. verb. Albeggiando


 


Arbine – vento s.m. Libeccio


 


Ardégne – attrezzo s.m. Qualsiasi tipo di attrezzatura o oggetto utile per il lavoro, ferro del mestiere.


 


Arenà – arenare v.  Andare in secca, incagliare.


 


Arghene – argano s.m. Verricello a mano.


 


Arghinètte – organetto sm.  Strumento musicale a bocca.


 


Argià – moneta sf. Denaro.


 


Ariatèlle – arcolaio sf.  Bindolo, giramento di testa


 


Arìlle – grillo sf. Insetto, vinacciuolo, seme, capriccio, ghiribizzo.


 


Armamènte – armamento s.m. Periodo di preparazione per dare alla nave quell’assetto  che


è necessario  per essere impiegata in un particolare lavoro.


 


Armatore – armatore s.m. Proprietario di una nave  che  munisce di quanto è necessario per farla   navigare affidandola alla direzione di un comandante.


 


Armature – ossatura sf.  Sostegno di metallo o di legno per le costruzioni o per sostenere filari di viti o pergole; sugheri, piombi, ami ed altro per  armare le attrezzature da pesca.


 


Armunìje – armonia sf.  Concordia, accordo, amicizia festevole.


 


Arpaje – poiana sf. Uccello rapace, donna perfida, rabbiosa, brutta e ciarliera.


 


Arpione – fiocina sm.  Strumento di ferro per infilzare i pesci.


 


Arracagnute – raggrinzito agg. Intirizzito, irrigidito.


 


Arraggià – arrabbiare v.  Adirarsi, stizzirsi.


 


Arramazzà – pulire v. Usare la ramazza prendendo e raccogliendo tutto.


 


Arrancà – arrancare v. Vogare con la massima forza; in manovra si arranca per evitare lo stallo e dare possibilità di governo alla nave. Aumentare la velocità.


 


Arrancate- rincorsa sf. Impeto, slancio.


 


Arrangià – adattarsi v.  Aggiustarsi, fare alla meglio.


 


Arrapate – voglioso agg. Libidinoso, desideroso in modo sfrenato sfrenato di un qualcosa.


 


Arrappate – grinzoso agg.  Spiegazzato, rugoso.


 


Arrassà – allontanare v.  Staccare, scostare, separare, distanziare.


 


Arrasse – lontano avv.  Distante, discosto, lungi.


 


Arrassusìje – lontano sia avv. Non si sa mai.


 


Arraunà – raccattare v.  Raccogliere uno ad uno, prendere, recuperare.


 


Arravuglià – avvolgere v.  Impacchettare, abbindolare, travolgere.


 


Arravugliàte – aggrovigliato agg. Imbrogliato, attorcigliato, intrecciato, arruffato, avviluppato.


 


Arrecettà – rassettare v.  Rimettere in ordine, pulire, abbrancare, pigliare, prendere rapidamente.


 


Arreciétte- tranquillirà sf.  Quiete, riposo, pace, ristoro, assetto, addobbo.


 


Arrecògliere – riscuotere v.  Incassare, percepire, avere, ricevere, ottenere.


 


Arregnà – attecchire v.  Allignare, mettere radici, radicare, abbarbicare.


 


Arremeggià – ormeggiare v. Attraccare alla banchina.


 


Arrennute- appassito agg.  inaridito, arreso.


 


Arrepecchiate – spiegazzato agg. Grinzoso, increspato.


 


Arrepezzà – rappezzare v. Rattoppare, riparare, aggiustare, accomodare, arrangiare, ricucire.


 


Arrepuose- tranqullità sm. Riposo, benessere, morte.


 


Arresecà – rischiare v. Mettere a repentaglio, cimentare, osare.


 


Arrevéncere – superare v. Sorpassare, oltrepassare, scavalcare, lasciare dietro, avere il sopravvento.


 


Arrevuote – disordine sm.  Confusione, parapiglia, trambusto, baccano, rissa, rivolta.


 


Arrezzà – rizzare v. Legare con corde o catene la merce che può muoversi durante la navigazione; vestire con cura,  eccitarsi sessualmente da parte dell’uomo.


 


Arrià – filare v. Allentare, mollare, lasciare andare, fare scorrere una cima  mantenendosi sempre padroni di essa con l’essere pronto a fermarla, a trattenerla.


 


Arrianàte – origanato agg.  Del pesce cosparso di sale, aglio, peperoncino e origano per conservarlo per i giorni successivi alla pescata. I frigoriferi non apparivano neanche nei sogni.


 


Arriatte – gara  sf. Competizione.


 


Arrubbà – rubare v.  Sottrarre, fregare, asportare, arraffare, fare man bassa.


 


Arrugnà – rattrappire v.  Restringersi, rimpicciolirsi.


 


Arruine – rovina sf.  Disgrazia, disastro, calamità.


 


Arrulà – arruolare v. L’assunzione di personale affinché presti servizio su una nave.


 


Arrummate – bacato agg. Di tavola del fasciame cariata dalle teredini, il tarlo che si annida nella carena delle navi.


 


Arrungate- attorcigliato agg.  Avvolto su se stesso.


 


Arrunzà – investire v.  Spingere, sgridare, fare le  cose alla carlona.


 


Arruscate – bruciacchiato agg. Annerito.


 


Arrustute – arrostito agg.  Cotto alla brace


 


Arruzzute- arruginito agg. Ossidato, rugginoso.


 


Arsenale – arsenale s.m. Luogo determinato dall’insieme di edifici e macchinari dove si possono costruire, armare e riparare navi.


 


Artéteche – vivacità  sf.  Irrequietezza, smaniosità, instabilità, argento vivo, caratteristiche dei ragazzini.  “Gesù, stu uaglione tène artéteche „! Era la frase che, parlando di me , si diceva a mia madre.


 


Arucule – rughetta sf.  Verdura.


 


Arule – albero s.m. Albero dell’imbarcazione, palo.


 


Arzure – arsura sf.  Aria secca dovuta all’alta pressione atmosferica; lo screpolarsi delle labbra e delle mani per la rigidità del tempo.


 


Asce – ascia  s.f. Arnese a foggia di zappa, molto tagliente,  usato dai carpentieri per lavorare il legno.


 


Aschje – scheggia sf.  Pezzo di materiale che si stacca da un corpo; agg.  minuto, esiguo, poco.


 


Asciuttà – asciugare   v.  Levare l’umido a cose bagnate, seccare, prosciugare,   tergere.


 


A spìnte i poppe – la spinta di poppa s.f.  Bratto. Il modo di vogare con il remo da bratto.  Si può attuare solo sulle lance a poppa quadra e senza timone. Il quadro di poppa della imbarcazione ha nel centro  un incavo in cui viene poggiato il remo. La voga consiste in una serie di  movimenti a girare del remo intorno a se stesso, a destra e a sinistra. La pala del remo si comporta come una elica ed imprime il movimento in avanti al battello.


 


Asprigle – aspro sm.  Sostanza corallifera che si trova sui fondali rocciosi ed emana un fortissimo odore di iodio.


 


Assamènte – specialmente avv.  Particolarmente.


 


Assequje – esequie sf. Accompagnamento funebre,  funerale.


 


Assettà – sedere v.  Prendere posto.


 


Assiétte – assetto sm.  Ordine, chiarezza, pace fra litiganti.


 


Assignàte – assegnato agg.  Avveduto, ordinato.


 


Assignatézze – precisione sf.  Ordine, capacità nell’amministrare.


 


Assuccà – tirare v. Tendere una cima che si è allentata con il recupero dell’imbando, stringere bene una legatura.


 


Assuccià – rifinire v. Limare, rendere più piccolo.


 


Assummà – affiorare  v. Emergere, comparire. Fare la somma, addizionare.


 


Assummate i funne – Prominenza sf.  Rialzo del fondo marino.


 


Assuocce – paragone sm.  Confronto, disaccordo.


 


Asteche – lastrico sm. Tetto, copertura.


 


Astipate – conservato agg.  Messo da parte, nascosto.


 


Astrinte – stretto agg.  Angusto, piccolo.


 


Astucce – astuccio s.m. Tubo che riveste l’ultima parte dell’asse del motore, tra il prematrecce e l’elica, contenitore.


 


A tàgle – alla prima occasione loc. Quando si presenta l’opportunità.


 


Ate – altro agg. pron.  Diverso, differente.


 


Attaccà – legare v. Fare un nodo, iniziare una lite, assalire, contagiare , legarsi con affetto a qualcuno.


 


Attaccuse – allappante agg.  Asprigno.


 


Atte prateche- praticamente  avv.  In modo pratico.


 


Atterrà – atterrare v. Inumare, sotterrare, mettere a terra.


 


Attizzafuoche – aizzatore sm.  Pettegolo, maldicente.


 


Attone – ottone sm.  Metallo


 


Attraccà – attraccare v. Prendere posto  in banchina per le operazioni di sbarco e imbarco.


 


Attramènte – nel mentre che  avv.  Fin tanto che.


 


Attrappà – legare v.  Annodare, vincolare, avvinghiare i germogli della vite, accartocciare.


 


Attrappate – rattrappito agg.  Raggrinzito.


 


Attrassate – arretrato agg. Di lavoro da completare,  di somma da pagare.


 


Attraversà – attraversare v. Passare, oltrepassare, superare.


 


Attrencà – tendere v.  Tesare, ci si riferisce quasi sempre alla catena  stesa dell’ancora o ad una cima dell’ormeggio.


 


Attrezzà – attrezzare v. Fornire e mettere al loro posto tutti gli attrezzi e gli accessori di cui una nave necessita..


 


Attrezzàture – attrezzatura s.f.  L’insieme di cordami, vele e catene esistenti su una nave o in un cantiere edile: impastatrice, pala, martello, mazza, scalpello, cazzuola.


 


Attruzzà – rumoreggiare n  v. Così si dice del mugghiare delle corde di ormeggio, tese come quelle del violino, dal suonare del vento, come dell’asino che fa scintillare lo zoccolo nelle salite difficili.


 


Attuccà – spettare v.  Appartenere, toccare in sorte.


 


Attunnà – girare v. Virare, cambiare direzione alla nave.


 


Attuorne – attorno avv. Intorno, di ciò che circonda un qualcosa.


A tumbulone – stracolmo loc. Pieno fino all’orlo, traboccante.


 


Auànne – Quest’anno sm. avv.  L’anno in corso.


 


Aubbidì – ubbidire v.  Sottostare, ottemperare.


 


Auciélle – uccello sm.  Qualsiasi tipo di volatile.


 


Audiénze – udienza sf.  Ascolto, attenzione, dare retta.


 


A uffe – a sbafo avv. Gratis, senza pagare.


 


Augle – Aguglia  sf.  Pesce di forma allungata con becco della famiglia degli sgomberidi.


 


Augliàre – agugliata s.f.   Rete usata per la pesca delle  aguglie.


 


Augliòzze – agugliotto s.m.   Il maschio dei cardini che collegano il timone alla poppa e sui quali esso compie il movimento angolare.


 


Augliuse – oleoso agg.  Di buon augurio.


 


Aulive – oliva sm.  Frutto e pianta.


 


Aumbrate – ombrato agg.  Insospettito, opaco.


 


Aummarje – avemmaria sf. Vespro, ora canonica.


 


Aumme-aumme – zitto-zitto avv.  Di nascosto, sottovoce,  senza darla ad intendere.


 


Aunà – radunare v. Raccogliere uno ad uno, accumulare, ammucchiare.


 


Aunnà – prosperare v.  Abbondare, fare fortuna.


 


Auriuse – aguroso agg. Di buon augurio


 


Ausanze – usanza sf. Abitudine, consuetudine.


 


Ausilià – origliare v.  ascoltare, spiare.


 


Auste – agosto sm. Mese dell’anno.


 


Autare – altare sm.  Mensa con tabernacolo.


 


Aute – alto agg.  Grande, elevato. Sf. Auto


 


Auzze-auzze – a poco a poco avv. Molto lentamente.


 


Avarìje –  avaria s.f.  Qualsiasi tipo di danno sofferto dalla nave, dal carico, da un automezzo o da altro.


 


Avàsce – abbasso avv. Giù, più sotto.


 


Avascià – abbassare v.  Calare, diminuire, ridurre i prezzi.


 


Avastà – bastare v. Essere sufficiente.


 


Avezzate – abituato agg.  Assuefatto, solito.


 


Avutà – voltare v.  Girare, roteare.


 


Avviate – avvio sf. Tendenza, avviamento.


 


Avvistà – avvistare  v.  Scorgere, intravedere, vedere, distinguere.


 


Azzannate – azzannato agg.  Del coltello che ha perso il taglio, morsicato.


 


Azze – caspita escl. Accidenti, però, accipicchia.


 


Azzeccà – incollare v. appiccicare, indovinare.


 


Azzeccuse – appiccicoso agg.  Viscoso, simpatico, che desta attenzione e ammirazione.


 


Azzettà – ammattere v. Rendersi conto.


 


Azzicche- vicino avv. Accanto


 


Azzuffje – parapoglia sf.  Litigio, mischia, rissa.


 


Azzuppà – azzoppare v. Inzuppare.


 


B


 


Babbalucche – mammalucco sm.  Balordo, stolido.


 


Babbasone  – sciocco agg.  Stupido, allocco, di corporatura abbondante.


 


Babbià – abbindolare v.  Ingannare, prendere in giro, fare fesso.


 


Babbilonje – confusione sf. Disordine, caos

 


Baccaglià – protestare v. Alzare la voce, contestare, insorgere, dissentire, disapprovare, gridare.


 


Baccalà –  baccalà s.m    Merluzzo conservato sotto sale, diverso dallo stoccafisso che è un merluzzo disseccato al sole. Il baccalà viene preparato mediante decapitazione, sviscerazione,disossazione, apertura,  schiacciamento e salatura. Si pesca e si prepara nei paesi del nord Europa e si smercia soprattutto nei paesi del Mediterraneo. Il baccalà si cucina in diversi modi: in bianco, in gratin, fritto, in umido. Il tutto va preceduto da un bagno prolungato di almeno due giorni per renderlo dolce. Altra manovra da fare prima di metterlo in pentola è la spellatura. Eccellente è al forno con le patate: in un tegame  mettere le patate , pulite e tagliate a fette, non  minute, aggiungere il baccalà in modo che copra le patate e sul baccalà aprire due pomodorini e cospargere da poppa a prua con una montagna di cipolle. Attenti al sale. Mettere l’accqua necessaria per la cottura con l’olio dovuto  e infilare il tegame nel forno, già a temperatura, tenendolo per 37 minuti, abbassando il volume  del fiuoco quando inizia la bollitura.


 


Bacchétte – bacchetta  sf  Verga di legno dritta, una volta molto usata anche nella scuola. Erano i tempi in cui era di moda la frase: Comandare a bacchetta. Pezzo di ceralacca.


 


Bacià – baciare v.   Dicesi di un parango quando la corda è stata totalmente tirata e la carrucola mobile si è avvicinata a quella fissa fino a toccarla. Toccarsi con le labbra.


 


Bacìne – bacino s.m. Luogo appositamente adattato per mettere le navi all’asciutto per i restauri e le pulizie. E’ una cavità a piano inclinato, a contatto con il mare, per consentire alla nave di poter essere tirata in secco. In alcuni grandi porti il bacino è come una grande vasca dove l’acqua penetra attraverso una porta dalla quale entra anche la nave che si vuole porre in secco. Con i palombari si preparano le taccate su cui la nave dovrà poggiare. Indi si chiude la porta e con l’ausilio di apposite pompe si estrae l’acqua. Mentre l’acqua diminuisce si puntella il natante per tenerlo stabile. Per fare uscire la nave dal bacino si fa l’operazione inversa: si riempie il bacino di acqua e si aprono le porte dando libertà di manovra alla imbarcazione.


 


Bafàre – allocco sm. Uccello, persona vigile e arrenta ad ogni cosa.


 


Bafarone – barbagianni  sm.  Uccello rapace.


 


Bafe i viénte – bava di vento s.f. Vento intermittente molto debole e appena percettibile.


 


Bàffe – baffi s. m. Le due onde spumeggianti che il natante in movimento solleva ai lati della prua.


 


Bafuogne – afa. Calore caratteristico dei pomeriggi estivi.


 


Bagàsce – meretrice sf.  Prostituta, puttana, battona, donnaccia, malafemmina.


 


Bagattèlle – cosa di poco conto sf.  Scherzo, cosa da nulla.


 


Bagliètte – baglietto s.m. Travicello di rinforzo ai bagli.


 


Bagnaròle– bagnarole  sf.  Vasca di metallo con manici di piccole dimensioni, tinozza.


 


Bagnasciughe – bagnasciuga s.m. Striscia della superficie esterna della nave, all’altezza del pelo d’acqua, che è alternativamente bagnata e asciutta per i continui cambiamenti della immersione della imbarcazione, la stessa cosa di una spiaggia.


 


Baje – baia s.f. Insenatura della costa. Vasca per ghiacciare il pesce.


 


Balaccone – polaccone s.m. Vela triangolare che i piccoli velieri portano al posto dei fiocchi. Si distende mediante un’asta che fa le veci del bompresso e che viene chiamata spigone.


 


Baleniére – baleniera s.f.  Imbarcazione  con poppa e prora aguzze con sei o otto remi, uno per ogni banco (vanghe). Era una barca di gran lusso. Ricordo quella che aveva  Peppe Di Fazio.


 


Balìgje – valigia  sf.  Specie di cassetta di cuoio, di tela o di fibra da mettervi indumenti  per il viaggio.


 


Bancarèlle – bancarella  sf.  Banco dove si vendono, nelle piazze o vie, merci varie e libri usati.


 


Bancariélle – deschetto sm. Tavolo da lavoro dei calzolai


 


Bànche – banco s.m.  Fondo marino con sollevamento prodotto da organismi viventi che formano delle dimore a forma di arbusti con numerose ramificazioni. Banco di corallo. Nelle imbarcazioni a remi  si indica ciascuna delle tavole trasversali dove siedono i vogatori.


 


Banchère – pettegola sf. Ciarlatrana, comare, chi riporta chiacchiere e maldicenze.


 


Banchine – banchina s.f. Nei porti si dà il nome di banchina a quei luoghi di ormeggio che, con opere murarie, sono stati resi idonei all’attracco delle navi per l’imbarco e lo sbarco di passeggeri e merci.


 


Bancone – bancone sm.  Banco dei negozi su cui si taglia, si misura, si incarta, si vende.


 


Bancunare – vagabondo agg. Stravagante, ozioso.


 


Banne – Bando sm. Annunzio di oggetti posti in vendita., annunzio pubblico gridato dal banditore; luogo, parte; banda; associazione per delinquere.


 


Bannère – bandiera sf. Vessillo; ciarlatana, pettegola.


 


Barbe i jàtte – a barba di gatto. Espressione che si riferisce alla posizione di una nave all’ormeggio o alla fonda per aver affondato le due ancore in modo che le loro catene formino un angolo tra i novanta e i centoventi gradi. Si opera in questo modo per far sì che ambedue le ancore concorrano a  sostenere la nave.


 


Barbètte – barbetta s.f.  Corda di una  diecina  metri che viene tenuta saldamente legata ad un anello metallico infisso all’interno dell’estrema prua di una piccola imbarcazione. Viene usata per il rimorchio. Pizzetto al mento.


 


Barbettone – barbettone s.m. Parabordo di corda intrecciata fissato a prua delle piccole imbarcazioni.


 


Barbuglià – balbettare v.   Brontolare, parlottare,  imbrogliarsi nel parlare.


 


Barbuttèn – barbotin s.m. Congegno che obbliga la catena dell’ancora a far presa intorno all’argano in modo da sollevarla dal fondo e issarla in coperta.


 


Barcarizze – barcarizzo s.m. Apertura sui fianchi della nave dalla quale scende la scala quando il bastimento è all’ancora.


 


Barche – barca s.f.  Nome di un galleggiante di piccole dimensioni mosso da remi.


 


Barcone – balcone sm.  Veranda, terrazzino, sporto con ringhiera a cui si accede da una porta della stanza.


 


Bardasce – intrigante sf. Donna trafficante, disonesta.


 


Bardassèlle –disponibile avv. A disposizione, sottoposto.


 


Baròmetre – barometro s.m. Apparecchio per la misurazione della pressione atmosferica. Esiste su tutte le navi. Fa parte della dotazione di bordo. Il primo barometro fu inventato dall’italiano Evangelista Torricelli.


 


Bàrre – barra s.f. Leva o manovella fissata alla parte superiore del timone per farlo girare.


 


Bartine – berretta sf. Papalina, cuffia, calotta, reticella, cappuccio, turbante.


 


Bàrzeme – balsmo sm.  Conforto, sollievo, lenimento, consolazione, unguento odoroso per lenire i dolori.


 


Bassofunne – Bassofondo s.m. Zona di mare poco profonda.


 


Bastante – bastante avv. Sufficiente, bastevole.


 


Bastimiènte – bastimento s.m. Nome generico di tutti i galleggianti di una certa dimensione destinati alla navigazione. Possono essere dotati di vele e di motori.


 


Batèrne – Baderna s.f. Treccia di corda imbevuta di grasso usata per garantire la tenuta stagna intorno ad organi meccanici in movimento.


 


Battacule – battaculo s.m. Cima per tenere la poppa alla banchina


 


Battagliòle – battagliola s.f. Specie di balaustra o ringhiera che si ottiene aggiungendo tra uno scalmotto e l’altro, incastrati nel trincanino, dei pezzi verticali che possono essere anche rivestiti con tavolame.


 


Battamure – petardo sm. Fuoco d’artificio


 


Battarje – batteria sf. Serie di oggetti, batteria di pentole, fuoco d’artificio che si sparano nelle solennità paesane, localita del cimitero isolano dove, durante il periodo borbonico, per difendere l’entrata del porto, era sitemata una batteria di cannoni.


 


Battilòcchje – inetto  agg. Grullo, di persona grossa e vuota.


 


Battènte – battente s.m. Intelaiatura di un boccaporto che impedisce l’acqua di penetrare.


 


Battìgje – battigia s.f.  Limite del mare sulla spiaggia o lungo la costa.


 


Batuffe – Tressette sm.  Particolare gioco di carte.


 


Bauze – balzo s.m. Ponticello pensile fatto con una tavola  sospesa, per le sue estremità, da due corde. E’ adoperata per le riparazioni e la pulizia degli alberi e per la pulizia esterna delle murate.


 


Bazzeriòte – bighellone sm Discolo.


 


Bbànne – bando sm. Diffusione, pubblicità, propaganda.


 


Bbiécchje – vecchio  agg.  Di persona giunta all’età della vecchiaia, di cosa che, per il tempo trascorso, è in fase di decadimento,  annoso, anziano, longevo, stgionato, vetusto, decrepito, cascante.


 


Bbòne – vaccinazione sf. Immunizzazione, cicatrice della vaccinazione. Agg. piacente.


 


Bedènte – bidente sm. Zappone con due rebbi.


 


Beléne – veleno sm. Mortificazione, umiliazione.


 


Bellélle – bellina agg. Graziosa. spiritosa. civettuola.


 


Bellìzze – pomello sm. Gote arrossata e piacente.


 


Besuogne – bisogno sm.  Necessità, occorrenza.


 


Bettone – bottone sm.  Dischetto di varia natura che, infilato in una asola, serve a unire parti di un vestito, bocciolo di fiori, stirpe, gruppo ristretto


 


Bènde – benda s.f. Striscia di tela che si pone di rinforzo sulle vele, fascia di stoffa per coprire ferite.


 


Bettòline – bettolina s.f. Galleggiante senza mezzi di propulsione usato nei porti  per il trasporto delle merci.


 


Beverone – pastone sm.  Minetra per animali, impasto di cemento molto acquoso, malta.


 


Bezzòche – bigotta sf. Accanita frequentatrice di chiesa.


 


Bianchètte – caolino sf.  Minerale che serve a fabbricare stoviglie, vasi  e altri oggetti di porcellana. E’stato usato anche in tantissimi cose di altra natura come carta, medicina, sapone, e in tanti, tntissimi usi.  Una grossa quantità di questo minerale è stata scoperta  a  Le Forna dall’ing. Francesco Savelli che nell’estate del 1933, intervenendo al 1° congresso internazionale della ceramica, svoltosi a Milano, parlò dei supponibili giacimenti di caolino e bentonite esistenti a Ponza e colse l’occasione di invitare tutti gli studiosi, presenti e non, perché si interessassero delle particolari caratteristiche geologiche delle isole ponziane. Un invito che non venne raccolto forse per le particolari difficoltà di accesso che l’isola presentava in quel periodo. Ponza era sede di confino politico. Che Ponza fosse un’isola di vasto interesse geologico lo affermarono e lo sostennero quegli avventurosi pionieri che, dalla seconda metà del settecento misero piede sull’isola, richiamato ognuno dalle notizie  del precursore. Rispondono al nome di Hamilton, Fortis, Dolomieu, Doelter, Ventura, Sabatini, Von Rath, Mercalli, Friedlander ed altri. Nel 1935, alla fine dei suoi studi, l’ing. Savelli, accompagnato da due testimoni, si recò nella sede comunale per verbalizzare la scoperta di un giacimento minerario nella zona di Cala Acqua sulla costa occidentale dell’isola di Ponza. Quel giorno segnava la data del 28 ottobre 1935. Fu una data voluta. Savelli voleva diffondere la sua fede fascista per essere iutato contro lo scetticismo della scienza  che battezzò quel minerale “terra bianca”. Il caolino venne accolto sul mercato con molta diffidenza e il suo primo impiego avvenne nella produzione della ceramica e dei materiali edilizi. In poco tempo il fronte dell’uso si allargò in modo impressionante. Dalla chiarificazione di vini, liquori, birra e aceto si passò all’uso nella perforazione dei pozzi petroliferi e all’impiego nella fabbricazione della carta, della cellulosa e della plastica come venne usata nella frabbricazione di detersivi e saponi. Trovò largo uso  nella preparazione di medicinali, di vernici e dei colori, come lo ebbe anche nell’industria tessile. Ci fu una richiesta sempre più consistente e più consistente divenne lo sfruttamento della zona. Prima si scavava in galleria poi si passò alle ruspe che in poco tempo invasero e distrussero anche Calacaparra. Gli abitanti delle zone interessate allo sfruttamento, che veniva consentito con decreti del Distretto minerario e avvalorati dalla Prefettura, venivano sfrattati e costretti ad abbandonare l’isola. Furono tante le famiglie che si trasferirono all’Elba e a Formia.


Le Forna era un inferno: case abbattute, terreni coltivati cancellati, soppresse strade pubbliche,  vicinali e private. In nome della economia italiana vennero depennate alture e pianori. Il terreno, interessato alla coltivazione e non, venne totalmente modificato nei suoi aspetti naturali. Gli scavi sono andati avanti, senza guardare in faccia nessuno, fino al 1976 quando, con una serie di atti amministrativi il Sindaco di Ponza, Mario Vitiello, impose la chiusra della miniera. La distruzione di Le Forna è durata quarantuno anni.


 


Biate – avviata sf.  Inizio, l’atto di cominciare. Agg. beato, contento, felice.


 


Bicòtte – bigotta   s.f. Attrezzo di legno simile ad una carrucola, senza rotelle,  con diversi fori scanalati  per il passaggio di una cima. Ha la forma di una sfera schiacciata. Si mettono alle estremità di quelle corde che una volta tese non si debbono più toccare.


 


Bidone – bidone s.m. Recipiente di forma cilindrica con il manico di corda.


 


Bìghe – bigo s.m  Sulle navi da carico si chiama bigo quell’asta inclinata, girevole, saldamente unita nella parte inferiore all’albero mentre la parte superiore è tenuta da un corda, a mante,  in modo da formare con l’albero un angolo, all’incirca,  di quarantacinque gradi.  Esso è posto in corrispondenza dei boccaporti delle stive per caricare e scaricare la merce.


 


Bileche- bilancia sm.  Onere, costo di una spesa.


 


Biscaggine – biscaglina s.f. Scaletta trasportabile, formata da due cime  tra le quali, ad una  distanza stabilita, sono sistemati dei gradini di legno a forma di bastoni.


 


Bìtte – bitta s.f.  Colonna di granito o di ferro, saldamente ancorata lungo i cigli delle banchine, dove vengono legati i cavi di ormeggio. Si chiamano bitte anche quelle colonnine abbinate di ferro,  collegate fortemente alle strutture, che si trovano sulla nave, in modo particolare a poppa e a prua, usate sempre  per dare volta le cime di ormeggio.


 


Blusètte- camiciola sf.  Indumento femminile che si indossa sopra la carne.


 


Bòa – boa s.f. Nome generico di un galleggiante di struttura, forma e colore vari. Servono ad indicare un qualcosa che giace sul fondo.


 


Boffe – bolla sf. Vescichetta, rigonfiamento dovuto ad un liquido o a un colpo.


 


Bòje – monello sm.  Persona scapestrata. Agg. robuto, muscoloso.


 


Boline – bolina s.f. E’ il modo di navigare di una nave a vela contro vento.


 


Bolle – bolla sf. Vescichetta


 


Bòme – boma s.m. Trave cilindrica orizzontale con una estremità fissata alla parte bassa dell’albero con un perno di rotazione mentre l’altra è libera di muoversi. Ad esso è legata la parte inferiore della vela.


 


Bòmmese – brodaglia sf. Minestra scipita e di pessimo gusto e presentazione.


 


Bònafficiate– giocata sf. Gioco del lotto.


 


Bònàneme – buonanima sf.  Defunto. Chiunque muore, anche se nella vità è stato un celeberrimo delinquente e ne ha commesso di tutti i colori, diventa, appena morto, anima buona, talmente buona da far scrivere a Giuseppe Avallone :


“ me so’ fatte nu pizzico / ncòppe u campusante, / leggènne chèlle lapide / d’a ggènte bbona e ssante / padri esemplari, / mamme affettuose, / uòmmene senza vizzie, / figliulélle virtuose, / ggènte ca in fede mia / ha saputo campà / sempre in grazie i Ddie / e mai na nfamità / ma allora, / si ncòppe u campusajnte /  ce stà a ggènte / bbona sultante / pòzze sapé int’a qual aiuole / stanne atterrate / birbante é mariuole”?  Difficilmente supero il cancello d’ingresso del cimitero, anche se alla mia età è consigliato il tirocinio,  perché ho vergogna di incontrarmi, ovunque deposito la sguardo, con tutte persone perbene. Mi sento umiliato.


 


Bòre – bora s.f. Vento freddo proveniente da nord.


 


Bòtte – colpo sf.  Scoppio, petardo,  allusione, riferimento. La parola bòtte viene usata anche in:: a primme bòtte – appena giunti; sotte i bòtte: immediatamente; na mèze bòtte: fisicamente scarso; Tutte na bòtte: di colpo, improvvisamente.


 


Bòzze – bozza s.f.  Spezzone di corda legato ad un punto fisso che serve a tenere tesa,  provvisoriamente, una cima, che è stata tirata e tesata.  Per evitare che durante il tempo che si impiega per darla volta, passandola dal verricello alla bitta, essa  scorra e si perde quello che è stato tirato.


 


Branculià – brancolare v.  Annaspare, andare a tastoni.


 


Branne – branda s.f. Letto del marinaio


 


Brellòcche- fronzolo sm. Gingillo, ciondolo, guarnizione, frange, borchia, oggetto per ornamento. Monile, amuleto, portafortuna,


 


Brevògne – vergogna sf.  Scorno, timidezza.


 


Brézze – brezza s.f. Vento di piccola intensità


 


Brigantine – brigantino s.m. Veliero, classico,  a  due alberi, trinchetto e maestra, con il bompresso a prua. La Cala Brigantina a Palmarola prende il nome da questi vascelli che, di puggiata, a causa da forti venti da ponente a grecale , si rifugiavano in quella baia che noi chiamiamo Vardella da “varde”, basto, sella per bestie da soma. Vardella è il  punto di approdo di Palmarola  per chi deve recarsi sulla Grotta dell’Acqua. Chi va su deve portare il basto pieno. Questa usanza è ancora vigente.


 


Brille – brillo agg. Preso dal vino, ebbro, alterato da alcool, esaltato, infatuato.


 


Brite – vetro sm. Più che la lastra il termine  indica pezzi rotti.


 


Brome – mucillagine sm. Sostanza appiccicosa prodotta dalla infradiciatura delle piante marine che, trasportata dalle correnti,  si attacca alle reti  appesantendole e facendole posare sul fondo, attorcigliate, come una grossa gomena. Nei mari dove c’è la mucillagine non si  pesca.


 


Brucate – rauco gg.  Roco, fioco, di persona affetta da raucedine, voce rauca.


 


Brudagle – brodaglia sf.  Minestra di pessimo gusto


 


Brusche- brusca sf.  Spazzola per animali.


 


Brustulature – tostatore sm Tostino, arnese dove si tosta il caffe ed anche alcuni legumi.


 


Buatte – barattolo sf. Recipiente di metallo.


 


Bucale – boccale  sm.  Vaso di ceramica con pancia larga, con manico e con un becco per mescere.


 


Buccàcce – barattolo sm.  Recipiente di vetro.


 


Buccàgle – follicolo sm. Infiammazione  e irritazione all’angolo della bocca


 


Bùcchele – ciocca sm. Fascetti di capelli arricciati.


 


Buciàrde – bugiardo sm.  Falso, inattendibile, fallace, menzognero.


 


Bucìje – bugia  sf. Menzogna,  candeliere, lume.


 


Budecarèlle – capovolgibile agg.  Facile a rovesciarsi.


 


Bufère – bufera s.f. Tempesta con pioggia e grandine


 


Buffe – ceffone sm.  Schiaffo; Agg. ironico, sarcastico


 


Bugliuole – bugliolo s.m. Secchio di legno a doghe con il manico di corda.


 


Bullètte – bolletta sf. Ricevuta di un pagamento.


 


Bullone – bullone s.m. Chiodo e dado  filettati che servono per unire le lamiere. Il termine bullone mi fa ricordare un simpaticissimo aneddoto che racconto spesso.


Siamo nell’immediato dopoguerra e la miseria non   è ancora scomparsa. Ponza vive nella fame  più tetra. Lo squallore dei genitori che non potevano dare un qualcosa da mangiare ai figli aveva raggiunto il grado della disperazione.


Il pane e gli altri generi alimentari erano razionati. Bisognava essere grati e riconoscenti a Totonno Primo, il capitano marittimo Antonio Feola, che con un suo bastimento, il San Ciro, dopo averlo emerso nel porto di Gaeta, si recò a Napoli dove prese contatti con il Comando alleato riuscendo ad ottenere viveri per la popolazione ponzese.  Giovanni D’Atri, il papà,  non solo di Silverio e Gigino, ma di una prole numerosa, aveva un negozio di generi alimentari e un forno dove panificava. Si serviva di una impastatrice elettrica che una sera si fermò per la rottura del dado che teneva salda la pala. Quella notte  fu costretto a impastare a mano.  L’indomani Giovanni D’Atri si recò nella bottega di Maurino e Mario, due meccanici che sapevano anche lavorare il ferro, perché gli aggiustassero l’impastatrice. Chiese di Maurino che non c’era per cui fu costretto a dire a Mario il suo problema e Mario dopo il  “vengo a vedere cosa bisogna fare” si recò nel forno e notò che il dado che assicurava la lama alla carcassa si era rotto. Capì l’antifona e  tornò nella officina dove prese un chiodo e lo segò ad una dimensione che ritenne sufficiente per il lavoretto. Ritornò nella bottega di Giovanni e sistemò in un attimo l’impastatrice. Bisognava solo ribattere il chiodo da un lato.


Giovanni gli chiese quanto doveva  per il lavoro effettuato e alla risposta: “niente” di Mario,  prese due filoni di pane da un chilo ciascuno, li infilò in un sacco di carta e li diede a Mario raccomandandogli il silenzio. La meraviglia di Mario fu immensa, sperava in meno. Due chili di pane di quei tempi! Che cosa meravigliosa. Appena vide Maurino lo mise al corrente dell’accaduto. Il chiodo arrugginito che Mario aveva usato ebbe breve durata. Dopo poche ore di movimento si stroncava. Bastava per due, massimo tre, imbastate.


E Giovanni correva da Mario e Mario di corsa, sempre con un ferro arrugginito, riparava il danno e in cambio, sempre, i due filoni e qualche volta anche un po’ di farina perché le mogli a casa  facessero le péttule. Era una manna che pioveva quasi giornalmente.


In un giorno della solita rottura, Giovanni, come al solito,  corse da Mario ma nell’officina Mario non c’era. Era su un gozzo che aveva il motore in avaria. Nell’officina c’era però Maurino a cui Giovanni confidò il suo disappunto. Maurino si avviò con Giovanni a constatare il danno, non c’era mai stato,  e cosa occorreva per rimettere la macchina in efficienza. Guardò attentamente il danno e capì cosa bisognava fare per ripararlo. Lasciò il forno per andare nella bottega a prendere gli attrezzi necessari. In un recipiente fatto da una tanica di nafta a cui  era stata tolta una parete, dove si depositavano gli scarti, niente veniva buttato,  tutto poteva  essere utile, trovò un vecchio bullone di acciaio che, a suo giudizio, poteva andare benissimo. Lo mise nella morsa e lo segò nella misura che riteneva giusta. Tornò alla impastatrice e sotto gli occhi di Giovanni lo sistemò al posto di quello che si era tranciato, lo ribatté con un pesante martello che si era portato dietro  per fargli la capocchia perché non si sfilasse.


Fatto ogni cosa disse a Giovanni: “Nun te prèoccupà, mò è difficile ca se rompe subbete”.


Giovanni lo ringraziò e gli diede, come era solito fare, le due pagnotte di pane e i due chili di farina, da dividere con Mario. Maurino tornò in officina e poggiò il regalo, e che regalo di quei tempi!, sul banco. Quando Mario rientrò dal lavoro che stava facendo sul gozzo, vide il pane e chiese a Maurino chi glielo avesse dato e Maurino: “ sono andato da Giovanni d’Atri e gli ho sistemato l’impastatrice”. E Mario: “cosa ci hai messo?”


Un dado d’acciaio, fu la risposta di Maurino.


Mario, sorridendo amaramente, gli rispose: “ Mò u ppane u vvide c’u binòchele”!


 


Bumbazze – vino  sf. Vinello che Totò, senza ombra di dubbio, definirebbe ciufèche.


 


Bumpriésse – bompresso s.m. Albero che sporge all’estrema prora delle navi a vela su cui si stendono i fiocchi, le vele triangolari.


 


Bunàcce – bonaccia s.f. Calma di vento e di mare.


 


Bunacciate – calmata sf.  Il ritorno alla calma del mare e del vento.


 


Buorde – bordo s.m. Ciascuno dei fianchi della nave. Orlo, margine, cornice.


 


Buorde libere – bordo libero s.m. Linea di massimo carico segnata sulle fiancate delle navi.


 


Burdate – bordata s.f. Tratto di una navigazione a zig-zag, virata; stoffa resistente e dura; il recarsi momentaneamente in un luogo per una particolare circostanza, passo e vado via.


 


Burdeggià – bordeggiare v. Avvicinamento alla meta non in forma diretta a causa del vento contrario.


 


Burdèlle – disordine sf.  Confusione, chiasso, caos, casa di tolleranza.


 


Burdèrò – cassaforte sm.  Averi, ricchezze.


 


Buriane – buriana s.f. Temporale di breve durata  e di  piccolo estensione e consistenza.


 


Burrasche – burrasca s.f. Temporale di una certa consistenza.


 


Burzellìne – Borsellino sm.  Portamonete.


 


Burzètte – borsetta  sf.  Piccola borsa a mano, più o meno elegante,  per signora.


 


Buscà – guadagnare v.  Lucrare, trarre profitto, di roba avuta in regalo.


 


Bussà – bussare v.  bussare, battere a una porta, chiedere prestito o offerte.


 


Bùssele – bussola s.f. Con questa espressione vengono indicati tutti gli strumenti che indicano i punti cardinali e che permettono di definire il cammino di un natante. Porta interna che dal corridoio  dà alle camere.


 


Buttarèlle – spinta sf.  Spintarella, raccomandazione.


 


Buttigle – bottiglia sf. Contenitore di vetro per liquidi, boccia, caraffa, ampolla.


Una volta, ai tempi di quand’ero ragazzo, è quasi passato un secolo, c’era un periodo dell’anno, l’estate, in cui in ogni casa non si parlava che di buttigle ed erano le bottiglie di pomodoro. Lo scatolame che ha invaso le nostre case una volta non c’era ma non perché non ci fossero le fabbriche per la lavorazione del pomodoro ma perché nei piccoli paesi, a natura contadina, il pomodoro lo si lavorava in casa.


Il giorno stabilito tutte le persone efficienti della famiglia si destavano prestissimo. Le bottiglie, messe da parte per tutto l’anno,  erano state già accuratamente lavate, risciacquate e messe a testa in giù per colare quelle poche gocce di acqua. I pomodori, anch’essi lavati e risciacquati riempivano scafaréje e conche.. Si dovevano lavorare in vari modi secondo le necessità della cucina. C’era bisogno della salsa per fare il ragù e allora i pomodori venivano passati  o al setaccio o in una macchinetta tritatutto da dove usciva il sugo che veniva messo con folie di bailico in grossi piatti di ceramica dal diametro di 50-60 cm che poi  venivano messi al sole per settimane per la evaporazione dell’acqua. Venivano coperti da un velo e ritirati prima che il sole tramontasse dal quel luogo. Quando la conserva si era rassodata ed aveva assunto un colore rosso-bruno tendente al nerastro veniva tolta dai piatti  e messa in barattoli o pentole di terracotta. Anche qui il ciuffo di basilico non doveva mancare. Si copriva con un piatto e si portava nel ripostiglio


Il sugo per il passato veniva messo in bottiglie, sempre accompagnato dal rametto di basilico, che venivano tappate con apposita macchinetta ed il tappo, che  doveva essere sottoposto ad ebollizione,  veniva legato a croce con uno spago sottile per evitare che potesse sollevarsi dal collo della bottiglia. Queste bottiglie venivano messe in un caldaia, dal diametro di una ottantina di centimetri,  con l’acqua per una bollitura di 20-30 minuti.Per evitare che tozzandosi si rompessero, tra una fila e l’altra, veniva steso un panno di iuta. Per i pomodori a pezzetti che erano utili per la carne alla pizzaiola,  per il pesce all’acqua pazza,  per le varie minestre do necessitava, si tagliavano in quattro parti e con una cannuccia venivano infilate nella bottiglia che doveva seguireanch’essa  la prassi della bollitura.


Rimanevano infine i pomodorini che si tenevano freschi a grappoli. Nel cogliere questi pomodori si faceva uso delle forbici perché si cercava di farli a coppie per sistemarle su uno spago  che, come un raspo, doveva formare il grappolo.


 


Butteglione – bottiglione sm.  Grossa bottiglia, contenitore di vetro che può andare dal “salmanazar”, dodici litri, al “ baldassarre” , quindici litri.


 


Butte ncuorpe- sdegno sm.  Rancore, ruggine, risentimento celati e manifestati improvvisamente senza preavvisi.


 


Buttone – bottone sm.  Dischetto di vario genere traforato e cucito che serve per unire due parti di un vestito; bocciolo, picciuolo.


 


Buttuncine – flacone sm.  Bottiglietta, piccolo recipiente; piccolo bottone di metallo.


 


Buzzièlle – bozzello s.m. Nome generico per indicare una consistente carrucola.


C


 


Cà – qua  cong. Che, perché, se non. Avv. qua , in questo luogo.


 


Cabine – cabina s.f. Piccola camera per alloggiare il personale e i passeggeri


 


Cabotagge – cabotaggio s.m. La navigazione che viene effettuata tra un porto e l’altro di uno stesso Stato. Il gran cabotaggio, invece,  è la navigazione nel mar Mediterraneo, compreso il mar Nero e il mare d’Azof. Il gran cabotaggio comprende anche la navigazione atlantica lungo le coste europee fino ad arrivare nel mar Baltico. La stessa cosa è quando si esce dal canale di Suez  e si costeggiano le coste asiafricane fino ad arrivare nel Senegal,  a non più di trecento miglia dalla costa.


Il padrone marittimo, grado della marina mercantile, dopo aver compiuto  tre anni di navigazione effettiva e superato un apposito esame presso una capitaneria di porto gli veniva  riconosciuta la capacità   di comandare una nave mercantile di qualsiasi portata destinata alla avigazione e al traffico nel mare Mediterraneo. Questo padrone marittimo, in caso di necessità e su richiesta, veniva  autorizzato ad uscire dalla porte del Mediterraneo.


 


Cacà – defecare v.  evacuare gli escrementi, andare di corpo.


 


Cacacazze – seccatore sm.  Fastidioso, importuno, uggioso.


 


Cacagliuse – Balbuziente agg.  Il difetto di chi solitamente balbetta.


Cacarèlle – Diarrea  sf.  Sciolta

 


Cacarone – pauroso agg.    Pavido, codardo.


 


Cacasicche – avaro  sm. Gretto, spilorcio, taccagno, tirchio, tirato.


 


Cacasotte – pavido agg.  Pauroso, codardo.


 


Cacauozze – lumaca sm.  Lumaca millepuntata, mollusco, roba senza valore.


 


Caccavèlla – pentola sf.  Tegame senza forma, oggetto di scarso valore.


 


Cacchedune – qualcuno  pr. Qualcuno

 


Cacciate – offerta sf.  L’offrire liquori e dolciumi durante un ricevimento, oblazione, dono, regalo.


 


Cacciuttièlle – Gattuccio s. m. Sclyorhinus canicola, della famiglia degli squaloidi. E’ il più piccolo dei pescecani. Ha una carne saporitissima.


Era uso mangiarlo “ncattevàte”, incattivito. Lesso con aglio, olio, prezzemolo e tanto, tanto peperoncino. Anche in umido è eccellente.


 


Caccòse – qualcosa  sf. Un poco


 


Cachère – pettegola sf.  Maldicente, merlo, uccello.


 


Cachisse – kaki sm.  Loto, frutto.


 


Cacòcche – uovo sm.  Frutto della gallina.


 


Cafone – zotico sm.  Villano, contadinaccio, invadente, volgare. E’ chille ca sòle doppje é u cerviélle fine, a cui spesso si perdonano la goffaggine  e la ruvidezza. Il termine cafone deriva da quei contadini dell’entro terra che scendevano nella città per vendere le loro bestie che, logicamente, tenevano legate. La vendita non comportava anche la cavezza per cui una volta vendute le bestie si ritornava al paesello con la fune, da cui cafone. Si chiamavano cafoni anche quegli uomini che, al posto della cintura per tenere i pantaloni, usavano la fune


 


Cagnà – cambiare v.  modificare, rivestire.


 


Càgne – Flemma, sf.  Lentezza nell’operare, pigrizia, indolenza, torpore; sm. Cambio, baratto.


 


Caicchje – caicco s.m. Piccolo battello usato per il trasporto delle persone.


 


Cainate – cognato sm.  Il marito di tua sorella, sf.  La moglie di tuo fratello


 


Caiole – gabbia Arnese di varie forme e di varia grandezza per rinchiudervi animali.


 


Calà – calare v. Ammainare, abbassare, distendere.


 


Calafatàgge – calafataggio s.m. Operazione per infilare  stoppa e catrame tra due tavole del fasciame o della coperta allo scopo di ottenere l’impermeabilità all’acqua.


 


Calafàte – calafato s.m. Operaio addetto al calafataggio.


 


Calamàre – calamaro s.m. Loligo vulgaris,  della famiglia dei cefalopodi. Apprezzato in tutte le cucine. La sua morte più richiesta è fritto. In tante


famiglie ponziane si usa friggerlo per intero così che, quando lo si taglia, le fette vengono avvolte  dal nero, contenuto in una borsetta sita all’interno dell’animale, che gli dà un sapore caratteristico e straordinario. Questo nero è usato anche nei ristoranti per il risotto. Oreste, maestro dell’arte culinaria, fra le tante cose,  fa anche il pane al nero di seppia.


 


Calandrèlle – canicola sf.  Aria assolata e afosa


 


Calannàrje – calendario sm.  Almanacco, lunario.


 


Calate – tuffo s.f. Immersione, spingere  sott’acqua.


 


Calculià – apprezzare v.  Stimare, tenere in consoderazione


 


Caldaje – caldaia  s.f. Locale caratteristico delle navi a vapore dove veniva riscaldata l’acqua per generare vapore da utilizzare per il movimento della macchina. Vaso di rame assai grande, che va sotto il nome di caùtare, per far bollire le  bottiglie di pomodoro, i barattoli di tonno e per fare il bucato. Caldaia era la pentola dove si lessava la pasta.


 


Cale – cala s.f. Nome di piccola insenatura dove si possono rifugiare  e ormeggiare  imbarcazioni da pesca e barche. Sulle navi prendono questo nome quei locali destinati a magazzino di materiale di dotazione e di consumo custodito dal nostromo o dal pennese.


 


Cale i bandiére – Gran pavese s.m. Il modo di ornare la nave, in particolari festività, distendendo tutte le bandiere in dotazione tra le estremità degli alberi.


 


Calemiénte – calumo s.m. Una certa quantità di cordame e di attrezzi da pesca che si usano contemporaneamente.


 


Calìje – calmaria sf.  Lo stato del mare quando non soffia il vento. Mare tranquillo e calmo.


 


Calimme – quiete  sf. Tranquillità del mare e dell’aria, bonaccia.


 


Caliòte – discolo sm.  Monello


 


Calluse – calloso  agg. Indurimento della pelle specialmente dei piedi e delle mani. Si riferisce anche alla callosità di alcune parti bovine, muso e zampe, che dànno piatti saporiti.


 


Càlme – calma s.f. Stato del mare  quando è tranquillo ed immobile.


 


Calòmme – calumo s.f. Quantità di una corda che è uscita dal natante. Lunghezza  di catena tra l’ancora affondata e la prua. Cordicella che tiene legati al galleggiante gli attrezzi da pesca messi in acqua.


 


Calòrce – galloccia s.f. Con questo termine si indicano quei pezzi di legno o di metallo  che sono sistemati lungo i fianchi di una imbarcazione, ovunque vi sia passaggio di cime, per legarle.


 


Calore – calore sm.  Caldo, foja amorosa, effusione amichevole.


 


Calòscje – calosce sf. Soprascarpa di gomma.


 


Calummà – spingere  v.  Calare a mare, buttare fuoribordo, intrufolare


 


Caluomme – allentamento sm.  Imbando della corda o della lenza; sollecitazione per parlare..


 


Camàge – filaccione s.m. Lenza da posta.


 


Càmbe – Interno sf.  Parte interna della nassa.


 


Cambisse- nenia sf.  Cantilena


 


Cambùse – cambusa s.f. Deposito dei viveri.


 


Cambùsiére – cambusiere s.m. Marinaio addetto alla custodia e alla distribuzione dei viveri. In genere è anche cuoco.


 


Camiènte – connessura sm.   Connessione fra due tavole della carena.


 


Cammarèlle – cameretta  sf.  Piccola  camera


 


Càmmese – camice sm. Veste lunga di tessuto bianco, vestaglia.


 


Cammine – percorso sm.  Tragitto, cammino.


 


Cammìse – camicia sf. Indumento a tinta unica o a colore che si porta sotto la giacca


 


Cammumìlle – camomilla sf.   Fiore di pianta che si usa per fare decotti.


 


Campà – campare v.  Vivere


 


Campagne – campagna s.f.   Si dà questo nome alle lunghe crociere sia per il traffico di merce che per la pesca. I pescatori solevano dire: “ quanne è a settèmbre nce ne jamme Ntuscane p’a campagne di castaurriélle”. Angelo Verginelli, macchinista navale, invece, quando tornava, dopo il periodo di imbarco, sosteneva, da indefesso lavoratore quale è stato,  che s’era fatto, su una “carboniera”, tra la Cina e il Giappone, una campagna di cinque mesi, pretendendo asciugamani di spugna per il sudore retroattivo.


 


Campàne – campana  sf.  Strumento di bronzo, simile ad un vaso rovesciato con, all’interno, un battaglio sospeso che al minimo movimento, battendo contro la parete,  dà un suono al bronzo.. E campana è anche quel vaso di vetro tondeggiante tenuto, nelle case, sui comò,  per coprire oggetti delicati. E una campana era quella  che, nella grotta di Lucrezia a Palmarola, su unvecchio, tarlato e antico comò, custodiva una piccola statua della Madonna e una immagine di San Silverio,  che creò un srio imbarazzo ad un soldato accasato a Palmarola.


In uno dei primi  giorni di marzo del 1942, poco prima di mezzogiorno, mentre Lucrezia era intenta a prepararsi qualcosa da mangiare, passò davanti alla sua grotta uno di quei soldati della guarnigione distaccata a Palmarola. Lucrezia non lo conosceva,  era a Palmarola, con Giovannina e Civitella da due giorni, e né il militare conosceva Lucrazia. La stradina che portava sui Vricci,  dove c’era la piccola caserma, che il militare doveva raggiungere  passava proprio davanti la grotta di Lucrezia, che in quel momento aveva la porta spalancata, ed il soldato, attraversandola,   le rivolse gentilmente il saluto dicendole anche che se avesse avuto bisogno lui era disponibile a darle una mano. La gentilezza di quel ventenne mise ia disagio  la vecchia nonna palmarolese che istintivamente lo invitò ad entrare per offrirgli un bicchiere di vino, Il soldato  non rifiutò l’invito, non poteva, era vicentino. Entrò educatamente rimanendo all’impiedi nonostante che Lucrezia gli avesse offerto uno sgabello per farlo sedere . Stava da diversi mesi a Palmarola ma non  era mai entrato in una di quelle grotte che servivano da abitazioni per i contadini che si recavano a lavorare la terra. Volse lo sguardo dovunque e dappertutto e mentre prendeva dalle mani di Lucrezia il bicchiere di vino aveva lo sguardo fisso, senza la minima distrazione, su quella immagine che stava sotto la campana.Accertatosi, guardò negli occhi la vecchietta, togliendole il bicchiere dalle mani che innalzò verso quell’immagine, a mo’ di saluto,  dicendo a Lucrezia: “Quello è il  vecchio che incontrai per la strada, un po’ più sopra, in una giornata di cattivo tempo , un cattivo tempo che durava da oltre dieci giorni, che non permise alla barca di portarci i viveri. Eravamo alla fame. Io salivo dalla spiaggia per dire ai miei compagnoi che le onde erano grosse e che sicuramente la barca neanche quel giorno si sarebbe fatta viva. Il vecchio, che io pensavo fosse un contadino,  mi poggio una mano sulla spalla dicendomi :Vai sopra e avvisa i compgna che nel primo pomeriggio la barca sarà quì. Ma con questo mare? Si, oggi la barca sarà quì.


Lo ringraziai e corsi a portare la notizia ai compagni. Quel vecchio non era un contadino, quel vecchio era quello della tua foto, con la stessa barba. Uscì dalla grotta di Lucrezia senza un accenno di saluto. Si avviò per la salita con gli occhi umidi di lacrime.


 


Campaniélle – campanello sm.  Suoneria, sonaglini, pianta di erba.


 


Càmpe –  bruco sf.  Cavolaia, verme di terra.


 


Campulià – vegetare v.  Vivere stentatamente, andare avanti  miseramente.


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Cancàgle – mandibola sf.  Mascella, ossa della bocca dove sono confitti i denti.


 


Cancherjà – gironzolatre v.  Bighellonare


 


Canciélle – cancello  sm.  Chiusura di un luogo con assi di ferro o di legno incrociati tra loro, porta.


 


Candià – rasentare v. Sfiorare, lambire.


 


Canésche – verdesca s.f. Glyphis vilgaris, squaloide. La caratteristica principale di questo pescecane è la voracità. E’ sempre affamato.


 


Canéste – cesta sf.  Gerla


 


Canestrèlle – braca  sf.  Piccolo sbirro che si usa per la messa in opera di un bozzello.


 


Canimme – lezzo sf. Moltitudine di cani


 


Caniste – canestro sm.  Recipiente di canne intrecciate con un solo manico ad arco.


 


Cannacche – sottomento sf. La parte esterna anteriore del collo.


 


Cannacchèlle- bargiglio  sf.  Appendice carnosa che pende sotto il mento  di alcuni animali, gallo, tacchino e alcuni ovini.


 


Cannafeole- stelo sf.  Quella parte dell’agave che sostiene il fiore. Una specie di alberello vuoto internamente che secca, contemporaneamente,  con la morte della pianta.


 


Cannarone – esofago sm.  Gola


 


Cannarute- goloso agg. Ghiotto, ingordo


 


Canne – crepuscolo sm  Quella luce fioca  dopo il tramonto del sole o poco prima del suo levare. Sf. Canna, pianta delle graminacee con fusto dritto e vuoto.La canna era  una antica misura lineare, corrispondeva a m. 2,10.


 


Cannéle – candela sf. Pezzo cilindrico di cera con una anima  di bambagia, stoppino, che si accende per fare luce.


 


Canneliére – candeliere s.m. Ciascuna asta, metallica o di legno, che sorregge tende e tendalette. Con lo stesso nome vengono definite le aste che formano le ringhiere intorno ai ponti. Sostegno per le candele. Persona impalata.


 


Cannèlle , cannula sf.  Attrezzo per spillare il vino, canna da pesca.


 


Cannià – fendere v.  Screpolare, spaccare, curvare.


 


Cannòle – molletta sf.  Attrezzo usato per tenere i panni ad una corda stesa per farli asciugare, tubatura dove scorre l’acqua piovana.


 


Cannucciàte – rete s.f.  Era una normale rete da pesca senza piombo e senza cuorcete, una rete galleggiante perché ad essa venivano legate delle canne, da cui il nome, lunghe quanto la sua altezza che si aggirava intorno ai due metri. Le canne le permettevano di galleggiare stesa sulla superficie del mare. Essa veniva legata ad una rete regolare che scendeva dalla superficie marina sul fondo.


Per stendere la cannucciate occorrevano due gozzi che navigavano quasi appaiati. Quello davanti stendeva la rete normale, il tramaglio,  l’altro calava in acqua  la cannucciata sui  galleggianti dell’altra rete. Aveva la funzione di evitare che i cefali stretti nella morsa saltassero l’ostacolo delle rete verticale. Una volta circondato il pesce le stazze delle due reti venivano portate a terra e si tirava come se fosse una sciabica. Il tiro doveva essere lento perché il piombo della rete verticale doveva scivolare sul fondo sabbioso in modo da evitare che i pesci passassero al di sotto. La strettoia faceva infuriare i cefali che quando si rendevano conto che la rete ostacolava il loro movimento si davano a saltarla per superare l’ostacolo. Il salto li portava sulla cannucciata dove rimanevano impigliati. L’accerchiamento dei cefali avveniva sempre nelle acque antistanti la spiaggia di Sant’Antonio. Era uno spettacolo meraviglioso. Più il cerchio si stringeva e più i pesci impazzivano. Saltavano da tutte le parti. L’acqua schizzava   come fuoco pirotecnico.


 


Cannulicchje – cannolicchio s.m. Solen vagina dei lamellibranchi. Mollusco con conchiglia bivalva. Si trova scavando nella sabbia del “summariélle”.


 


Cannuole –  molletta  sm. E’ l’antenato della molletta per tenere i panni stesi.  E’ fatto con un pezzo di canna tagliata al centro in modo da lasciare due denti che si infilano sul tessuto steso. Il cannuolo è un dolce per le ricorrenze solenni e cannuolo era anche l’asticella della penna da scrivere, quella che teneva il pennino..


 


Canottàgge – canottaggio s.m.  Termine che designa l’esercizio della voga.


 


Canòtte – canotto s.m.  Piccola imbarcazione a remi con la poppa quadra.


 


Cantare – quintale sm.  Misura di peso


 


Càntere – vaso sm.  Pitale, vaso da notte.


 


Cantariélle – truogolo sm.  Specie di vasca  scavata nel basalto dove mangiano i maiali. Deve essere pesante altrimenti i maiali la capovolgono.


 


Cànte – pendio s.m.   Scoscesa del fondo marino dove i pesci e le aragosta si ammucchiano rendendo più ricco il pescato.


Un aneddoto: Partecipai, con il maestro Totonno Scotti alle elezioni amministrative del 1956, per aiutare Francesco Sandolo, avversario della democrazia cristiana, che si trovava impelagato in un processo amministrativo. La lista aveva per simbolo l’aragosta. Ci trovammo per caso , durante lo sfoglio, nella IV sezione posta nella zona della chiesa di Le Forna dove, a scrutinio concluso, la lista avversaria prese solo sette, ripeto, sette voti. Un plebiscito. Il presidente della sezione era un magistrato della Corte di Appello di Roma. Un simpatico vecchietto che nella lettura dei voti ripeteva:  aragosta, aragosta, aragosta  fino a stancarsi tanto da imporre una sosta con la richiesta di  un bicchiere d’acqua. Un vecchio pescatore che seguiva lo sfoglio, a voce alta, nel sentire sempre e continuamente: aragosta, aragosta, disse: “stamme facce u cante” e dovette dare spiegazioni al presidente che si era fermato per  attendere il  bicchiere d’acqua che aveva chiesto e che   il vecchio sagrestano, scrutatore di quel seggio, con abitazione vicina, si era mosso per andarlo a prendere.


Quando tornò  con  il bicchiere pieno d’acqua, lo prese dal vassoio e lo porse al presidente che ebbe un sussulto e, a voce alta,   disse: “Non c’è da meravigliarsi, quì le chele sono finanche nelle vostre mani.”


Il  buon Scarabucchiélle aveva il pollice della mano destra diviso in due come la chele di un crostaceo.


 


Càntere – vaso  sm   Vaso da notte, pitale, orinale.


 


Cantià – scansare v.  Evitare, schivare, farsi da parte.


 


Cantiére – cantiere s.m. Stabilimento,  zona,  destinato alla costruzione e alla riparazione dei natanti.


 


Cantone – macigno sm.  Sasso,  grossa pietra.


 


Cantuffe i sceròcche – afoso agg. Canicolare, asfissiante,  opprimente. Che dà afa, si dice per i meriggi torridi e soffocanti.  L’ho sentito, questo termine, per la prima volta in vita mia, all’età di ottant’anni, in due giorni diversi e da persone diverse. Non è mai troppo tardi. Il caldo e la afosità eccessivi di questa estate l’hanno fatto partorire. Ieri l’ha detto Patalano, quasi settantenne, pescatore di felloni e quindi amico, oggi l’ho sentito ripetere da Francuccio, trentenne e mi ha fatto più piacere.


 


Canùse – zigrino s.m. Etmopterus spinax, della famiglia degli squaloidi.  Lo si vende, quasi sempre, spellato e senza testa, per gattuccio ma non ha le qualità culinarie dello stesso.


 


Canuttiére  – canottiere, s.m. Colui che esercita la voga; sf. maglietta intima.


 


Canzaniélle – piccolo agg. Esiguo, minuscolo, piccino, svelto, maneggevole.


 


Canze- occasione sm. Opportunità, motivo.


 


Capà – scegliere v. Selezionare i pesci, uno per uno, per metterli in una cassa in un determinato modo.


 


Capate – testata sf.  Colpo dato con il capo, ricordevole quella di Zidane a Matarazzi nella finale dei campionati del mondo di calcio.  E la capate la dà anche la nave quando naviga con mare grosso o il piécure perché l’anima gemella si faccia “accudire”.


 


Cape – capo sf. Testa


 


Capechiàtte – capopiatto s.m. Haxansus griseus, anch’esso squaloide. Si pescava a grosse profondità con la coffa il cui filacciolo che teneva  legato il grosso amo era avvolto da una spirale di rame per evitare la rosicatura del filo. Sono state pescate prede che raggiungevano i cinque quintali di peso.


 


Capejarse – scorfano di fondale s.f. Helicolenus dactylopterus, della famiglia degli scorfanidae. Ha occhi e bocca molto grandi. Vive in un mare profondo. Si pesca assieme alle pezzogne con il bolentino. Ha carni saporite e idonee al sugo per i vermicelli.


 


Cape i ciore – cavolfiore sm.  Pianta commestibile  che ha una grossa infiorescenza a forma di palla.


 


Cape i pèzze – suora sf.  Monaca, donna che fa parte di un ordine religioso femminile.


 


Capellère – capigliatura sf.  Capelli lunghi e abbondanti.


 


Capennugle – capodoglio s.m.  Phiseter macrocephalus. Grosso cetaceo, il cui maschio può misurare anche 25 metri mentre la lunghezza della femmina si ferma alla metà. La sua  presentza  nei nostri mari è frequente.


 


Capère – pettinatrice sf.  Pettegola, intrigante. Se ne fanne ngiuce nei negozi dei parrucchieri!


 


Caperòte –  ruota s.m.  Prolungamento del dritto di prua, che si erge dall’estremità della chiglia,  per formare la prua.


 


Capetèste – capotesta s.m  Principio o  inizio di un attrezzo calato a mare.


 


Capetià – capovolgere v.  Rovesciarsi


 


Capetiate – girata s.f.  Giravolta, voltata  che si fa in uno specchio d’acqua limitato.


 


Capetiélle – capezzolo sm. Protuberanza della mammella da cui esce il latte.


 


Capetuoste – caparbio agg.  Testardo, cocciuto.


 


Capeture – gavitello  s.f.  Galleggiante, grippiale di profondità, che si legava alla cima della nassa ad una determinata altezza dal fondo per tenerla tesa in modo da evitare che la corrente marina la trascinasse sotto gli scogli.


 


Capevèrde – anitra sm. Germano reale, uccello


 


Capézze – cavezza  sf. Fune che lega un animale per il capo.


 


Capezzone – tracina s.m. Trachinus draco. Il fondo sabbioso di Ponza è ricco di questi esemplari. Sono molto pericolosi per le spine di cui   hanno cosparso il corpo. Se si viene punto sono scintille. Solo una spruzzata di ammoniaca riesce a lenire il dolore.


 


Capitanèrje – capitaneria, s.m. Ufficio marittimo. Si distingue in Compartimento che rappresenta la zona in cui è diviso il litorale. Ad ogni Compartimento è preposto un ufficiale superiore. Nel Circomare che rappresenta un settore del Compartimento e a capo del quale è destinato un ufficiale ed infine nel Locamare, ufficio di un piccolo porto, comandato da un sottufficiale.


 


Capitàne– capitano s.m. Con il titolo di capitano vengono designate tutte quelle persone che hanno il comando di una qualsiasi nave.


 


Capitone – anguilla s.m. Anguilla anguilla, degli anguillidi.


E un pesce che su alcune piazze e in determinati periodi raggiunge un prezzo incredibile. Il trasporto avveniva con le “mbrucchiélle”, il bastimento vivaio. I bastimenti venivano tirati in secco per sistemare all’interno della stiva una rete metallica a piccole maglie che aveva lo scopo di tappare i buchi per non farli uscire e di consentire contemporaneamente il ricambio dell’acqua. L’acqua stagnante era sinonimo di morte per cui quando li si caricava si partiva con qualsiasi tempo. Anzi si auspicava il tempo pessimo. Una volta, quando si raccoglieva e si faceva uso dell’acqua piovana, in ogni cisterna vi era uno o più capitoni che distruggevano  gli insetti che  si producevano.


 


Capliònghe- capitombolo sf.  Capriola, ruzzolone.


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Capobarche – capobarca s.m. Titolo che viene conferito agli iscritti tra la gente di mare che, dopo un periodo di esercizio, si dimostrano capaci di comandare barche, non superiori ad un certo tonnellaggio, destinate alla pesca o al piccolo traffico.


 


Capone – capone s.m. Grosso bozzello a carrucola tripla che si tiene legato all’albero di prua per  essere usato per posizionare l’ancora, sia  di dritta che di sinistra, una volta salpata da cui la espressione caponare l’ancora. Quando l’ancora levata dal fondo arriva al livello del mare, viene agganciata  con questo paranco, lateralmente alla prua, dove dovrà essere sistemata,  strettamente legata affinché non si muova durante la navigazione. Con il termine capone si indica anche un tipo di scorfano: il capone lira, Trigla lyra.


 


Càppe – cappa, s.f. Così viene definita l’andatura che una nave è costretta a tenere per affrontare, con il minimo danno, un temporale. In questi casi, la nave, riducendo al minimo la velocità, che deve sempre consentire la governabilità, fa rottain modo da  ricevere i marosi su uno dei lati della prua, a mascone.


Con il termine “cappe” si indicano anche tutte le coperture di tela, semplice o cerata, che si usano per coprire boccaporti o qualsiasi strumento.


 


Cappeggià – cappeggiare v. Navigare alla cappa.


 


Cappellòtte – seppiola  s.m. Piccola seppia che vive nel fango.  Viene pescata dalle reti a strascico. La si usa come esca nella pesca dei  saraghi, innescando gli ami della coffa, e nella pesca delle pezzogne innescando il bolentino.


 


Cappiélle – cappello sm.  Copricapo che può essere di forme e dimensioni varie.


 


Caprigne – Testardo agg. Caparbio, ostinato.


 


Capunate – vivanda sf.  Pane biscottato bagnato e condito con aglio, pomodoro,  olio e origano.


 


Cà pure- anche quì  avv.


 


Capute- penetrato agg. Entrato, infilato, infiltrato


 


Capuzzàte – capata s.f. Colpo dato con la prua o con il capo.


 


Capuzzià- movimento del capo v.  Abbassare la testa per sonnolenza o per acconsentire.


 


Capuzziélle – bullo sm.  Di persona arrogante e prepotente.


 


Carabbùttine – carabottino s.m. Coperchio per la chiusura dei boccaporti creati per lasciare il passaggio dell’aria per i locali sottostanti.


 


Caràce – scanalatura sf.  Canale che si fa   nell’intonaco per la sistemazione, non visibile, di fili elettrici e tubi.


 


Caraffa – ampolla  sf. Particolare bottiglia di vetro, con il collo stretto, munita di  manico e beccuccio.


 


Carànfe – cavità  s.f. Anfratto, rientranza, incavatura lungo la costa o tra gli scogli.


 


Carapénne – bilico loc. Una cosa che sta in equilibrio ed esprime incertezza e dubbio.


 


Carbuniére – carboniera s.f.  Sulle navi a vapore si chiamavano i locali destinati a contenere la provvista di carbone. Con tale termine venivano designate anche le navi da carico che trasportavano carbone o altro materiale.


 


Carcagnuole – calcagnuolo s.m. Nell’ossatura della nave è il perno, ad angolo retto, che unisce la chiglia con il dritto di poppa.


 


Carcasse – carcassa sf. Armatura o ossature di un oggetto, scheletro.


 


Carchetià- premere v.  Pigiare, ardere, bruciare, scottare del sole, montare del gallo.


 


Carciòffele – carciofo sf.  Pianta e frutto; ferita, bitorzolo.


 


Cardate- batosta sf.   Sconfitta, disfatta, scacco.


 


Cardògne – scorfanetto s.f. Scorpanea lopper, degli scopraenidae. Pur essendo ricco di aculei pericolosi e di spine ha carni saporite per cui è molto richiesto. Sotto questo nome va anche la pianta del cardo asinino.


 


Cardone-  cardo sm.  Pianta del carciofo.


 


Càrecà – caricare v. Imbarcare,  mettere a bordo le merci da trasportare.


 


Càreche – carico s.m. Il complesso della merce imbarcata.


 


Carenà  – carenare v. Inclinare con mezzi artificiali un natante, prima su un fianco e poi sull’altro, allo scopo di pulire la carena  o per fare qualche piccola riparazione. A Ponza la carenature per i piccoli bastimenti in legno avveniva lungo l’attuale  molo  Musco. La prima operazione era quella di sbandare,  il più possibile, la barca con pesi lungo la murata. Poi entrava in azione un paranco fissato,  da un lato,  alla cima dell’albero e dall’altro ad uno  dei tanti anelli per l’ormeggio, sistemati lungo la banchina, a circa un metro sul livello del mare.


Tirando la cima del paranco la barca sbandava  maggiormente fino a portare la chiglia a livello della superficie marina. Quindi si provvedeva alla pulizia della carena  togliendo le erbe e i diénte i cane ( balani, dentali, molluschi che crescono sulle carene) e successivamente si dava una mano di  sottomarino.Il giorno seguente la stessa operazione veniva ripetuta per l’altra fiancata.


 


Caréne – carena s.f.  Quella parte dello scafo che normalmente è immersa. Si può definire anche opera viva. Scogliera sottomarina, na caréne i scògle.


 


Carestuse – caro  agg. Di commerciante che ha  i prezzi più alti degli altri.


 


Carnale – carnale  agg.  Di persona nata dallo stesso padre e dalla stessa madre. Carnale è una parola dei nostri nonni, ricca di amore, affetto, generosità, bontà, altruismo, mettendo da parte l’istigazione sessuale. La parola segna uno stato di stretta parentela, quella dall’essere nato dagli  stessi genitori  o di appartenere alla medesima  stirpe. Ci sono  cugini carnali e i frate cugine, ce stà a mamma carnàle, chélle che t’a fatte. Chélle ca stà annanze a tutte, quella che fa uscire dalla penna di Salvatore Di Giacomo  nei “I Cecate i Caravaggio”,i due ciechi che si lamentavano delle loro sventure:   :  .”……    Nun te lagnà, ca i màmmeme carnale je sacce a voce, a voce sulamènte ….” Ed Enesto Murolo nella sua “Mamma” , nzuppe a pénne dint’u calamare pe ce dìcere: .”…… Viate chi sente, luntano o vicino, d’a mamma carnale risponnere a voce”. La voce della mamma ti sazia materialmente e moralmente.


E ancora  Murolo, nella sua Mandulinata a Napoli, per quello  innamorato  che vuole comunicare il proprio  amore alla sua bella gli fa dire: “……….. d’é parole chiù carnale é doce  ne scegle sule tre. Te voglio bene ….”  E Fusco nella sua celeberrima  Dicintecello  vuje: “Suonno gentile, suspiro mio carnale”. Non possiamo fermarci, dobbiamo rincorrere Ferdinando Russo, ca dint’o Ciardino, cu duje uocchje speretate le dice : “Quanno me vase si tanta carnale” Ernesto Murolo che, alla sua passione dice: “ Quanne me faje carnale è quanne me siénte i venì meno mbraccia a te…” e Nicolardi che in Zucculillo scrive:  “Chi sta vocca carnale vasa, cannavola comm’a na cerasa…”. In fondo alla strada truvamme a Bambenèlle i còppe i quartiére, la ragazza creata da Raffaele Viviani ca nziste e dice: “Pe mé u ssenziale è quanne me vase carnale. .


 


Carnètte – delinquente sf.  Di persona spietata e senza scrupoli.


 


Caròcchje – colpo sf.  Colpo dato con le nocche delle  dita sul capo


 


Carògne – carogna sf. Corpo di bestia morta; di  persona vile, codarda, paurosa, perfida, malvagia, cattiva.


 


Carpentiére – carpentiere s.m. Operaio specializzato nella lavorazione del legno, maestro d’ascia


 


Carrecate – carico agg.  Ingombro di oggetti e di peso.


 


Carrafèlle- ampolla  sf.   Ampollina per il vino della messa o quella usata per l’olio e per l’aceto.


 


Carrètte – carretta s.f.  Epiteto che veniva, e viene, affibbiato alle navi stravecchie e poco veloci.


 


Carrià- trasportare v.  Portare da un luogo a un altro.


 


Carriagge- trasporto sm.  Cambiare luogo alle cose; gioco che si faceva con lo “strummele” (trottola).


 


Carruoccele – girello sm.  Arnese formato da bastoncini che sostenevano due cerchi, quello inferiore, più largo, era munito di rotelle. L’interno era vuoto e veniva calato il bambino, che si reggeva per le ascelle  sul cerchio superiore. Si evitava l’impegno di tenerlo in braccio, potendosi dedicare ad altre incombenze, e  gli si davano le prime istruzioni per imparare a camminare.


 


Càrte – carta s.f.  Il complesso delle carte nautiche che sono in dotazione della nave.


 


Carteggià – carteggiare v. Il lavoro che si compie sulle carte nautiche per preparare la rotta  e seguirla nel suo svolgimento.


 


Cartòcce – involto sm.  Fagotto.


 


Carugnàte- Azionaccia  sf.  Bricconata, canagliata, vigliaccheria, furfanteria, mascalzinata, malefatta.


 


Carugnone- malvagio agg. Disonesto, birbone, malefico, perfido, malverso, maligno.


 


Carùle – verme  sm. Gramignuolo, verne di terra usato come esca per prendere gli uccelli.


 


Càrule- tarlo sm.  Tarme, termite; mania, idea fissa.


 


Caruliate – cariato agg. Tarlato


 


Carusà – rapare v.  Tagliare i capelli fino al cuoio capelluto, tosare, rasare.


 


Caruse – rapata sm. Testa rasata, oggi tanto di moda. I capelli si rasavano per igiene, le chiome abitate da pidocchi andavano inesorabilmente soppresse; per punizione , avendo commesso qualche marachella; per cura, ritenendo che il taglio a zero rafforzasse il cuoio capelluto; quando una persona, in genere ragazzo, si presentava in pubblico con la testa rasata si elevava la cantilena  dei compagni: Caruse, melluse, mitte a cape int’u pertuse, ca pò vène scarrafone é te roseche u mellone.


 


Carusiélle- salvadanaio  sm.  Vaso di terracotta con una fessura nella quale si introducono i denari per conservarli.


 


Caruvàne – carovana s.f. Il complesso di operai che lavorano in un porto per caricare e scaricare le navi.


 


Casamatte – casamatta s.f. Locale situato in coperta destinato a contenere materiale di consumo e di dotazione della nave.


E’ talmente resistente che sul tetto vengono sistemati due verricelli con due tralicci per i bighi. I verricelli e i bighi lavorano contemporaneamente,  all’americana.


 


Casatiélle – panettone  sm.  Dolce pasquale fatto in casa con farina, sugna , uova e lievito. Nonostante tutte le accortenze la lievitazione resta  difficile per cui si sfornavano “ammazzaruti”; malazione, cattivo servizio.


 


Casce – cassa s.f. Baule


 


Cascètte- cassetta sf.  Tipica cassa usata dai pescatori per incassettare il pesce.


 


Cascettìne- cassettino sm. Scrigno.


 


Casciére – cassiere s. Di banca o di negozio.


 


Case– casa  sf.  Abitazione


 


Case – cacio sm. Formaggio


 


Casìne – confusione sm.  Baccano, chiassata fastidiosa. Casa di campagna, casa di tolleranza.


 


Casse – gassa s.f. Occhio che si forma ad una corda, anche d’acciaio. Può essere fatta con un nodo particolare che non si stringe e quindi facilmente scioglibile oppure con una impiombatura. Baule, cassa.


 


Càssere – cassero s.m. Ponte parziale che si eleva a poppa e al  centro delle navi. Quello di prua è il castello.


 


Cassià – toccare v.  Sfiorare il fondo con la chiglia.


 


Castagne – castagna s.f. Leva per frenare automaticamente il salpancora a mano e non  permettere il ritorno. Albero con il relativo frutto.


 


Castaullàre – castardellare s.f. Rete per pescare i castardelli che chiamano anche costardelli.


Il castardello è lo scomberesox saurus, della famiglia dei scomberesodici. Ha carni molto saporite.La sua morte è fritto in olio bollentissimo ed è anche appetitoso cotto in acqua con qualche pomodorino e un po’ di origano. Eccellente sott’olio, superiore a tutti gli altri. La sua pesca è finita. Ti rimane solo l’acquolina in bocca quando si parla di questo pesce che ha rappresentato, per anni, una ricchezza per il paese. Gli veniva dedicata una stagione di pesca. Il castardello è un pesce migratore. Il componente principale per questa attività era la “fère”, il delfino che, ghiotto di questi pesci, li cercava, li inseguiva, li bloccava e li accerchiava per potersi sfamare. Nella stagione di transito il delfino era sempre in cerca dei castardelli e così le barche, che si mettevano in cammino alle prime luci dell’alba, cercavano il delfino seguendolo fino a quando non li avrebbe circondati.


Quando la “fère” faceva menale, circondava, cioè,  i castardelli, la barca li cingeva con una apposita rete di circuizione, a castaullare. Il delfino scansava la rete rimanendo  all’esterno, quasi sempre, a bocca asciutta. Il pescatore allora lo ripagava lanciandogli qualche castardello. Il delfino, vistosi derubato e ancora affamato, partiva per un’altra spedizione. E la barca dietro ad inseguirlo fino al calar del sole..


 


Castaurriélle – castardello s.m. Scomerox saurus, della famiglia degli scomberesodici. Pesce quasi scomparso dai mari ponziani perché non vi sono più i delfini che li spingono lungo le coste. E’ un migratore.


Una volta, nel periodo settembre-ottobre i gozzi ponzesi si trasferivano in  Toscana per la campagna dei castaurriélle.


Castèlle – castello s.m. Ponte sopraelevato di prua, utile, oltre che per le vele, per il maneggio delle ancore. Il castello, innalzando i lati della prua, consente alla nave di navigare anche con mare grosso senza imbarcare molta acqua.


 


Casudiavule – casa del diavolo sm. Inferno, luogo di sofferenza. Agg. Fanfarone


 


Catapécchje – casupola sf.  Luogo insalubre.


 


Cataplasme- impiastro sm.  Medicamento fatto con semi di lino caldissimi che si applicava sulle spalle degli ammalati di bronchiti. Lavoro malfatto, imbroglio, pasticcio, persona noiosa.


 


Cataratte – Botola sf. Apertura nel pavimento per scendere in una stanza sottostante.


 


Catavere- cadavere sm. Riferentesi a persona: di colore smorto, esangue, squallido.


 


Càte- secchio sm.  Recipiente di metallo o di legno usato per i liquidi.


 


Catenàcce – lucchetto s.m. Chiavistello


 


Caténe – catena s.f.  Essa è formata da una serie di anelli ovoidali di ferro, le maglie.


Le catene vengono classificate in base al diametro del ferro che formano le maglie. Il loro uso è vario. Le catene per l’ancoraggio sono di venticinque metri definiti “lunghezza” che si uniscono tra loro mediante un maniglione smontabile. La dotazione di catene che una nave deve avere va da un minimo di cinque ad un massimo di dodici lunghezze. Appezzamento di terreno a gradoni.


 


Catèrve – mucchio sf.  Moltitudine di persone.


 


Catuorce – catorcio sm.  Di persona o cosa malfatta.


 


Catuozze – fornace  sm.  Carbonaia   Catuozze è il nome di uno scoglio a fior d’acqua che si trova a levante di Palmrola tra Vardella e i Vricce.


 


Cauce – calcio sm.  Pedata, raccomandazione.  Sf. Calcina.


 


Caucenàre – calcinaio sm.  Impasto di malta.


 


Cauciate- zampate sf.  Serie di calci promessi o dati a qualcuno per il suo scorretto comportamento.


 


Caudarèlle- secchio sf.  Secchio nolto svasato con manico ad arco usato dai muratori per la lavorazione della malta.


 


Cautàre – pentola sf.  Grossa pentola di rame che aveva il suo posto riservato, per la sua grandezza,   nel vecchio focolare domestico. Serviva innanzitutto per il bucato e poi per cuocere a bagnomaria le conserve di pomodoro. Oggi a bagnomaria si cuoce il tonno messo sott’olio.


 


Cavàlle – cavalla s.f. Vela triangolare che va dall’albero maestro allo strallo di prua. Con questo appellativo si designa anche il lanzardo, scomber japonicus, dei scomberisodici. Viene venduto quasi sempre per lacerto di cui non possiede le caratteristiche gustative. Parte d’unione delle due gambe dei pantaloni. Animale domestico.


 


Cavallone – maroso sm.  Onde del mare in burrasca.


 


Cave lardate – cavo lardato s.m. Cima a cui sono state infilate degli sfilacci.


 


Cavallùcce marine – Ippocampo s.m. Hippocampus gattulatus.  La conformazione del corpo gli conferisce un  caratteristico aspetto da cui il nome di cavalluccio marino.


 


Cave – cavo s.m. Nome generico per indicare tutte le corde, di qualsiasi specie e fattura, usate dai marinai. Il marinaio non usa il termine corda, dice cima.


 


Cavétte – tirocinio sf.  Esperienza, il complesso delle cognizioni acquisite con la pratica.


 


Cavìgle – caviglia s.f. Con questa voce si designano le estremità dei raggi delle ruote del timone, manizza, impugnatura.  Il cavicchio di legno usato per otturare un buco e il cavicchio di ferro o di legno che i marinai usano per allargare i legnuoli delle corde da impiombare.


 


Cavigliére – cavigliera s.f.  Pezzo di legno aggiuntivo alla murata nei cui buchi si infilavano le caviglie a cui si dava volta le cime che scendevano dall’alto come quelle del picco e dei paranchi legati all’albero.


 


Cavone – Gavone s.m. Deposito. In ogni nave vi è il cavone di poppa e quello di prua. Vallone, zona di terreno concava dove scende e si raccoglie l’acqua piovana.


 


Cazètte – calza  sf.  Indumento a maglia che copre le gambe a varia altezza.


 


Cazettèlle- calzetta sf.  Nastro, a forma anche circolare, che si mette per lucignolo nei lumi a petrolio o a gas.


 


Cazone – calzone sm.  Pantalone, braghe. Focaccia ripiena di salumi e formaggi.


 


Cazunciélle – calzoncino sm.  Calzone corto con le gambe che finiscono al di sopra delle ginocchia.


 


Cazunètte – mutanda sm   Indumento intimo per uomini di particolare foggia, simile ad un pigiama.


 


Cazzà – cazzare v. Tesare, tendere una cima.


 


Cazzabbuotte– pietra sm.  Pietra sporgente da un muro perché serve da scalino. Urospermo, pianta.


 


Cazzanculàrìje – furbizia sf.  Furberia, scaltrezza, malizia, abilità, furfanteria, maliziosità.


 


Cazzarièlle – dolcino sm.  Dolcetto di farina integrale  cotto nel mosto.


 


Cazzaròle- casseruola sf.  Arnese da cucina di rame o di altro metallo, pentola.


 


Cazze- cazzo sm. Pene, uomo sciocco, persona inetta e incapace.


 


Cazze i rré – donzella s.m. Coris julis, dei labradi. Pesce bellissimo dal corpo affusolato sgargiantemente colorato.


 


Càzzemarine – oloturia s.m. Holoturia tubulosa, degli oloturoidi. Una bestia a forma di cetriolo che quando è in acqua è duro, fuori si ammoscia. Ottimo per innescare la coffa a  saraghi.


 


Cazziate – rimprovero sf. Mortificazione, deplorazione, biasimo, lavata di capo, paternale, ramanzina, rampogna, strigliata.


 


Cazzille – incastro sm.  Punto di incastro del dritto di poppa nella  chiglia.


 


Cazzimme- Furberia sf.  Astuzia, scaltrezza, malizia, abilità.


 


Cazzolle- verme sf.  Verme prodotto dalla carne in putrefazione, bigottino.


 


Cazzometro – solcometro s.m. Strumento per misurare la velocità di una nave.


 


Cazzunià – agitare v. Tirare e mollare la lenza


 


Cazzuttiate- cazzottata sf. Non è un incontro di boxe ma è un litigio dovuta a rissa o a tafferuglio.


 


Ccà basce- quaggiù avv. In questo luogo.basso.


 


Cecagne – appisolamento sf.  Sonnolenza dovuta a stanchezza, mancanza di volontà.


 


Cecagnuole- bircio agg.  Che vede poco o ha una guardatura strabica, guercio.


 


Cecàle – cicala s.f.  Magnosia, seyllarus arctus, dei macruri.


Contrariamente all’aragosta vive in mari poco profondi. La sua pesca è rara. E’ da ritenersi, per il suo sapore, superiore alla aragosta.


Una sera, in un   ristorante di Ponza accedono due signori, una coppia in età matura.


Prendono posto ad un tavolo e ordinano. In attesa del cibo si  portano vicino alla vasca dove  vi erano racchiuse diverse qualità di pesce. Il proprietario, gli si avvicina e dà le spiegazioni richieste. I clienti poi chiedono notizie di un qualcosa che non era pesce ma che stava poggiato sul fondo della vasca. “Sono due cicale, rispose, sono come le aragoste ma hanno una carne più delicata e per di più sono considerate afrodisiache”. I due clienti, si guardarono negli occhi e senza scambiarsi parola, fecero largo nel loro menù per dar posto anche alle due cicale.


Lasciarono il locale soddisfatti.


La sera dopo si presentarono nuovamente e chiesero come prima cosa la cicala. Il padrone rispose negativamente perché quel mattino non ne aveva pescate e chiese quale fosse il motivo che li aveva spinti al bis. La risposta fu la seguente: “ Sa, ieri notte siamo scivolati due volte. E’ da oltre trent’anni che non ci capitava una cosa del genere”.


 


Cecate canètte – lippo sm. Pesce pettine, Xyrichthys novacula.


 


Cecatèlle – mosca cieca   sf.  Gioco, definito cecatèlle perché il bambino che partecipava  doveva essere bendato e si doveva muovere, come un non vedente, per acchiappare e riconoscere uno dei partecipanti. Il poeta Edoardo Nicolardi in una sua lirica, “ Comm’è a vita”, con amarezza dice : “……Che d’è sta vita nosta?  Nu juoco a cecatèlla, ca niente pò cagna, na tenda nnante all’uocchjie e addo se và, se và ….”


 


Cecauocchje – euforbia  sm.  Pianta caratteristica dell macchia mediterranea.


 


Ceceniélle –pesciolino s.m. Engraulis entrsicholis, clupeide. Pesce povero che le famiglie ponzesi usavano per fare le frittelle con la pastella.


 


Cecòrje – cicoria  sf. Pianta erbacea che si mangia all’insalata o soffritta in padella, con aglio, pomodoro e peperoncino, e con qualche patata tagliata a fette


 


Ceculià – solleticare v.  Fare il solletico, stimolare, eccitare piacevolmente.


 


Cèfere – cefalo s.m.  Mugil cephalus, appartenente ai mugilidi. E’ un migratore. Ha carne pregiata  ma bisogna stare attenti al luogo dove vengono pescati. Se la pesca si effettua  nei porti sono immangiabili perché puzzano di nafta. Per Ponza passa nel periodo primaverile. Si pesca con la rete, la famosa cannucciate, e con la cannella.


 


Cefrone –rozzo,  agg. Grossolano,  ruvido nei modi, malizioso.


 


Cefuniére – comò sf.  Mobile con cassetti e scompartimenti   con nascondigli


 


Cégnere – cingere v.  Avvolgere, accerchiare, racchiudere, attorniare, circondare con la rete


 


Cembragle – orpello sf. Piastre, medaglie.


 


Cemmechjà – recidere  v.  troncare la cima delle piante.


 


Cemmeràgle – medaglia sf.  Orpelli.


 


Cemmenére – ciminiera s.f. Termine, per niente marinaresco, usato al posto di fumaiolo. Camino.


 


Cemmérze – rovescia sf.  Risvolto, parte di veste, di manica, di collo, rovesciato in modo da mostrare le cuciture.


 


Cemmose – cimosa  sf.  Estremità laterale delle stoffe in pezza, lembo di stoffa,  orlo.


 


Cenèlle – polvere sf.  Residuo di un minerale, pepita sfarinosa.


 


Cenneràle – cenere sm.  Lenzuolo che copriva il bucato sistemato nel cufunature per il lavaggio della biancheria. Si parla di bucato. Aveva il compito di non far filtrare  le cenere contenuta nell’acqua. Questa cenere veniva data a chi ne faceva richiesta  perchè, diluendola nell’acqua, la usavano per lavare i panni colorati.


 


Cènnere – cenere sf.  Residuo della combustione, avanzi del corpo umano.


 


Centàròle – cinta s.f.  E’ il nome della prima tavola, a cominciare dall’alto, del fasciame che si estende fino a due o tre tavole della murata.


 


Cénte – cinta s.f. Tavola del fasciame che limita l’opera viva di un natante.


 


Céntraualle – upupa sm. Uccello migratore.


 


Céntre – cresta sf.  Escrescenza carnosa che hanno sul capo alcuni volatili, la vetta di un monte, sommità delle onde.  Sm. Piccola tovaglia da tavolo ricamata.


 


Centrélle – bulletta sf.  Chiodo a testa grossa che si metteva sulla suola delle scarpe per limitare il consumo del cuoio e per non scivolare.


 


Centrille – clitoride sm. Organo erettile femminile.


 


Cepécce – cipolla  sf. Pianta il cui bulbo è usato per preparare salse di vario genere.


 


Cepolle sarvàteche – cipolla selvatica sf.  Erba cipollina


 


Cèppe – ceppo sm.  Stirpe, origine; zolla di erba con radici e terra, cespo, ciuffo.


 


Ceppone – eremo sm. Luogo solitario.


 


Ceràse – ciliegia sf.  Frutto: marasca, amarena, cerasa.


A Ponza esistono soltanto piante di cerase che vengono conservate nell’alcool per il periodo invernale.


A ceràse mi ricorda un asimpatico aneddoto: Un piano di un antico e celebre palazzo di Napoli era abitato da un vecchio barone, un nobile di antico stampo. Questo palazzo aveva un guardaportone, Ferdinando, che era l’anima, il fiato del barone a cui faceva cortesie e favori di ogni genere. Le ricompenze erano sempre eccellenti e laute. C’era molta comprensione fra i due.


Un giorno il vecchio barone, uscendo dal palazzo, si ferma nella guardiola e, al sorriso accattivante di Ferdinando, gli dice: “Ferdinà, tu m’è fà nu piacére gruosse”. E Ferdinando, di rimando, troncando la parola in bocca al barone: “ decite, je songhe il vostro umile servitore”. Il barone riprende: “Ferdinà, ògge è martedì, e tu pe sàbbete m’è fà truvà na fémmene, t’arraccumanne, je vògle na uaglione comme Ddje cummanne”.


“Barò, nun ve prèuccupàte, state mmane a ll’àrte”.


Il sabato sera una bella signora è nelle mani del barone.


La domenica mattina Ferdinando non si muove dall’ingresso del palazzo. Attende il barone per la mancia. Il barone, al solito orario, scende e  Ferdinando,  andandogli incontro, gli chiede: “Signor barone, comme è gghiute”?  Il barone, nel dargli la mancia che aveva già preparata, gli mette una mano sulla spalla e gli dice: “ Ferdinà, na bella fémmene ma sènza spìrete.


Mò, t’arraccumanne, truoveme n’ate pe giovedì”.  “Va bbène”, fu la risposta di Ferdinando. E il giovedì sera in casa del barone c’era una femmina nel vero senso della parola.


Il mattino seguente solita attesa del barone che apparve nella sontuosa scalinata con un discreto ritardo. Ferdinando, camuffando l’attesa, gli va incontro e gli pone la domanda di rito: “Signor barone, comm’è gghiute”? Il barone gli dà la mancia, gli batte una mano sulla spalla e dice: “Bbòne, Ferdinà,  bbòne, ma sènze spirete”. Un attimo di pausa e riprende: “ Ferdinà, t’arraccumanne pe sàbbete che vène”. L’uscita del barone dal palazzo venne accompagnata, sottovoce, da questa espressione del portinaio: “All’àneme i chi t’è muorte, mò te facce vedé che te cumbine”.


Il sabato sera bussa alla porta del barone una diciottenne, meravigliosa nell’aspetto, statuaria nelle forme, briosa nel comportamento. Un cocktail di femminilità e vivacità.


La domenica mattina, Ferdinando indossa la divisa per le grandi occasioni, pantalone stiratissimo, giacca ricca di fregi e berretto gallonato. Sembrava l’aiutante maggiore di Napoleone. L’attesa è lunga. Con l’orecchio teso sente il rumore della chiusura di una porta. Sarà lui? E infatti era il barone che scendeva. Quando era ancora sul pianerottolo del primo piano, Ferdinando fa sentire la sua voce con un: “ buongiorno, signor barone”.


Il barone scende l’ultima rampa di scale e Ferdinando gli va incontro. Riceve la mancia che intasca e, con un leggero sorrisino ironico, gli pone la solita domanda: “Signor barone, comm’è gghiute”? Il barone, capuzzianne, poggia la mano sulla spalla di Ferdinando e, guardandolo in un modo strano, forse per l’abbigliamento,  gli dice: “ Bbòne, bbòne, bbòne, Ferfdinaà, Bèlle, bèlle, bèlle, ma sènze spirete”.


Al che Ferdinando, sempre contegnoso, aprì bocca e disse: “ Signor barò, deciteme na còse, ma vuje u poste d’u pesiélle tenessive na cerase”?


 


Cerasiélle- cerasèllo sm. Peperoncino forte.


 


Cerasuole – colore sm.  Color ciliegio che si dà al vino  che non è rosso né tampoco bianco, una specie di rosé


 


Cèrbule – semprevivo sf.  Pianta della macchia mediterranea.


 


Cercà – cercare  v.  Trovare, chiedere, indagare, investigare, frugare, scrutare, perquisire, spiare.


 


Cèrcule – quercia  Albero ad alto fusto appartenente alla macchia mediterranea, rovere, leccio.


 


Cerégne – cernia s.f.  Cernia di fondo, di profondità. E’ un sottoprodotto perché non riveste le stesse caratteristiche di quella di secca, come si usa definire la cernia verace. Si pescava con le stesse coffe usate per il capopiatto. Sono tre, nei miei ricordi, i pescatori che ho visto usare queste coffe: Giuseppe Conte, Fabrizio Mazzella e Luigi Sogliuzzo che, più di una volta, me ne prestava quattro, per  un totale di cento ami, per farmi andare a pescare. Il mio capopesca era Ferdinando. Ho sempre  pescato solo capopiatti, mai una cerégne.


 


Cerneture – abburattatura sf.  Operazione per separare la farina dalla crusca o la terra dal pietrame. Setacciare.


 


Cèrnje – cernia s.f. Serranus gigas, dei percidi. Pesce che gode di vasta notorietà. E’ la preda prediletta dai sub. Si pesca con la coffa ma anche con i tramagli. L’aspetto è bello, la carne è pregiata. Eccellente quella il cui taglio si aggira intorno ai due chilogrammi.


Quella di taglia grossa bisogna cucinarla al forno intera così il ricordo della tavolata non scomparirà. La parte più saporita è la testa.


 


Cernulià – dimenarsi v. Muoversi in qua e in là con mossette, ancheggiare, dilettare, circuire. Le ragazze vezzose per mettersi in evidenzia se cernuléjene.


 


Ceròggene – candela sf.  Pezzo cilindrico di cera, di 15-20 cm, con anima di bambagia detto stoppino che si accende per far luce.


 


Cerviélle – cervello sm.  Cervello, intelligenza.


 


Cestariélle – gheppio  Uccello rapace. Da alcuni anni qualche esemplare è diventato stanziale.


 


Cestùnje – tartaruga s.f. Testuga graega, dei chenolidi. Se ne vedono sempre più raramente. Molti marinai erano capaci di fare con le sue carni un piatto al di sopra del succulento. Persona lenta.


 


Cetrangule-cedrangolo sm. Bergamotto, arancia amarognola  dalla cui corteccia si ricava una essenza pregiata  che si usa nella preparazione di liquori e profumi.


 


Cetratèlle – Cedronella sf. Pianta dall’intenso profumo di melissa.


 


Cetrule – cetriolo sm. Frutto bislungo con la buccia liscia ma consistente mentre la polpa è incolore. Il frutto si consuma fresco nelle inslate. Persona sciocca, immatura, goffa.


 


Checozze- zucca  sf. Pianta di differente tipo che dànno ognuna un proprio frutto che vengono tutti utilizzati in cucina.


 


Chéll’ate – quell’altra agg, pron. Altra cosa.


 


Chenocchje- rocca Attrezzo per filare la lana.


 


Chéste – questa  agg. e pron.  Di cosa o persona che è vicino a chi parla.


 


Chést’ate – quest’altra agg. e pron. Di cosa chè è vicino a chi parla.


 


Chià – curvare v. Piegare, abituare, assuefare.


 


Chiacchiarésse – ciarlatana sf.  Ciarliera, loquace.


 


Chiaccone – Talea sm. Ramoscello di albero che si recide e si pianta a terra per ottenere una nuova pianta.


 


Chiachiélle – inetto  sm.  Persona da niente, senza carattere.


 


Chiagnestéje – piagnisteo  sm. lamentazione continua,   gemito, pianto .


 


Chiàje – piaga sf.  Ferita, sciagura, disgrazia; litorale marittimo, ghiaia.


 


Chiaituse – petulante agg. piagnuculoso, litigioso.


 


Chiancarèlle – tavola s.f.  Piccolo asse di legno.


 


Chiancarole – trappola sf..  Trappola per i topi fatta con una lastra di pietra con un lato per terra e l’altro sostenuto da un puntello con l’esca, Scatta appena viene toccata l’esca.


 


Chiànche – macelleria sf.  Negozio dove si vende la carne.


 


Chianchère- pettegola  sf.  Maldicente


 


Chianchiére – macellaio sm.  Beccaio.


 


Chiàne – scoglio s.f.  Scoglio affiorante, secca.


 


Chiane – piano s.m. Carena di una imbarcazione, terreno pianeggiante. Agg. lento, a bassa voce.


 


Chiane-chiane – lentamente avv.  con comodità, flemmatico, piano piano, con pigrizia.

 


Chianòzze – pialla a mano sf. Attrezzo del falegname.


 


Chiante – pianto  sm.  Lamento, lagno.


Chiantèlle – atto amoroso sf.  Unione sessuale.

 


Chiantimme – Piantina  sf.  Quelle adatte al trapianto.


 


Chianuozze – pialla  sm.  Strumento del falegname  per assottigliare, spianare e levigare le tavole di una certa consistenza.


 


Chiappariélle – cappero sm.  Pianta che nasce e cresce naturalmente. E’ impossibile il trapianto. Non riesce mai. I fiori, spezie da particolare e inconfondibile aroma, ancora chiusi, vengono colti e sottoposti ad un procedimento di salagione per la loro conservazione. Il frutto, simile ad un cetriolino, che in Sicilia chiamano cucungio, nasce dal fiore. Viene anch’esso raccolto e anch’esso viene sottoposto ad un procedimnto per essere mangiato salato o in salamoia o anche sott’olio. Non ho mai apprezzato le qualità gastronomiche dei capperi nonostante gli sfottò di Giuseppe e Lella, che i capperi li mangiano anche sul pane e pomodoro, e che  sono stati a Lampedusa proprio per guardare in faccia i capperi e al ritorno del  loro viaggio mi hanno addottorato sulla materia convincendomi tanto da farmi diventare un accanito raccoglitore di capperi. A Ponza le piante di capperi si trovano lungo tutto il muro di contenimento della parete a sinistra dell’imboccatura della galleria che da Giancos porta a Santa Maria. Penso che siano piante centenarie. Da alcuni anni sono spuntate anche nel cortile dove ho casa. E tra le pietre di quei muraglioni le piante aumentano di numero anno per anno.Ho notatoanche  alcune piante nel muro di contenimento della strada provinciale poco prima di arrivare all’ingresso della galleria di Giancos.


Il cappero non è il frutto della pianta,  è la gemma del fiore non ancora schiusa. Il frutto è il cucungio che rassomiglia ad un cetriolino. Per la conservazione del cappero c’è bisogno solo del sale.  I cucungi, invece, hanno trattamento diverso perché si possono conservare sotto sale, come i capperi,  sott’aceto e sott’olio e per ognuno bisogna seguire un procedimento particolare. Debbo ammettere che sono saporiti.. La notizia più interessante è come avviene la disseminazione di questa pianta che nasce solo e soltanto, almeno a Ponza, nei luoghi rocciosi e nei muri edificati con il basalto. Quando il cucungio, cioè il frutto, è maturo si apre, come un fico, mettendo in mostra sostanze zuccherine fra cui vi sono i semi.Questi attraggono le lucertole che, nel nutrirsi di tali frutti lacrimosi, si imbrattano il corpo e intrufolandosi nelle fenditure delle rocce lasciano incosciamente i semi del cappero che poi germogliano dando luogo ad una nuova pianta.


 


Chiappe – cappio s.m. Nodo scorsoio che più si stringe quanto più si tira; avena. Da piccoli, con lo stelo dell’avena facevamo il cappio per “acchiappare” le lucertole stravaccate al sole.  Guagliò, lasse a stà cu stu chiappe / ch’è fatte, cu ll’èvere i magge / Rispunne: cu quale curaggio / ll’accide? Che male te fa? / Tu vaie pe na sèpe fiurite / comm’essa, a lacèrte, mo va.


 


Chiarche- lordume sm.  Insieme di cose sudicie.


 


Chiarchiuse – sporco agg. sudicio, unto.

 


Chiarì – chiarire v.  spiegare, convoncere, dare dimostrazione.


 


Chiàstre – piastra. S.f. Lamina, lastra di metallo


 


Chiatte – chiatta s.f. Grosso galleggiante a fondo piatto destinato al trasporto, nel porto, della merce da una nave all’altra. La chiatta non è dotata di motore. Agg. grasso, obeso. pingue.


 


Chiattjà – affiancarsi v. Ormeggiarsi di fianco, sistemarsi comodamente.


 


Chiattìlle – piattola sm. Insetto che provoca bruciore e prurito; persona noiosa.


 


Chiature – piegatura sf.  Curvatura, flessione.


 


Chiatuse – esigente agg. Persona che pretende.


 


Chiavà – fare l’amore v.  assestare, dare con violenza, tirare, investire, sistemarsi, piazzarsi, installarsi e, dulcis in fundo, coire, congiungersi in un rapporto sessuale.


 


Chiavata – coito sf.  Accoppiamento sessuale.


 


Chiazze – spazio  sf.  Spazio libero a guisa di piazza,  radura del bosco,  un luogo del fondo marino privo di scogli.


 


Chiazzone– biancone sm  Uccello rapace migratore.


 


Chicche – goccia sm. Minima quantità


 


Chichièrchje- cicerchia sf  Legume di particolare sapore. E’ celeberrima la famosa zuppa di cicerchie. Esse vengono cotte con ninuscoli pezzi di patate. E’ piatto da imperatore


.


Chièje – piega sf.  Parte di stoffa ripiegata su se stessa, grinza, ruga, drappeggio.


Chiéne – piena s.f.  Alta marea, stato di rigonfiamento del mare. Agg. pieno, saturo,


 


Chiérecòzze – chierica s.f. Piccolo buco nella rete.


 


Chiérecuòcchele –  bitorzolo sm.   Prominenza che si forma per un colpo ricevuto, bernoccolo, verruca, vescica, gibbosità, protuberanza, cima,  vetta, vertice.


 


Chiésuole – chiesuola s.f.   Custodia della bussola.


 


Chìgle – chiglia s.f. Il pezzo più importante della ossatura di una nave. Costituisce la parte centrale del fondo della carena. Quando non è possibile ottenerla in un pezzo soltanto, per le grandi navi, essa è formata da più parti bene intestate e incastrate fra loro.


 


Chille – quello pron.e agg.  Quello.


 


Chine – pieno agg.  ricolmo.


 


Chiòppete – piovuta sf.  Intensa quantità di pioggia.


 


Chiovere – piovere  v.  Il cadere della pioggia dal cielo.


 


Chìrchje – cerchio  sm.  Qualunque cosa che abbia la forma di cerchio. U chìrchje era un gioco che consisteva nel far “camminare” , con l’aiuto di un bastincino sagomato,  un cerchio di ferro, anche su un terreno accidentato. Il migliore cerchjio era quello del braciere che aveva  un  diametro intorno ai sessanta centimetri  e una consistenza propria di due centimetri e mezzi. Quelli che facevano i fabbri erano tutti di consistenza inferiore perchè, forse, non riuscivano a modellare sull’incudine un ferro più grosso. La leggerezza non dava loro la stabilità necessaria per mantenersi dritti.. I bambini per giocare estirpavano il ferro dal braciere.


 


Chiummarèlle – piombino s.f.  Piccolo  pezzo di piombo lavorato da legare alla lenza.


 


Chiummaròle – piombo s.f.  Piombo di particolare forma usato per le lenze di profondità e per le reti.


 


Chiumme – piombo sm.   Metallo


 


Chiuove – chiodo s.m. Puntina, borchia; mania, assillo.


 


Chiuppe – rancore sm.  Risentimento, astio, onere, ruggine.


 


Chiuvellecà – piovigginare  v.  Cadere della pioggia minuta e rada, gocciare.


 


Chiuvetiélle – chiodino sm. Piccolo chiodo e fungo chiodino.


 


Ciaccà – ferire  v. fare del male.


 


Ciaccarèlle – Bambina  sf. Frugoletta, bamboccina


 


Ciacèlle- carne sf. Qualsiasi tipo in vendita nelle macellerie.


 


Ciacià – godere  v.  Gioire, essere contento, prendere diletto da ciò che si possiede, ricevere soddisfazioni e vantaggi.


 


Ciacione- pacioccone agg.  Bonaccione


 


Ciafaglione- appendice di  pianta sm.  Foglia di palma nana usata per scopare particolarmente nel forno prima di cuocere il pane.


 


Ciampe – zampa sf.  Mano grossolana.


 


Cianchèlle – fianco s.f.  Fiancata, murata, parte del corpo..


 


Cianchètte – sgambetto sm Incrociare il piede altrui per farlo cadere.


 


Cianciuse – cianciose agg.  vezzoso, aggraziato, simpatico, smorfioso.


 


Cianfe – artiglio  s.f. Chela,  zampa, mano


 


Cianfòtte- vivanda sf. Minestra, zuppa a base di  zucca ed altre verdure.


 


Ciàppe- borchia sf. Fermaglio,  arnese di ferro che si teneva legato attotno all vita oer tenere fermo uno dei due ferri per il lavoro a maglia, gancio, punto di sutura con graffa.


 


Ciappellètte – caramella  sf.  Pastiglia di zucchero cotto profumata con odore particolare e avvolta in una carta.


 


Ciardine – giardino sm.  Terreno coltivato a fiori.


 


Ciarièlle – chivistello di legno per mantenere le ante che ruiota attorno ad un chiodo centrale.


 


Ciarracane – averla sm.  Il più piccolo dei rapaci, uccello migratore.


 


Ciatà – fiatare v. Boccheggiare, parlare,


 


Ciatàzze – nottolone sm. Succiacapre, aprimulgo, uccello migratore


 


Ciàte – fiato sm.  Respiro, alito, sospiro.


 


Ciavattone – Sciatto agg. Trasandato, dismesso, discinto, negligente.


 


Cicale – cicala s.f. Grosso anello dell’ancora a cui si ammaniglia la catena.  Magnosia, crostaceo marino, Insetto che vive d’estate sulle piante , noto per lo stridio continuo.


 


Cicele i muorte – orticaria sf.  Malattia della pelle che dà macchie rosse e gran prurito.


 


Cicere – cece sm. Pianta delle leguminose di cui si mangia il seme; escrescenza carnosa.


 


Cichenià – solleticare  v.  Eccitare piacevolmente, rovistare.


 


Ciclone – ciclone s.m. Con questo nome si designa un temporale di grossa intensità.


 


Cicule – cicciolo sf.  Pezzetto di carne di maiale a cui, attraverso la bollitura e la spremuta, è stata tolta la sugna. Veniva usata nella polenta per fare le pizze fritte.  Escrescenza carnosa.


 


Cièntenoteche –  erba sf.  Erba leprina, anch’essa fa parte del museo botanico del Mediterraneo


 


Ciéntepèlle – trippa sf. Parte dello stomaco dei ruminanti, particolarmente bovini,  che viene tagliata a listarelle e cucinata. E’ un piatto per buongustai specialmente quando la cospargi con pecorino che arriva dalla Sardegna. Quì il mio pensiero corre ad Olbia dove vivono, con le famiglie, tra le tante che sono emigrate, i fratelli Sardo, Mario e Nuccio, che  ricordano sempre la loro  origine ponzese  confermandola con la loro presenza sull’isola nel giorno della festività di San Silverio. Il nonno, Gaetano Vitiello. è stato sindaco di Ponza oer tantissimi anni..


 


Ciérne – braccio s.m. Tentacolo dei molluschi, sfilacciatura di una nuvola, ciocca di capelli.


 


Ciérve – acerbo agg.  Non maturo, aspro, agro, prematuro.


 


Ciéuze – gelso  sm. Frutto ed albero, anch’esso facente parte della  macchia mediterranea ad alto fusto, Ci sono anche piante di gelsi bianchi.


 


Ciglione- trottola  sm. Piccolo cono di legno a cui i ragazzi mettevano sul vertice un ferro appuntito. Lo facevano girare, lanciandolo e sfilando rapidamente uno spago che gli avevano avvolto intorno. Il ciglione era uno “strummele” di legno


molto consistente per le battaglie finali della gara tra vinti e vincitori.


 


Cigre – cicala sf.  Insetto che, accovacciato su un albero, canta per tutto il periodo estivo di maggiore calore.


 


Cimme – cima s.f. Il nome che si dà a tutte le specie di cordame usato in marineria, gomena. Serve anche a indicare la estremità di una qualsiasi cosa.


 


Cincenià – bighellonare v.  Vagabondare.


 


Ciòffe – groviglio sf.  Intreccio, intrigo, garbuglio.


 


Ciomme – fionda sf  Strumento per lanciare lontano sassi e pezzetti di piombo. .


Cionche ccà – bloccati qua   escl.   Fermati qua è l’impozione del genitore che invoca addirittura la paralisi, cionghe.


 


Ciore – fiore sm. La parte più bella e appariscente della pianta , si può riferire anche ad altro.


 


Ciòrte – sorte sf. Destino, fortuna, ventura, condizione, fatalità, vicenda..


 


Cippe – ceppo s.m. Così è chiamata la trave fissata all’estremità superiore del fusto dell’ancora  formando  una croce. E’ perpendicolare alle marre, i raffi, perché, cadendo in acqua, deve poggiarsi sul fondo in modo orizzontale così che una delle marre vada ad incastrarsi nel fondo.


 


Cirre – cirro s.m. Nuvola bianca dall’aspetto di un tessuto.


 


Cistérne – cisterna s.f. Con questo nome si designano le navi costruite e destinate al trasporto di liquidi.


 


Ciubbulèje- piagnisteo sm.  Un lamentarsi continuo.


 


Ciuccà – mollare v. Filare, mandare fuori, nevicare, fioccare, bere avidamente.


 


Ciucce – ciuco sm.  Asino, somaro,  legatura alla estremità delle rete della paranza.


 


Ciuccevéttule – iettatore sf.  Maldicente, pettegola, civetta, ragazza leggera.


 


Ciucciarje – asineria sf.  Ignoranza, impreparazione, inabilità, incompetenza.


 


Ciucculate – cioccolata sf.  Pasta composta con la polvere di cacao, bevanda fatta con la stessa pasta.


 


Ciucenjà – pettegolare v.  bisbigliare, parlottare.


 


Ciufèche – brodaglia sf.  Bevanda insipida, caffè acquoso e senza aroma.


 


Ciuffante – ceffo sm.  Masnadiero, furfante.


 


Ciufuniére – mobile sf.  Mobile con cassetti e scomparti; donna brutta.


 


Ciuncà – paralizzare v.  Bloccare, rendere infermo.


 


Ciunche – paralitico sm.  Infermo, anchilosato, sciancato, persona costretta a stare immobile.


 


Ciunghìje – dolori diffusi sf.   Stanchezza, pesantezza.


 


Ciuotte- grassottello agg.  Grassoccio, adiposo, pingue, pacioccone.


 


Ciurètte – fioretto sm.  Piccola privazione  che si fa come offerta ad un santo.


 


Ciurille – muffa  sm.  Di qualcosa che è andata a male, guasto, stantio, caratteristica quella del vino; fiore della pianta di zucchine.


 


Ciurille u naso – sudore dell’agonia sm.  L’angoscia che precede la morte.


 


Ciùrme – ciurma s.f.  Termine di valore dispregiativo per indicare la parte manuale dell’equipaggio.


 


Còcce – Cranio sf. Capo, testa, guscio, carapace, mentalità.


 


Còcche vòte – qualche volta avv.  Raramente, alcune volte.


 


Còcciule – conchiglia sf.  Guscio calcareo, di varia forna, di ancuni tipi di molluschi.


 


Còcere- cuocere v. Cucinare


 


Codajancule – culbianco sm.  Uccello migratore.


 


Code i zéfere – coda di zefiro s.f.  Tromba marina. Zefiro, nella mitologia, era il dio del vento  che proveniva da ovest e che, sin dalla antichità, era sinonimo di ponente.


La tromba marina è il prodotto di un turbine molto violento che si forma al di sotto di grosse nuvole, nere e basse, che rappresentano la coda distaccata di un impetuoso temporale.


Nella zona in cui si forma si ha un brusco abbassamento dell’indice  barometrico che, appena la tromba è passata, risale ai valori primitivi. Il movimento vorticoso che si produce determina una azione di risucchiamento intenso verso l’alto.


La configurazione  più frequente è quella di un appendice conica con l’aspetto di un imbuto con il vertice in basso.


La tromba marina non è quasi mai dritta verticalmente, generalmente pende da un lato. Il suo diametro non supera i venti metri. E’ un piccolo tornado che agisce su un’area molto limitata. Pur avendo una brevissima durata, dove si concentra genera ingenti danni. L’ultima apparsa a Ponza ha divelto, nella zona della Guardia, alberi secolari.


Anche sul mare provoca fenomeni terrificanti. Incute terrore fra i pescatori e fra i marinai che, come la notano, si allontanano velocemente dal suo cammino.


Il rimedio più efficace contro a code i zéfere, secondo la tradizione isolana, era quello di tagliarla. Per fare questa operazione era necessario un primogenito. Egli esponeva scoprendosi, fuoribordo, nella direzione della tromba marina, la parte posteriore del suo corpo invocando Dio perché allontanasse il pericolo.


Ma perché esporre le natiche? Perché esse sono una prerogativa umana che consentono la netta distinzione tra un uomo e la bestia. Le natiche si sono sviluppate nell’uomo in seguito al passaggio dalla posizione a quattro zampe a quella eretta. Il diavolo, espressione del male, per l’uomo ha assunto sempre, e in ogni circostanza, lineamenti di animale come drago, serpente.


Mostrare le natiche era ritenuto scaramantico; era considerato un disprezzo al diavolo mostrandogli qualcosa che a lui mancava. Tradizione, questa, che risale ai primi periodi del cristianesimo, talmente vissuta che si usava scolpirle sulle facciate delle chiese. Il posteriore umano era considerato un simbolo degli scongiuri.


Si racconta che Giuseppe Conte, meglio conosciuto come Giuseppe i Mamène, il suocero di Giosuè, (l’amico mio, che dopo la critica, mi redarguisce),  pescatore insigne nell’uso dell’amo, era ritenuto capace, essendo primogenito,  di tagliare la coda di Zefiro.


Tutte le barche, che operavano nei mari dove anch’egli pescava, si fidavano ciecamente delle sue capacità propiziatorie.


 


Code i zòcchele – coda di ratto s.f.  Lavoro di intreccio, impiombatura,  che si fa alle estremità delle cime per non farle sfilacciare e per farle entrare con facilità nelle carrucole. Piccola lima o raspa di forma circolare.


 


Codétte – codetta s.f. Pezzo di cima che si tiene a poppa di una imbarcazione per un eventuale ormeggio


 


Còffe – coffa  s.f.  Palamite. Attrezzo da pesca formato da una lunga cordicina, ora nailon,  a cui vengono legati, a precisa distanza, una serie di filaccioli ad ognuno dei quali c’è un amo. Si escano gli ami e la si getta in mare ritirandola dopo un certo tempo.


 


Còglere – cogliere v.  Raccogliere, prendere, pigliare colpire.


 


Cogne – catasta s.f.  Mucchio di roba posta una sull’altra.


 


Collettore – corridore s.m. Pezzo di cima che si passa nelle bigotte  per dare la tensione necessaria.


 


Colonne – colonna s.f. Pilastro di granito posto sulla banchina dove le navi incappellano le cime per l’ormeggio.


 


Compensazione – compensazione s.f. Operazione che viene effettuata per eliminare o limitare gli errori della bussola prodotti dal ferro della nave sull’ago magnetico.


 


Còngiatiàne – aritigiano sm.  Riparatore degli oggetti di terraglia e di terracotta.


 


Cònnele – culla sf.  Lettino per bambini lattanti, concavo e in bilico perché possa essere dondolata.


 


Contrachìglje – controchiglia s.f. Lamina di legno sovrapposta alla chiglia per evitarne il consumo e per preservarla da eventuali colpi esterni.


 


Contrafiòcche – controfiocco s.m. Il più in alto e il più piccolo dei fiocchi.


 


Contratiémpe – contrattempo sm.  Imprevisto, disguido.


 


Contrastallìje – controstallie s.m. Con il termine stallie si fissa il tempo in cui una nave è tenuta a stare in porto per ricevere il carico, come stabilito da contratto o accordo. Il periodo in eccesso che la nave è costretta a rimanere in porto viene indicato con il termine contro stallie che designa pure la indennità corrispondente che il noleggiatore è tenuto a pagare alla nave per il tempo di sosta maggiorata a causa del ritardo nella consegna della merce.


 


Convenzione – convenzione s.f. Si indica, con questo nome,  qualsiasi tipo di accordo.


 


Coordinate – coordinate s.f.  Insieme di misure sulla posizione di un  natante che consentono di stabilirne il punto con esatta precisione.


 


Coppele – copricapo  sf.  Berretto con visiera


 


Corze – corsa sf.  L’atto del correre, inseguimento, scorribanda.


 


Cose i Ddje –   suffragio sm. Preghiera,  Ave Maria, Orazione a Dio o ai Santi, rosario, paternostro.


 


Cotene – cotenna  sf.  Cotica, pelle dura e grossa del maiale che viene salata e successivamente cotta nelle varie minestre.


 


Còvete – raccolto sf. Accumulo, raduno, ammucchiata, colta, racimolata, raggranellata.


 


Còzzeche – cozza s.f.  Mytilus galloprovincialis, dei lamellibranchi.  Non riesce a svilupparsi nei nostri mari perché non trova la munnezza di cui ha bisogno per  alimentarsi e  crescere. A Palmarola si trovano, piccole come nane,  a mezzo metro di acqua, attaccate allo Scuncille dal lato di levante.


 


Craje – domani avv.  Giorno che mai verrà.


 


Crapàre – capraio s.  Pastore, marinaio incapace.


 


Crape – capra  s.f.  Detto anche capria. Congegno manuale  idoneo ad alzare grossi pesi.   Quando si parla di questo congegno mi ricordo una scommessa tra Maurino e Semiscotti padre, contadino e operaio.


Il Genio civile stava facendo dei lavori di sistemazione dello scala d’alaggio di fronte alla pescheria dell’Iscaiuole.


Dopo che, con l’ausilio del palombaro avevano sistemati gli sgrottamenti, misero una lastra di ferro per tutta la lunghezza dello scalo che, dal lato esterno, era tenuta da una serie di paletti di ferro.


Tra la lamiera e la banchina ci fu una colata di cemento. Finito il lavoro,  si doveva smontare ogni cosa. Catello, il capo operaio responsabile, con la gru sistemata su una piattaforma tolse con facilità  le lamiere ma quando attaccò i paletti i nodi si ingarbugliarono. Nel virare la gru affondava e i paletti non si smuovevano. Il buon Catello fece di tutto ma fu costretto alla resa.


Mi trovavo all’inizio della balconata di Corso Pisacane con Maurino, Ninotto, Semiscotti, Gasparrino e Raffaele Morrone, ad assistere allo spettacolo. I commenti furono diversi e varii. Ognuno di noi diceva la sua. E lì, con noi, c’era Maurino un marinaio, motorista, carpentiere; ingegnere, tanto la sua bravura. Semiscotti alzò il tono della voce, per imporre il silenzio agli altri, dicendo: “Je, c’u  nu gjm pull, i lève int’a niénte”. Risata generale mentre Maurino, alto, grosso e possente, oltre che bonaccione, lo prese per il collo della camicia issandolo da terra e portandoselo faccia a faccia. Semiscotti era piccolino.  “ me scummétte nu bottiglione i vine”, disse a Maurino e Maurino, lo depose  a terra, accettando la scommessa.


Tutti sulla banchina. Maurino, conosciuto e stimato anche da Catello, gli disse di mettere a disposizione di Semiscotti gli attrezzi che, a suo dire, aveva bisogno per estirpare i paletti. Chiese un tavolone, un palo, due sbirri,  un paranco differenziale e qualche cimetta.


Sul tavolone che stese per terra poggiò


verticalemente il paletto che venne tenuto dritto


dai venti. Al paletto mise uno sbirro a bocca di lupo a cui agganciò il paranco. L’altro lato del bozzello venne agganciato all’altro sbirro che mise intorno al palo da estirpare.


Quando ritenne che tutto fosse a posto incominciò ad azionare la catena del paranco che, come venne in forza, scatenò dal fondo il paletto, come un dentista bravo cava un dente. Lavoro di minuti che proseguì per gli altri pali. Semiscotti raccolse, come era giusto, l’applauso generale e le congratulazioni del capozattera  accompagnate dalle parole: “ Mè sarvate!   M’è luvate a int’ a nu mare i uaje”.


Per quanto riguarda la scommessa del  vino, ci portammo tutti, anch’io che ero e  sono astemio, nella cantina di Mondiale,  dove alla passatella, ci giocammo un litro a testa. Semiscotti, sfortunato nel tocco, non assaggiò il vino. La capra è un animale appartenente alla famiglia degli ovini.


 


Crapestère – sughero sf.  Si dà questo nome al sughero che si annoda, a pochi metri dalla nassa, alla corda che la tiene legata. Serve per tenere teso questo ultimo tratto del calemiénte in modo tale che la corrente non lo trascini a impigliarsi tra gli scogli.


 


Crapettièlle – capretto sm.  Figlio della capra.


 


Crastà – castrare v.  Caponare


 


Cràsteche – averla sm.  Il più piccolo uccello rapace tra i migratori.


 


Cràstule – coccio sf.  Frammento di terracotta, di vetro, di specchio. Rottame. Cràstule  rappresenta la gioielleria fasulla, i gingilli, i soprammobili di scarso valore.


 


Cravone – carbone sm. Ottenuto dalla legna sottoposta ad una lenta e incompleta combustione.


 


Cravunèlle – carbonella sf. Carbone di legna minuta, brace spenta


 


Cravuogne – foruncolo sm.  Pustoletta,  piccolo accesso sull’epidermide, vespaio.


 


Credènze – Scaffale sf.  Armadio da cucina con le ante a vetro nella parte superiore dove si riponevano i bicchieri e le tazze; nella parte inferiore trovavano posto i piatti.


 


Crepate – morto agg.  spento, incrinato, fenduto, lesionato, scoppiato.


 


Cresommele- albicocca sf.  Frutto.


 


Crestiane – uomo sm.  Persona fisica


 


Crià – creare v.  Inventare, fare di propria iniziativa.


 


Crianze – creanza sf.  Buona educazione, garbatezza, norme di saper vivere.


 


Criature – creatura sf.  Bambino, figlio, favorito, protetto.


 


Crìscete- lievito  sm.  Fermento, pasta di farina di frumento messa a fermentare che si mescola, in piccola quantità, ad altra pasta perché anch’essa fermenti.


 


Cristalliére – mobile sf.  Mobile per la stanza da pranzo, con porte a vetri nella parte superiore dove veniva sistemato il cristallame. La parte inferiore era un normale stipo con porte.


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Criuse – curioso  agg. caratteristico, buffo, chi attira l’attenzione per la sua originalità e stranezza.


 


Crive – crivello sm.  Staglio, setaccio, buratto, staccio che serve per separare la farina dalla crusca o la terra dal pietrame.


 


Cròcche – uncino s.m. Gancio, raffio, mezzo marinaio. Persona deforme a causa di dolori artritici.


 


Cronòmetre – cronometro s.m. Orologio di assoluta precisione, sistemato in una cassetta con sospensione cardanica che le navi che escono dal Mediterraneo hanno l’obbligo di tenere a bordo.


Serve per avere l’ora del primo meridiano sul cui tempo è regolato. Nella cassetta vi è anche la moste, un piccolo orologio complementare.


 


Cruattine – collottola sm.   Collare, collo.


 


Crucètte – crocetta s.f. Telaio in legno rinforzato con barre di ferro che è posto su ciascuno albero dei velieri che i marinai sfruttano quando sono chiamati a lavorare alle vele.


 


Cruciére – crociera s.f. Termine usato nella marina da diporto per indicare viaggi di piacere.


 


Crumatine – crema sf.  Lucido per le scarpe.


 


Crussale- bastone sm. Bastone di legno, molto consostente, di forma arcuata, che veniva infilato nelle zampe posteriori del maiale ucciso per agganciarvi un paranco,onde  poterlo sollevare da terra per sezionarlo.


 


Cu – con   prep. Assieme, insieme


 


Cùbbìje – cubia s.f. Ciascuno dei buchi praticati a prua delle navi  per il passaggio delle catene attaccate alle ancore. Si possono chiamare anche occhi di cubia (uocchje i cubbije).


 


Cuccà . coricarsi v.  Andare a letto, mettersi a letto.


 


Cuccarièlle – barattolo sm.  Barattolo di metallo.


 


Cuccarine – cocaina sf. sostanza stupefacente e inebriante.


 


Cuccètte – cuccetta s.f. Piccolo letto fissato alle strutture della nave.


 


Cucchiare – cucchiaio sm.  Arnese per lo più di metallo, concavo con manico,  per prendere e portare alla bocca il cibo. Sf. Grosso cucchiaio di legno che serve per girare il cibo nella pentola. Cazzuola.


 


Cucciarde – allodola sf.  Uccello migratore


 


Cucciute – testardo agg.  Ostinato, caparbio.


 


Cuccù – cuculo  sm.  Uccello migratore


 


Cucèlle –  modano s.f. Attrezzo di legno, spoletta,  con le estremità divise in due parti, come una chele,  dove viene infilato e avvolto  il filo di cotone per sarcire, tessere  o rammendare le reti. La cucèlle, per il suo lavoro,  è una specie di ago con disponibilità di filo.


 


Cucènte – bollente agg.  Scottante.


 


Cucuzzèlle – zucca sf.   Zucca di colore verde, lunga come un bastone


 


Cucuzziélle – zucchino sm.  Frutto delle cucurbitacee, persona insulsa e stolta.


 


Cudrussélle – codirossa sf.  Uccello migratore


 


Cufaniélle – corbello sm.  Cesto tronco-conico con manici.


 


Cufenature – vaso sm.  Grosso vaso in muratura o di terracotta, di forma tronco-conica, usato per fare il bucato. Trovava posto  in ogni cucina accanto al focolare perché si dovevano usare contemporaneamente.


 


Cuffià – canzonare v.  Prendere in giro, dileggiare, deridere, burlare, schernire, imitare;  ma, nonstante ciò, fece coniare un antico  detto: i sante ripassate pure mparavise vanne.


 


Cuffiate – zolfata sf.  Zolfatura della botte prima di mettere il vino.


 


Cuffiatore – Beffardo sm  Ironico, sarcastico.


 


Cuffiatùre –derisione sf. Canzonatura, ripassatura.


 


Cuglione – coglione agg.  Inetto, incapace.


 


Cugne– cuneo sm.  Zeppa, bietta.


 


Cuietudine – tranquillità sf.  Pace, serenità.


 


Culapiérte – fortunato agg.  Favorito dal destino, smargiasso


 


Cularda – carne sf.  Pezzo di carne tagliato sulla coscia posteriore.


 


Culate – bucato sf. Era il lavaggio completo della biancheria, dal primo lavaggio allo sciorino. La culate veniva  effettuata nel cufenature. Il termine bucato è scaturito dalla colatura del ranno attraverso i panni sistemati in questo cono capovolto.Lavare la biancheria non era una operazione giornaliera. Il bucato, mediamente, veniva effuttato, come minimo, ogni 15-20 giorni. In tante famiglie una volta al mese.


I panni bianchi che si sporcavano venivano ammucchiati in un ripostiglio e quando la loro quantità era diventata rilevante, un modo anche per far risaltare quanto una famiglia fosse ricca di biancheria, si decideva il giorno della culata. Quasi tutte le case era fornite di due gruppi di lavatoi in cemento, uno all’interno e uno all’esterno, nel cortile. Si lavava dentro quando le condizioni armosferiche erano avverse e non consentivano operazioni all’aperto. I panni da lavare venivano accatastati vicino al lavatoio e presi uno per uno, lenzuolo o fazzoletto che fosse, veniva immerso nell’acqua, insaponato e poi fortemente stropicciato sul piano inclinato del lavatoio che era fortemente rasposo.  Successivamente veniva immerso nell’altro lavatoio, quello laterale, per lo sciacquaggio. Finito il lavaggio e lo sciacquaggio, i panni, ben strizzati, venivano “ncufanate”, venivano, cioè, messi nel cufunature, aperti e spiegati, uno sull’altro, ordinatamente. Quelli più delicati venivano sistemati per ultimi. Messo a posto ogni cosa si copriva tutto con un grosso panno di iuta che aveva la funzione di far filtrare la lisciva e trattenere la cenere, da cui ha preso il nome di “cenneràle”. Intorno al bordo venivano poste delle larghe strisce di legno di faggio,  “ i chiérchje”, che oltre ad aumentare la capacità, avevano il compito di non far fuoriuscire l’acqua che veniva versata.


Quando si sistemavano i panni nel cufenature l’acqua contenuta nella caladaia era già in piena ebollizione, In essa si mettevano le ceneri ricavate dalla bruciatura delle foglie secche delle agavi e alcuni rizomi profumati di piante che venivano anche messe, a crudo, sotto il cennerale.. Si tappava il cannello di fuoriuscita che si trovava in una apposita nicchietta ai piedi del cufunature. Si provvedeva a travasare l’acqua bollente riversandola sulla biancheria. Ecco perché il focolaio dove veniva bollita l’acquale e il cufunature non potevano essere distanti. L’acqua filtrava lentamente per raggiungere lo strato profondo del cufunature. Dopo diverse ore si stappava la cannula  consentendo lo scolo dell’acqua che veniva totalemnte recuperata perché serviva successivamente per il lavaggio dei panni a colore. Veniva anche distribuita a famiglie del vicinato che, per lo stesso motivo, ne avevano fatta richiesta. A scolatura completa, i panni venivano tolti  e immersi nuovamente nell’acqua dei lavatoi per lo schiaraggio. Strizzati venivano stesi al sole ad asciugare. Infine stirati e piegati venivano riposti nei comò. Un mazzetto di spicandosse non mancava mai in ogni tiretto.


Fare il  bucato era un lavoro massacrante.che durava giorni e giorni. Un lavoro di polsi e di braccia  e poi un contnuo salire e scendere dai tetti con il peso di conche piene di panni; intere giornate con il ferro da stiro tra le mani. Ad una donna che accusava strani dolori fisici le si diceva: “E’ fatte asteche é lavatore e mò chiagne u cufunature”, hai fatto tetti e lavatoi ed ora piangi davanti al cufunature.


 


Cule – culo sm. Deretano; fondo di bottiglia.


 


Culetuodene-  specie di cicerchia sm.  Questo legume di qualirà scadente veniva, in genere dato in pasto alle bestie: equini, ovini e suini.


 


Culìmme – colatura sf.  Colatura di sostanza gommosa causata dalla cocciniglia.


 


Culore – colore sm. Tinta


 


Culumbrine – colombella sf.  Donna vanitosa e leggera di carattere civettuolo più per vezzo esibizionistico che per indole.


 


Culunnètte –comodino  sm.  Piccolo mobile che si tiene lateralmente al letto.


 


Culurce – pezzo di pane sm.  Estremità del filone di pane  che “scafutate”, svuotato dalla mollica centrale,  viene condito con pezzi di pomodoro, olio, sale e origano, costituendo la classica merenda pomeridiana.


 


Cumandate – comandata s.f. E’ il composto di uomini destinati ad effettuare i lavori di manutenzione all’interno e all’esterno della nave.


 


Cumannante – comandante s.m. Anche capitano, serve per designare la persona che comanda la nave.


 


Cumanne – commando, s.m. Cordicella fatta a mano con filacci di canapa incatramati. Serve per fasciare corde, per legature provvisorie, per fare baderne o paglietti.


 


Cumanne – comando s.m. Comando, autorità.


 


Cuméte – aquilone sf.  Corona di aglio o  di cipolle, serto, resta.


.L’aquilone è stato un attrezzo da gioco della mia giovinezza. Esso era formato da un rombo di carta steso su cannucce con una lunga coda che, tenuto e tirato, da un lungo filo di spago si riusciva a farlo “annarjà” e a mantenerlo in equilibrio nell’aria. Era un gioco pomeridiano, quando soffiava il mestrale.


 


Cummannà – comandare  v.  Ordinare, dirigere, disporre, imporre.


 


Cummàre – comare sf. Amante


 


Cummarèlle – figlioccia sf.  Che è stata tenuta a battesimo.


 


Cummeglià – coprire v. Proteggere, chiudere, tappare, nascondere.


 


Cummerzazione – conversazione sf.  Discussione, confabuazione, ragionamento, essere a colloquio.


 


Cummine-  resta sf.  Corona di aglio


 


Cummissarje – commissario s.m. Ufficiale a cui è affidata la parte amministrativa della nave.


 


Cummò – comò sm.  Cassettone, canterano.


 


Cummune – comune sf.  Municipio.


 


Cummuogle – coperchio sm.  Ogni arnese che serve per coprire.


 


Cumparì – comparire v. Fare bella figura


 


Cumpartimènte – compartimento s.m. Ciascuna zona in cui è diviso il litorale per l’amministrazione del Demanio e della Marina mercantile. Il compartimento è comandato da un ufficiale superiore.


 


Cumpartimènte stagne – compartimento stagno s.m. Spazio interno della nave circoscritto da porte stagne che, nella eventualità di una falla, deve limitare l’allagamento del natante.


 


Cumpiacénze – comprensione sf. Partecipazione alle sofferenze altrui.


 


Cumpiatì – compatire v.  Avere pietà, provare compassione per le disgrazie altrui.


 


Cuncertà – concertare v.  Architettare, ordire,


 


Cuncià – aggiustare v. Riparare, rattoppare, rabberciare, rammentare, sarcire, condire, insaporare, concimare.


 


Cunfiétte – confetto sm.  Piccolo dolce: una mandorla ricoperta da zucchero.


 


Cunfromme – quando  avv. Appena che.


 


Cungégne – congegno s.m. Qualsiasi meccanismo di cui è dotata una imbarcazione.


 


Cunigle – coniglio sm.  Piccolo animale, selvatico e domestico, dalle carni eccellenti. Persona paurosa e timida.


 


Cunnule – braca s.f.  Cima che viene legata, a doppino,  a prua di una imbarcazione e a cui viene, poi, agganciato il paranco per tirarla a secco.


 


Cunnulià – cullare v.  Agitare la culla, illudersi, lusingarsi.


 


Cunnutte – canale sm.  Collettore, tubo, smaltitoio


 


Cùnocchije – conocchia sf.  Arnese di canna su cui veniva avvolta la lana grezza da filare.


 


Cunsèrve – conserva sf. Estratto di pomodoro.


 


Cuntagire – contagiro s.m. Strumento per indicare la velocità di rotazione di un qualsiasi propulsore.


 


Cunte – conto sm.  Rendiconto, favola, racconto.


 


Cuntrarià – contraddire v.  Opporsi, dispiacere.


 


Cuntrore – controra sf. Così si definivano le ore pomeridiane estive dedicate al pisolino. Ai ragazzi veniva fatto credere che  era un personaggio spaventoso  e che, incontrandoli, li acchiappava,  per cui erano costretti a stare in casa.


 


Cunumìje – bollitura s.f. Ribollire del mare dovuto alla presenza di pesci o a correnti marine. Economia, risparmio.


 


Cunvògle – convoglio s.m. Gruppo di imbarcazioni che navigano insieme.


 


Cunzégne – consegna s.f.  Custodia o, anche,  il passaggio di ordini ricevuti.


 


Cunzèguènze – conseguenza  sf. Ciò che puo scaturire da un certo modo di comportarsi. Importanza, rilievo, effetto.


 


Cunzènte – consenso sm.  Beneplacito


 


Cunzòle – consolla sf.  Mobile sormontato da specchio con cornice.


 


Cunzuole – conforto sm.  Cibo che si recapitava  alla famiglia del defunto.


 


Cunzùme – consumo s.m. Logorio per l’uso delle attrezzature e dei macchinari.


 


Cuocce – Capone s.m. Comunemente chiamato gallinella, triglia lucerna, appartiene agli scorpenidi. Pur non avendo una carnagione “rosea” riesce ad esprimere un sugo, per condire gli spaghetti, da leccarti le dita. Di persona che ha la testa dura.


 


Cuocchele – guscio sm.  Pezzo di baccello secco, pula.


 


Cuofene – corba sm.  Cesta  tronco conica con manici; in gran quantità, assai, molto.


 


Cuolle – collo s.m. Giro completo di una cima intorno ad un oggetto. Con questo termine si designano anche le balle e le casse di merci da imbarcare o da spedire.


 


Cuolle – collo sm.  Nuca, avvolgimento di una cima, nodo.


 


Cuonce – calmo agg.  Lento, tranquillo, con garbo.


 


Cuoppe – coppo s.m.  Retino, bertovello, attrezzo da pesca aperto a forma di borsa incastrato ad una pertica. Cartoccio a forma conica, busta di carta per mettere dentro la spesa alimentare; donna brutta e malfatta.


 


Cuorcete – sugherello s.f. Galleggiante di forma diversa perché diverse sono le reti per le quali vanno usate.


 


Cuorne– corno sm.  Portafortuna, amuleto.


 


Cuorpe – corpo sm.  Consistenza.


 


Cuorpe muorte – corpo morto s.m.  Grossa ancora, o grosso peso, affondata con una certa lunghezza di catena che finisce con una cima alla cui estremità è legato un galleggiante. Ha lo scopo di fornire l’ormeggio ad una nave risparmiandole la manovra di affondare e tirare  la propria ancora.


 


Cuorve – corvina s.m. Sciaena chirrosa, famiglia dei percidi. Pesce squisitissimo la cui morte naturale è in bianco o alla brace. All’interno della testa tiene racchiuso due ossicini che potrebbero essere usati per fare collane o orecchini. Corvo, uccello.


 


Cuotte – cotto agg. bruciato, ustionato, innamorato, svigorito, indebolito.


 


Cuovete – colto agg.  raccolto, colpito, sorpreso.


 


Cuozze – abitudine sm.  Andazzo, cantuccio di pane, ruggine.


 


Cupèrte – coperta s.f.  Ponte superiore o principale della nave. Drappo per coprire il letto.


 


Cupertine – copertina sf. Frontespizio di un libro,  di un  registro, di un quaderno.


 


Cupià – copiare v.  Imitare


 


Cupierchje- coperchio.sm.  Qualsiasi tipo di copertura


 


Cuppètte –  coppetta sm. L’operazione che si fa compiere ad un bicchiere di vetro, usato come ventosa, per tirare il sangue e richiamarlo verso la pelle.


 


Cuppià – Usare il retino v. Togliere il pesce dalla rete con il bertovello.Le lampare hanno “cuoppe” capaci di contenere oltre il quintale di pesce.


 


Cuppìne- mestola sm.  Arnese da cucina usato per rimestare le vivande.


 


Cuppulone – cavallone s.m. Ondata di enorme grandezza.


 


Curallàre – corallaio s.m. Pescatore o venditore di corallo.


 


Curalle – corallo  s.m. Corallus rubrus, del gruppo entozoi.


Gli scogli costieri sono ricchi di corallo senza valore commerciale. Il vero corallo si trova a grossa profondità, intorno ai cento metri,  e sempre rivolto a sud.


Fino a qualche decennio fa a Ponza vi erano una quindicina di barche che si dedicavano alla pesca del corallo. Non trovandolo nei mari di Ponza che erano stati tutti perlustrati e spogliati, i nostri pescatori si spostarono in Sardegna e  in altri luoghi, per una intera stagione di pesca che durava all’incirca sei mesi. Il corallo veniva strappato dagli scogli con una particolare attrezzatura: u ngégne.


Un congegno formato da due consistenti assi di quercia dalla lunghezza variabile secondo quella della barca. I due assi erano inchiodati o bullonati a croce con al centro un rilevante peso di pietra o di catena per un maggiore appesantimento. Agli assi, per tutta la loro lunghezza, venivano legate, a fasci, delle reti sfilacciate a cui doveva impigliarsi il corallo. Il congegno, tenuto da un cavo, veniva posato sul fondo alla base dello scoglio che si voleva “lavorare”. Dalla coperta, con un movimento di tira e molla, si portava l’attrezzo a strofinare lo scoglio e in questo salire e scendere le reti si impigliavano nel corallo e lo strappavano dalla parete dello scoglio su cui era nato e cresciuto.


Il lavoro di sfregamento durava diverse ore, poi il congegno veniva issato a bordo con l’aiuto di un verricello. Se la quantità e la qualità del pescato erano rilevanti, si cambiavano le reti e si rimetteva in acqua l’attrezzo per un nuovo turno di lavoro sempre sullo stesso scoglio mentre a bordo si provvedeva  a sfilare i rami di corallo dalle reti e a deporli, secondo la consistenza e la grandezza, perché differente era il prezzo di vendita, in casse diverse.


I bravi corallari mettendo una mano sul cavo teso che reggeva il congegno sapevano dire se su quello scoglio c’era o meno corallo.


Il corallo veniva venduto a Ponza dove arrivavano, per l’esame del prodotto,  i


commercianti da Torre del Greco, la patria del corallo. Il marinaio veniva pagato quasi sempre  a vendita avvenuta e così  saldava i debiti contratti dalla famiglia con i commercianti di alimentari.


Nei tempi passati il corallo ha rappresentato un rilevante fonte di guadagno per l’economia isolana. Tante case sono sorte con i proventi del corallo.


La vita del corallaro, sei mesi lontano da casa, su un piccolo gozzo, era dura e miserevole tanto che cantavano questa canzonetta: “Volendo arricchire la mia casa/ pensai imbarco di coral tornese/ che tanto era nobile e cortese/ che gli avrei fatto ancora le spese./


Alla Torre fecemi il musso a risa/ in Alghero na coppola m’incasa/ in Barbaria diviene arrisa / a pane ed acqua con vita canina/ al sole con molle e tira la sfarzina/ manco il cuoio ci ritorni a casa”.


In tantissime case ponziane, specialmente in quelle di Le Forna, troviamo bene esposta e gelosamente custodita, na schiante i curalle. Essa è come un cielo stellato. Potrebbe insegnarci tante cose ma noi siamo disattenti.


 


Curalline – corallino  sm.  Pescatore di corallo.


 


Curatèlle – interiora sf.  La parte interna degli animali, contenuta nella cavità toracica,  comprendente gli intestini e gli altri organi. Eccellenti per la tavola sono quelle dei caprini e ovini lattanti.


 


Curdèlle – cordicella s.f.  Cordame usato per l’armatura delle reti.


 


Curdone – cingolo sm.  Cordiglio, cintura.


 


Curenièlle –cuore  sm. Nocciolo, anima,  parte centrale del carciofo e parte bianca della verdura, essenza.


 


Curiuse – curioso agg.  Strano, strambo, buffo. intrigante.


 


Curnicule – attinia s.f.  Celenterato marino, dotato di ventosa con la quale si attacca e si sposta sugli scogli. Una volta, ai tempi della mia fanciullezza, si staccavano dagli scogli e si friggevano immersi in una pastella.


 


Curnute – cornuto agg. Tradito in amore.


 


Curone – corona sf. Rosario, filastrocca, ghirlanda.


 


Curpètte – pettorina sm.  Busto usato dalle donne e dai neonati.


 


Curre curre- fuggi fuggi  loc.avv.  Scappare in seguito a confusione  e paura.


 


Curréje – cinghia sf.  Cintura per i pantaloni.


 


Currejòle – viluccone sf. Erba leprina


 


Currènte – corrente s.f. Stabilito che il moto ondoso del mare si riferisce soltanto allo strato superficiale il cui spessore, però,  non è stato ancora precisato mentre la parte posta in profondità è immobile. La corrente di cui tanto si parla, è  lo spostamento delle acque marine da non confondersi con il moto ondoso. La corrente non produce cavalloni e ondulazioni della superficie marina. Energia elettrica, spiffero, tralcio della vite.


 


Curreture – corridoio s.m. Suddivisione longitudinale di una nave laterale alle cabine. Stradina, corsia, corridoio, passaggio stretto ed angusto.


 


Curriégge- correzione sm.  Mortificazione da apportare e sostenere per migliorare l’educazione e la alimentazione di un bambino.


 


Currive– rabbia sm.  Risentimento, rancore, ira, invidia. Agg. adirato.


 


Cursare – corsaro, s.m. Il corsaro è colui che, autorizzato dal proprio governo, preda le navi nemiche. Nu mariuole autorizzàte. Diverso dal pirata che agisce per proprio conto.


 


Curtégle- cortile sf.  Cortile scoperto nel mezzo delle case, chiostro


 


Curtellàcce – coltellaccio s.m. Vela a forma di trapezio che si aggiungeva lateralmente alle altre vele. Vecchio e grosso coltello.


 


Curtèlle – marrancio sf. Grosso e pesante coltello usato dai macellai per squartare le bestie macellate, marmaretta.


 


Curunamiènte – coronamento s.m. Orlo superiore della estrema poppa.


 


Curvè – corvè s.f.  Lavoro a cui sono comandati i marinai per la pulizia della nave.


 


Cuscenètte – cuscinetto s.m.  Supporto metallico per eliminare gli attriti. Piccolo cuscino con federa ricamata che vengono poggiati sul divano.


 


Cusetore – cucitore s.m. Marinaio addetto alla cucitura delle vele. Si usava un grosso ago, ago zaffarane, che per spingerlo, al posto del ditale, si utilizzava il guardamano; sarto.


 


Cuseture – cucitura s.f.  Lavoro d’ago, rammendo.


 


Cussalute  – con salute  avv.  Buon pro faccia, con gli auguri di una buona salute.


 


Custère – costiera s.f.  Fascia territoriale prospiciente il mare.


 


Custià – costeggiare v. Navigare lungo la costa.


 


Custréngnere – costringere v.  Forzare, obbligare, coartare.


 


Custrutte – fine  sm. Demolizione, smantellamento.


 


Cusute – cucito  agg.  unito con il filo.


 


Cutajancule- culbianco sm. Uccello migratore


 


Cutecone – Villanzone sm.  Screanzato, avaraccio.


 


Cùtele – salcio sm.  Pioppo


 


Cutrussélle – codirossa sf.  Uccello migratore


 


Cuttèr – cutter s.m. Con questo termine, di natura inglese, si designava una barca a vela con un solo albero situato a proravia del centro.


 


Cuttone – cotone s.m. Filo per la cucitura delle reti, cotone.


 


Cutugne – melacotogno sm.  Frutto


 


Cuzzètte – nuca sm.  Taglio di capelli molto alto con nuca ben rasata; estremità di un pezzo di pane.


D


 


Da – da  prep. Proveniente da


 


Dà – dare v. Donare, percuotere, urtare, succedere.


 


Dàje vòte – dai volta vc. verb.  Dai volta, lega la corda, annoda.


 


Dàlle – dai  voc. verb. Insisti


 


Dammàgge – danno sm.  Rottura, perdita.


 


Dàmmiggiane – damigiana sf. Boccione, recipiente di vetro, che arriva fino alla capacità di 44 litri, come un barile, rivestito di paglia con due manici anch’esse di paglia.


 


Dandulià  – vagabondare v.  Bighellonare, oziare.


 


Dannà – dannare v.  Disperare, affaticarsi.


 


Dàrsene – darsena s.f.  Specchio d’acqua, all’interno dei porti, riparato anche dai venti, dotato di banchine e magazzini, dove sostano le navi in disarmo.


 


Dàttere – dattero sm. Frutto della palma.


 


Debbulézze – debolezza sf. Spossamento,  mancanza di energie e di autorità, difetto abituale.


 


Decompressione – decompressione s.f.  Procedimento graduale per il passaggio da una pressione atmosferica elevata  a quella normale del  livello del mare. I sub devono stare molto attenti e devono rispettare precise norme  se non vogliono finire in embolia.


 


Decòtte – decotto sm.  Infuso, tisana.


 


Decrjà – scialare v.  Ricreare, sollazzare, divertirsi. ristorare.


 


Dèfalcà  – detrarre v.  Sottrarre.


 


Defreddà – raffreddare v.  Diminuire d’affetto, d’intensità.


 


Defrescà –ricordare v.  Richiamare alla memoria, menzionare, nominare, evocare, commemorare.


 


Defrische – Sollievo, sm.  Ristoro, suffragio per i defunti.


 


Deggerì– digerire v.  sopportare, tollerare.


 


Delegazione – delegazione s.f.  Delegazione di spiaggia veniva chiamato l’ufficio che in un luogo marittimo di scarsa importanza svolgeva compiti relativi alla marina mercantile e al demanio marittimo. Venne creato a Le Forna, presso la Brigata della Guardia di Finanza, quando incominciarono ad attraccare le navi estere per caricare la bentonite e il caolino. Il primo comandante di quella delegazione fu il brigadiere di Finanza  fu Diego Straullu, un sardo che ha creato famiglia a Ponza.


 


Delfiniére – delfiniera s.f.  Fiocina robusta con alette snodate. Al bastone veniva legata una corda che, con l’altro capo, veniva assicurata ad un galleggiante. Veniva lanciata contro i pesci di media e grande dimensione. Quando i delfini saltellavano davanti la prua della nave, si riduceva al minimo la velocità, si lasciava aprire una biscaglina quasi sul dritto di prua dove pigliava posto un marinaio con l’arpione che, al momento opportuno sferrava l’attacco. Come la fiocina penetrava nelle carni dell’animale si lanciava in acqua il fusto  a cui era legata. A morte avvenuto si recuperava tutto. L’operazione veniva ripetuta fino a quando i delfini erano presenti a prua. Il delfino veniva filettato e i pezzi di carne, come salami, venivano posti al sole ad essiccare. Si otteneva così il celeberrimo  musciame, gioia soprattutto dei palati liguri.


 


Dèlinguènte – delinquente sm.  Criminale, facinoroso, monello.


 


Delòrge  – orologio sm Strumento che misura e segna le ore, i minuti e i secondi.


 


Deluvje. Diluvio sm.  Acquazzone, pioggia a dirotto, allagamento.


 


Dèntece – dentice s.m. Dentex-dentex, della famiglia degli Sparidi di cui rappresenta il fiore all’occhiello. Vive in branchi ed è migratore. Le sue carni sono eccellentissime per cui il suo valore commerciale è molto alto. Si pesca, per l’intero arco dell’anno, con i tramagli, con la traino  e con le coffe, la mia passione. Ho partecipato, con diversi amici, a battaglie memorabili che ci hanno permesso cene da triclini. Fra le tante tavolate ricordo  quella all’Aragosta dove Sergio, che ringrazio ancora, ci preparò, fra i tantissimi manicaretti, quattro dentici, dal peso di 10,300- 7,800- 4,600 e 2,00 Kg , al sale e una cernia, di sedici chili e duecento grammi, al forno, intera. Eravamo in trentasei. Uscimmo dalla sala del ristorante in settantadue. Merito di Sergio, soprattutto, ma anche merito del gruppo.


 


Denucchje – ginocchio sm.  Parte ossea della gamba che consente l’articolazione del femore con la tibia e il perone.


 


Dèposite – deposito s.m. E’ il nome che su qualsiasi imbarcazione si dà ai locali dove si conservano attrezzi e materiali.


 


Deprèssione – depressione s.f. Calo della pressione atmosferica che comporta come conseguenza il tempo cattivo. É’ una malattia che frequenta molte case.


 


Derettézze – scaltrezza sf. Accortezza, furberia, avvedutezza, sagacia.


 


Dèrive – deriva s.f.  Spostamento che un natante o un galleggiante subisce per l’azione della corrente marina. I pescatori, nel calare la rete  in acqua, fanno una  stima preventiva  della sua direzione e della sua velocità e calcolano gli effetti che essa possa  produrre.


 


Dérrupate – precipitato agg. Rotolato, caduto.


 


Descagne – caso sm. Combinazione, fortuna, fatalità, accidente, circostanza, evento, probabilità.


 


Descennènze – discendenza sf.  Origine, stirpe.


 


Descenziélle – poliomelite sm. Convulsioni infantili.


 


Descurze – discorso sm.  Conversazione, colloquio, arringa, orazione, predica, sermone.


 


Despenzà – dispensare v. Distribuire


 


Despriézze – disprezzo sm.  Noncuranza, disistima, disdegno, dileggio.


 


Devacà – svuotare  v.  Versare in altro, rendere libero un qualsiasi recipiente colmo di materiale.


 


Deviazione – deviazione s.f. Lo scafo di una nave in ferro, dopo un certo periodo dalla sua costruzione, diventa un magnete permanente che si assomma al magnetismo terrestre. L’ago della bussola si dispone secondo le  risultanze di questi due magnetismi  dando luogo alla deviazione, rendendo la bussola inservibile,  per cui si rende indispensabile la compensazione con la quale  si raggiungono due scopi: modificare il  campo magnetico in cui è immersa la bussola e ridurre al minimo le pesanti deviazioni. Tutto ciò avviene ponendo ai fianchi della bussola due compensatori  chiamati anche  correttori.


 


Devurà – divorare v.  Sperperare, sprecare, sciupare, scialacquare.


 


Devuriamiénte – sperpero sm.  Spreco, sciupio.


 


Diamante – diamante s.m. Il punto in cui dal fusto dell’ancora nascono le marre. Oggetto prezioso.


 


Diane – diana s.f. Il periodo in cui, su ogni nave, si dispongono tutte le operazioni aventi lo scopo di dare alla nave un buono assetto e di stabilire e preparare i lavori della giornata. La diana è stata trasferita nelle usanze ponziane. Il venti giugno, giorno in cui si festeggia San Silverio, la prima parte della giornata è  definita Diana. In ogni casa c’è fermento e agitazione. E’ la più grossa festività. Le mamme sono a terra prima che i fuochi artificiali annunzino il sacro giorno. Devono preparare, come è costume, il lauto pranzo e devono preparare la tavola in modo che al rientro tutto sia pronto. Devono mettere a punto i vestiti per tutti i componenti la famiglia e devono partecipare ai riti religiosi della mattinata.


 


Diasille – bestemmia sm. Discorso tedioso, lamentela.


 


Diavule – diavolo sm.  Demonio, spirito del male, chi non si ferma mai. Buon diavolo va detto a chi è sfortunato.


 


Diébbete – debito sm.  Ciò che si deve, passività, insolvenza, dovere, obbligo; bruttezza.


 


Diénte – dente sm.  Ciascuno degli organi ossei, di cui sono muniti i vertebrati, che, fissi nelle mascelle, servono a masticare il cibo. Fra loro sono diversi: incisivi, canini, molari.


 


Diénte i cane – dente di cane s.m. Dentale, balano. Incrostazione calcarea che si forma sulla carena delle navi per il loro persistere in acqua, specialmente se calda. Queste incrostazioni rallentano la velocità della nave per cui necessita, di tanto in tanto, la pulizia dello scafo.


 


Diénte i cavalle – Cipero sm.  Pianta erbacea con molte specie. Le radici sono piccoli tuberi.  Infesta il terreno in cui nasce ed i contadini, quando zappavano la terra, avevano una cura particolare nell’estirpare tutte le forme di radici per non farlo riprodurre.


 


Difiétte – difetto sm. Morale e fisico. Danno, mancanza. I difetti escono  dopo i confetti.


 


Difficultuse – difficoltoso agg. Esigente, di gusti complicati.


 


Diggerì – digerire v.  tolleare, sopportare.


 


Dimane – domani avv.  Il giorno che segue l’oggi.


 


Dimmannà – domandare v.  Chiedere, imnterrogare.


 


Dinte – dentro avv.  All’interno


 


Direttore – direttore s.m. Si dà questo nome alla persona che dirige la propulsione meccanica e tutti i servizi dell’apparato motore  e dei meccanismi ausiliari. E’ dotato di patente nautica, una laurea con tirocinio. Il funzionario capo in un ufficio.


 


Disàrme – disarmo s.m. Sospendere temporaneamente il servizio di una nave ponendola in una darsena o in un arsenale e sbarcando l’equipaggio.


 


Discàreche – discarica s.f. Operazione relativa allo sbarco delle merci.


 


Disèrzione – diserzione s.f. L’abbandono della nave senza alcuna giustificazione. Molti ponzesi, appena dopo la seconda guerra mondiale, non potendo espatriare legittimamente, si imbarcavano su navi dirette all’estero e quando si trovavano nei porti di quelle nazioni che avevano bisogno di mano d’opera e dove c’era qualcuno che li accettasse, disertavano, abbandonando furtivamente la nave.


 


Disincaglià – disincagliare v. Liberare una nave che si è incastrata tra gli scogli o che la cui chiglia si è posata su un fondale poco profondo fermando il suo cammino.


 


Dislocamènte – dislocamento s.m. Portata della nave. Con il termine dislocamento  si definisce il peso della massa d’acqua spostata dalla immersione di una nave. Esso equivale al peso totale della nave con il suo carico che viene misurato in tonnellate.


 


Disormégge – disormeggio s.m. Sciogliere e tirare a bordo tutti i cavi che sono serviti per l’ormeggio.


 


Desprezzà – disprezzare v.  Non stimare.


 


Ditalìne – Masturbazione sm.  Pratica erotica, effettuata da una donna su se stessa, per provocare l’orgasmo mediante l’eccitamento manuale degli organi genitali.


 


Ditte – detto sm.  Pronunciato, motto, aforisma.


 


Diune – digiuno agg.  Che non ha ancora mangiato, astinenza, dieta.


 


Doppiòfunne – doppio fondo sm.  In tutte le navi moderne si costruisce il fondo dello scafo con due fasciami tenuti collegati da una ossatura di lamiere che vengono poste orizzontalmente  alla chiglia. L’intero spazio viene suddiviso, con lamiere verticali, in tante cellule. In questo modo si è aumentata la sicurezza della nave in caso di una avaria allo scafo ed inoltre, quando la nave è scarica, queste cellule  possono essere riempite di acqua, indipendentemente l’una dall’altra, per ottenere la zavorra  necessaria durante la navigazione con il mare mosso.


 


Doce – dolce agg.  Zuccherato, di sapore amabile.


 


Doje – due agg. e pron. Che si compone di due oggetti, biennio, biennale, doppio, paio, coppia.


 


Dònne ncamicje – calla  sf.. Pianta erbacea perenne che si coltiva in vaso o in giardino a scopo ornamentale per il suo bellissimo fiore bianco.


 


Dòppe – dopo avv.  e prep.  Appresso, poi, il tempo che verrà.


 


Dosso e bisdosso – dosso e bisdosso s.m.  Modo di navigare di un veliero che possiede soltanto due vele. Quando il vento è in poppa le due vele si possono disporre ciascuna da un lato in modo tale che la vela dell’albero di poppa non tolga il vento a quella dell’albero di prora. Il veliero naviga come le due pagine aperte di un libro.


 


Draffine – fiocina s.f.  Attrezzo da pesca formato da una asta di legno avente ad una estremità  uno strumento di ferro con denti appuntiti e dotati di lamelle laterali. Si lancia contro i pesci.


 


Dragà – dragare v. Operazione destinata a scavare, per pulire, i fondali dei porti e aumentarne la profondità.


 


Draghe – draga s.f. Nome di particolari navi munite di speciali macchinari destinati a scavare il fondo marino e ad estrarre il materiale.


 


Dràgle – draglia s.f.  Sulle barche a vela prende questo nome i cavi d’acciaio che uniscono  la testata dell’albero di trinchetto con il bompresso per farvi scorrere i fiocchi.


 


Dritte – dritto  s.m. Con questo nome si indica quel pezzo di legno o di  ferro che, nell’ossatura della nave, si erge a poppa,  all’estremità della chiglia, formando il dritto di poppa su cui viene sagomata la poppa e un altro sorge all’estremità inversa della chiglia formando la ruota  di prora.


 


Drizze – Drizza s.f.  Con questo nome si definiscono tutte le cime che servono ad alzare i pennoni e i vari picchi e, secondo l’uso, hanno un loro specifico nominativo come la  drizza  di gran velaccio.


 


Ducézze – dolcezza sf.  Affabilità, bontà, grazia.


 


Ducìazze – dolciastro agg.  Che ha del dolce ma non è gradevole.


 


Dùdece – dodici  agg. e pron.  Composto da dieci più due unità.


 


Duje –  due agg. e pron.  Quantità di due, paio, biennio, biennale, duplo, doppio, coppia.


 


Dumméneche – domenica sf.  Ultimo giorno della settimana dedicato alla festività.


 


Duppià – doppiare v. Oltrepassare, girare attorno ad una estremità costiera.


 


Dùppje – doppio agg. Robusto, forzuto, spesso.


 


Duppine – doppino s.m. Cima ripiegata su se stessa. Il ripetere senza sosta un lavoro iniziato il giorno prima.


 


Duppione – doppione  sm.  Copia di una stessa opera, cosa interamente uguale ad un’altra; moneta da due soldi.


 


Durmì – dormire v.  Riposare, dormicchiare, sonnecchiare, sopirsi, coricarsi.


 


Dutazione – dotazione s.f. Appellativo generico per nominare l’insieme degli attrezzi  di lavoro, di ricambio e dei materiali che ogni nave deve possedere.


 


Duttore – dottore sm.  Medico


 


Duzzine – dozzina sf.  Composto da dodici unità.


 


E


 


Ebbé – Ebbene cong.  Con ciò, dunque.


 


Ebbeche – epoca sf. Periodo, tempo.


 


Ebbrèje – ebreo sm.  Avaro, taccagno, spilorcio.


 


Egnere – riempire v. Empire, scrivere negli spazi vuoti.


 


Eine – così avv.  Si, va bene.


 


Eleche – elica s.f.  Congegno composto da  due, tre e anche quattro pale tenute da un mozzo cilindrico che è calettato alla perfezione sull’albero motore. E’ sistemata in uno speciale e particolare incavo all’estrema poppa. Quando è in movimento, azionata dal motore, si avvita nell’acqua e spinge la nave in avanti. Per il suo avvitamento l’elica può essere destrorsa se, guardandola da poppa, il suo movimento segue il giro delle lancette dell’orologio. Sinistrorsa se gira in senso contrario.


 


Embé – ebbene avv. Cosi


 


Equipàgge – equipaggio s.m. Il complesso delle persone imbarcate su una nave.


 


Erve – erba sf.  Fieno, qualsiasi pianta che non ha il fusto legnoso.


 


Erve curalline – erba corallina s.f. Erba marina con caratteristiche antivermi che veniva pescata dai corallari, da cui il nome. Essiccata veniva usata per un decotto.


 


Erve zeccose—lappola sf.  Pianta erbosa i cui frutti armati di uncinetti si attaccano facilmente agli abiti di chi vi si accosta.


 


Esche – esca s.f. Il cibo che si mette all’amo o nelle nasse per attirare i pesci.


 


Esèqujè – esequie sf.  Corteo funebre.


 


Espiérte – esperto agg.  Pratico, abile, capace, sperimentato. provetto,


 


Essénze – profumo sf.  Sostanza odorante estratta dalle piante.


 


Est – est s.m. Punto cardinale che rimane a destra di chi guarda il nord, corrisponde al levante.


 


Estrème poppe – estrema poppa s.f.  Locuzione per definire la parte estrema emersa della poppa.


 


Estrème prore – estrema prora s.f. Locuzione per indicare la parte estrema della prua che è il tagliamare.


F


 


Fa – fare v.  Eseguire, agire


 


Fa acque – fare acqua v. Espressione che ha due significati: imbarcare acqua per una falla nella carena oppure rifornirsi di acqua potabile.


 


Facce é fronte – di fronte avv.  L’uno di fronte all’altro.


 


Faccefronte – confronto sm.  Paragone.


 


Faccètte – faccia tosta sf.  Impudenza, sfacciataggine, svergognatezza.


 


Faccetuoste – spudorato agg.  Svergognato, cinico.


 


Falànghe – falanga s.f.  Pezzo di legno di quercia con scanalatura centrale in cui scorre la chiglia dell’imbarcazione. E falanga si chiama anche  quel trave di legno di quercia che  viene posto sotto la insellatura per farla scorrere liberamente e senza intralci.  Per qualsiasi uso viene cosparsa  di sego.


 


Falle – falla s.f.    Rottura nella carena di una nave da  cui l’acqua può penetrare.


 


Fàmece – intaccatura s.f.  Scanalatura della falanga.


 


Famme – fame sf.  Appetito , ingordigia, insaziabilità.


 


Famuse – famoso agg.  Celebre, noto, conosciuto.


 


Fanàle – fanale s.m. Nome generico delle luci che una nave è tenuta ad avere. Abbiamo: fanale di testa d’albero sistemato sulla estremita dell’albero di prua; fanale di coronamento situato all’estrema poppa; fanale di via posto uno a destra, con luce verde,  e l’altro a sinistra, con luce rossa,  della plancia; fanale di fonda che ogni bastimento all’ancora deve tenere acceso; fanale di rimorchio formato da una coppia di fanali disposti in linea verticale all’albero di prua, indipendentemente dalle luci di altri fanali. In alcuni casi, quando il rimorchio supera una certa estensione i fanali devono essere tre.


Le navi che superano una determinata lunghezza portano un secondo fanale di via sull’albero di poppa.


Con questo termine si indicano anche i fari, di luce rossa e di luce verde, posti all’ingresso dei porti.


 


Fanaliste – fanalista s.m. Personale civile addetto alla manutenzione dei fari e fanali. Questo posto di lavoro è al lumicino. Una volta  c’erano tre fanalisti a Zannone, tre al Faro della Guardia e tre impegnati tra la Rotonda della Madonna e il faro del porto. Da Silverio Vitiello, il più vecchio fanalista accasato nella  mia memoria,  a Cristoforo Tagliamonte, tuttora in servizio, ne ricordo tantissimi. Il più caro è stato il lanternaro.


 


Fanfarrone – fanfarone agg. Ciarliero, chiacchiarone, millantatore


 


Fangòtte – fagotto sm.  Pacco, fardello, cartoccio, involto.


 


Faraglione – faraglione s.m. Masso roccioso, in genere monolitico, originato dall’azione vulcanica o da quella disgregatrice dei frangenti dei  marosi e  delle intemperie, che si innalza isolato  davanti alle coste.  Ricordiamo, per sommi capi: lo Scoglio rosso, i Faraglioni della Madonna, quelli del Calzone muto, della Guardia, di Capo bianco, di Lucia Rosa, della Ravia, del Prete, di Aniello Antonio, dell’Arco naturale. lo Scuncìlle , lo Spermature, u Suace, i Faraglioni di Mezzogiorno, il Faraglione Pallante, il Faraglione di San Silverio, il Faraglione nero, i Faraglioni della spiaggia, i Piatti, il Monaco. Quelli nominati non sono tutti, rappresentano una  parte. Lancio l’invito a fare un elenco completo.


 


Farcature – falcatura s.f. Complesso di tavole o di lamiere di cinta al di sopra del ponte di coperta.


 


Farchètte – falco cuculo sm.  Uccello


 


Farcone – falco pellegrino sm.  Uccello rapace.  Il falco pellegrino è un animale stanziale. Nelle nostre isole nidifica in diversi posti: Scarrupate, Montagnièlle, Còre, Gavi, Cala del mariuolo, Montagna del falcone, Vardella, Guarnieri, Forcina, Cala di tramontana.. Costruisce il suo nido in un anfratto roccioso di una parete difficile da accedere. Il falco pellegrino è il predatore diurno per eccellenza. Ha il becco fortemente arcuato, zampe grosse  e muscolose. Ha quattro dita lunghe e robuste. Il dito posteriore è il più lungo dei quattro. Le unghie sono acute e, anch’esse, arcuate, atte ad offendere, difendere e afferrare.  Strutturalmente la femmina è più grande e più grossa del maschio.. La sua apertura alare oscilla tra i sessanta e gli ottanta centimetri.che gli consentono una velocità  intorno ai cento km orari. E’ carnivoro  e si nutre di prede vive che caccia volando. Il suo becco adunco gli consente di strappare facilmente la carne dalle ossa. Non gli serve per offendere. Le sue armi di offesa sono le zampe, munite di unghie affilatissime, e lo sterno. Il pellegrino  è un animale tradizionalista. Occupa sempre gli stessi costoni rocciosi per fare il nido che fa anche su isolotti e falesie marine. La femmina depone tre o quattro uova che cova per quaranta giorni. Schiudono in aprile e nella seconda metà di maggio i piccoli si affacciano al nido e iniziano i primi voli.


Il falco pellegrino è un animale astuto, intelligente, furbo, ardimentoso, audace, fiero, direi ricco di personalità e dignità. Un animale dotato di classe e carisma. Per le doti che racchiude in quel piccolo volume è, a mio parere, l’animale più bello.


 


Fàre – faro s.m. Con questo nome si indicano quelle costruzioni, abbastanza consistenti, in genere a forma di torre, erette lungo il litorale in cui  sono poste attrezzature che segnalano la costa  con potenti luci, visibili a tutto l’orizzonte o a settori dello stesso. Sono le guide notturne dei naviganti.


I fari del territorio di Ponza sono tre:  Il faro della Guardia, il faro della Madonna e il faro di Zannone. Quello del porto, i cui segnali luminosi


sono di secondaria importanza, prende il nome di fanale.


Il faro della Guardia si erge su un promontorio roccioso che si trova all’estremo sud dell’isola. Dista dal porto due miglia e può essere raggiunto anche via terra, con una passeggiata di circa mezz’ora attraverso una mulattiera che, partendo dal pianoro degli Scotti di Sopra, taglia la costa orientale della “macchia dell’asparago” e della “scarrupata”, arriva all’innesto del Faraglione con l’isola. Nella zona della scarrupata il comodo sentiero ha due percorsi: il primo, quello antico, si inoltrava, in linea retta, ai piedi della montagna per tutta la sua lunghezza fino a giungere al confine con la scarrupata di fuori dove pigliava a scendere, con un serie di tornanti, per arrivare all’ingresso del faraglione. La caduta continua di sassi lo rese pericoloso e il comando della Zona Fari e Fanali di Napoli, da cui Ponza dipendeva, chiese al Genio Civile di modificarne il percorso. Negli anni  cinquanta del secolo scorso l’impresa Raffaele Perrotta di Ponza diede corso alla nuova stradina che risultò molto più comoda e meno pericolosa sia per i fanalisti che per i numerosi cacciatori di quaglie che frequentavano la scarrupata.


E’ situato ad una altezza sul livello del mare di 112 metri. Il complesso abitativo è composto da quattro abitazioni, ciascuna di tre camere, cucina e bagno. Dal piccolo traforo d’ ingresso, ai piedi del faraglione, il fabbricato si raggiunge attraverso una piccola e suggestiva stradina incastrata nella roccia. E’ talmente piacevole, incantevole e pittoresca da farmi pensare che Walt Disney l’abbia copiata per inserirla nel suo “Alice nel paese delle meraviglie”.


L’anno della sua nascita è il 1886. L’impianto originale era costituito da un apparecchio rotante azionato da un congegno ad orologeria la cui carica aveva la durata di quattro ore. Nel 1913 il congegno di illuminazione venne sostituito da un


apparecchio che funzionava a vapore di petrolio. Nel 1937, con la istituzione di una linea elettrica che dal centro dell’isola portava la corrente alcaseggiato, la lampada fu elettrificata.


Nel 1975 il faro fu automatizzato e l’edificio non fu più abitato.


I tre fanalisti addetti al servizio avevano un turno di due giorni di servizio al faro ed uno di riposo.


Il faro lancia  tre lampi bianchi in un periodo di trenta secondi. Il suo fascio di luce arrivava a 45 miglia per cui era inserito tra i fari di prima categoria come il Tino di La Spezia e Capo Imperatore di Ischia.


Sulla torretta vi è anche un fanale a luce rossa che segnala la secca delle Formiche  situata ad un miglio dalla costa.


A questo punto  è necessaria una piccola parentesi: il faro della Guardia  non è nato sul faraglione dove attualmente è sistemato. Egli, il faro, vide la luce  sulla spianata di Monte Guardia a 380 metri di altezza, nel 1858. L’iniziativa faceva parte di un gruppo di provvedimenti  che il governo borbonico intese prendere per la sicurezza dell’isola a seguito dello sbarco di Carlo Pisacane. Il caseggiato è quel rudere che


attualmente troneggia, molto vergognosamente, sul pianoro di Monte Guardia. Quel manufatto, iniziato dai Borboni, ebbe termine nel 1864 sotto il regno sabaudo. Mi è stato detto da Sem, un amico che frequenta Monte Guardia, dove ha una casupola, anche per mesi interi, che il tetto del lato destro della palazzina è crollato trascinandosi anche il tetto del piano inferiore. E’ una vergogna per il Demanio. Fra non molto sparirà anche l’altro lato.


Faro della Madonna: costruito, a 62 metri sul livello del mare, sulla cima della collina dedicata alla Madonna da cui ha preso il nome di Rotonda della Madonna. L’apparecchio  luminoso è lenticolare a luce bianca fissa che emette quattro lampi bianchi con un periodo di 15 secondi di oscurità. Ha una portata media di 10 miglia con visibilità da nord a sud. Si ignora la data di accensione che sicuramente avvenne sotto il regime borbonico. La prima  costruzione era una torre isolata a base quadrata con le pareti di colore bianco che  comportò una spesa di 8.600 lire.


Il caseggiato e la torre sono stati rifatti perché il terreno su cui poggiavano presentava pericoli di crollo. Entrando nel porto si lascia a sinistra.


Nel Faro della Rotonda della Madonna è compreso anche il fanale a luce rossa fissa, identico a quello del Faro della Guardia, per la segnalazione delle Formiche. Quando si vedono contemporaneamente le due luci rosse significa che si è sugli scogli. Negli anni cinquanta del secolo scorso, un bastimento in legno dalla portata di circa trecento tonnellate, cercando ridosso in  una notte di tempesta, andò a finire sugli scogli delle Formiche. Molti asserirono che venne a mancare la luce elettrica per cui ci fu un oscuramento totale. Certo è che la libecciata di quella notte fu veemente e impetuosa con violenti scrosci  di pioggia.


Le sei persone di equipaggio trovarono  la morte. Non si  salvò nessuno. L’allarme di quel disastro lo lanciò Carlitto che, all’alba si era recato, con il suo gozzo, a le Formiche per vedere se era possibile calare la rete per qualche chilo di retunne.


Cosa faceva fare la fame! Quando notò legname e velatura sul mare rientrò subito per comunicare l’accaduto.


Diverse  barche si recarono sul luogo del naufragio. Nessun naufrago. Venne individuato un cadavere incastrato tra gli scogli. Luigi Sogliuzzo, l’iscaiolo, con l’aiuto di un amo legato ad un filo di nailon, riuscì dopo ore di estenuante lavoro a scardinarlo e portarlo in superficie. Il cadavere venne imbarcato sulla Santa Rita, la barca di Giosuè Di Scala che il figlio Peppino ed io avevamo preso per  correre a Le Formiche.


I fanalisti, sempre in numero di tre, provvedevano anche alla manutenzione del fanale rosso del porto che, nella seconda metà del secolo scorso,  ha visto la nascita del gemello verde sullo scoglio Ravia.


Il Faro di Zannone è riportato nei libri nautici con il nome di Faro di Capo Negro. Si trova all’estremità nord dell’isola, “ di fronte alle terre del reame”, come scrisse il Tricoli. Il faro è posizionato su una torretta bianca che si eleva dal tetto di un caseggiato che raggruppa quattro abitazioni dove, oltre a quella riservata ai superiori, vivevano tre famiglie di fanalisti di cui due sempre a Zannone e il terzo in ferie. Il turno era di venti giorni di servizio e dieci di ferie. Il servizio per il cambio e per tutte le altre necessità veniva effettuato con una barca a motore.


La lanterna di Zannone lancia il suo raggio ad una altezza di 37 metri su livello del mare. Le sue caratteristiche sono: tre lampi bianchi con una oscurità di dieci secondi. La sua portata è di 12 miglia.


Oggi il faro è automatizzato. La palazzina è stata data in fitto.


Il Faro di Capo Negro fu attivato nel 1858, anch’esso come conseguenza dello sbarco di Pisacane.


 


Fardiélle – fardello sm.  Carico, impegno, onere, grosso involto.


 


Farenèlle – farinaceo sf. Farina di legumi  che gli americani portarono in Italia  durante la seconda guerra mondiale e la distribuirono alla popolazione civile.


 


Fareniélle – bellimbusto   sm.  Zerbinotto, giovane elegante amante delle belle donne.


 


Farfariélle – diavolo sm. Demonietto, diavoletto, ragazzo irrequieto e vivace.


 


Farfùgle- pagliuzza sf.  Fuscello, festuca.


 


Farfuglià – Farfugliare v.  barbugliare, pronunciare male, balbettare, parlare in modo disarticolato, dire sciocchezze.


 


Fasciame – fasciame s.m. Il complesso delle tavole per le navi in legno,  e di lamiere  per quelle in ferro, che rivestono l’ossatura del natante sia all’esterno che all’interno. Rivestimento di una qualsiasi cosa.


 


Fasciature – fasciatura s.f. Avvolgimento con tela  di una cima o di un cavo d’acciaio, per preservarlo dallo sfregamento nei punti in cui è soggetto. La tela, a sua volta, viene tenuta ben stretta con il commando avvolto  a spire a contatto l’una con l’altra. Sm. panno per avvolgere il neonato.


 


Fascine – fascina s.f. Fascio di rami fronzuti che si accendevano per riscaldare il forno per cuocere il pane, per far fuoco nelle fornaci sotto le pentole e fare una bruciatura alla carena per ammazzare  i ruommeche che si annidavano nel legno.


 


Fasciuttèlle – punto legaccio sf.   Semplice lavoro a maglia.


 


Fasule – fagiolo sm.  Pianta e frutto delle leguminacee. Il fagiolo, a  chi ha il tocco magico nella cucchiaia, riesce a dare una minestra fra le più eccellenti che escano da una cucina. Un buon piatto di pasta e fagioli ha pochissimi concorrenti e non c’è aragosta che tenga. La pasta e fagioli che mi offro a Palmarola la conquisto schierando e manovrando  così la truppa:  premetto che parto con un grosso svantaggio iniziale, per motivi comprensibili. I fagioli che uso sono quelli lessati che si vendono in barattoli perché mi rendono il lavoro più semplice. Il piatto è pronto in mezz’ora. Prendo un tegamino pieno d’acqua e lo metto sul fuoco a riscaldarla. Mi sarà utile durante la cottura della pasta.


Mentre taglio una fetta  di lardo dalla “pezza”, che sempre mi porto dietro, metto sulla fiamma “ a curtèlle” , il marrancio, a riscaldare. Dopo alcuni minuti, avendo già messo il lardo sul tagliere inizio a battere. Il coltellaccio caldo, pur triturandolo,   non spezza il lardo che diventa quasi una pastella che verso in una pentola assieme all’aglio, al sedano e alla carota, tritati. Quando l’aglio si è “ossigenato”, è diventato biondo, lo estraggo e aggiungo uno o due pomodori schiacciati e lascio soffriggere per alcuni minuti. Nel frattempo preparo i fagioli, qualche pezzetto di ventresca  e qualche pezzetto di parmigiano con la scorza.. Quando ritengo che il composto sia pronto per ricevere i fagioli, uno degli indici di gradimento è l’odore che si diffonde nella piccola stanzetta, piglio il barattolo e verso il contenuto nella pentola che lascio insaporire, con i pezzetti di “ventresche” per altri cinque  minuti che impegno nel preparare la pasta. Non uso la pasta mista che si vende nei negozi, me la faccio da me come facevano le nonne. C’è più sfizio.  Prendo un po’ di maccheroni, di spaghetti, di fusilli, di orecchiette, di tagliatelle che spezzetto e verso nella pentola dove già ho aumentato l’acqua prendendola dal quel tegame che, prima di iniziare l’avventura, avevo posto sul fuoco. A metà cottura della pasta, che va avanti a fuoco lento, aggiungo i dadi di parmigiano che mi obbligano a stare sempre con la cucchiaia in mano altrimenti, nello squagliarsi, il formaggio si attacca al fondo della pentola.


A cottura ultimata, la minestra deve presentarsi quasi asciutta e legata da una salsa cremosa, lascio raffreddare, ma quasi mai riesco ad aspettare perché la bocca mi si riempie di acquolina, e verso nel piatto. Sempre, non quasi sempre, ma sempre i piatti da riempire sono due. Cospargo la minestra con una “stagliata” di formaggio grattugiato, stavolta scelgo il pecorino e affondo il cucchiaio. Vado talmente di fretta, perché penso all’altro piatto da distruggere, che non ho il tempo di dirmi:  Buon appetito. Ma buon appetito si diceva nella casa di Giosuè  Di Scala, quando, al mattino, si radunavano, su invito,  diversi amici,  per una graditissima prima colazione. Maria, la moglie di Giosuè, aveva preso delle grosse fette di pane, un pane che il marito si faceva arrivare da Napoli, e le bagnava nell’acqua dei fagioli in cottura condendole con aglio, sale, olio e peperoncino.


 


Fasuliélle – fagiolino  sm.  Baccello verde del fagiolo che si mangia come verdura.


 


Faticà – faticare v.  lavorare, stentare per avere qualcosa.


 


Faticatore – lavoratore sm.  Di persona che non solo resiste alla fatica ma che è abile e diligente nel proprio lavoro


 


Fattariélle – racconto sm.  Favoletta, aneddoto, vicenda.


 


Fattucchiare- fattucchiere sfm   Mago, stregone, maliardo, incantatore,  portatore di malefici, donna perfida.


 


Fattùre – fattura sf.  L’atto della fattucchiera che colpisce con il malocchio


 


Fàuze – falso agg.    Non veritiero,  ingannevole, inesatto, alterato, infondato, inattendibile, mendace, menzognero.


 


Fazzulètte – fazzoletto sm. Pezzo di stoffa, di seta o di  lino, per soffiarsi il naso o asciugarsi il sudore.


 


Fazzulètte i burdate _ fazzolettone sm,  Indica il grosso fazzoletto di tela o di panno resistente,  ancora in uso nella campagne per mettervi le provviste acquistate o per portare cibi e altre cose da usare  in viaggio. Legato con roba dentro forma la “mappate”.


 


Fècce – feccia  sf. Posatura del vino o di altri liquidi, residui della vinificazione, grumi della botte, la parte peggiore di una cosa. .


 


Fechesécche – ficosecco sf. Ficosecco, ematoma, bitorzolo, ferita. Il ficosecco faceva parte delle riserve invernali con la conserva, i pomodori in bottiglie, i legumi, il lardo, la sugna, i fichi d’India e tant’altro. Per come i genitori ammannivano i fichisecchi   siamo tenuti a dire che erano una leccornia.


 


Féchete – fegato sm.  Ghiandola del corpo umano che secerne la bile,  coraggio, ardimento, audacia, baldanza, temerarietà.


 


Fechetìne – fico d’India   sf. Frutto della pianta delle Cactacee che ha la forma di un fico. Il frutto è avvolto da una scorza spinosa. Diverse sono i tipi di piante e diversi sono i frutti. Ci sono quelli estivi e quelli invernali.  Per fare un approvvigionamento invernale si tagliava un po’ di paletta dove era nato il fico d’India, cioè si rimaneva vicino al frutto un po’ di pianta il che gli consentiva di mantenere le sue caratteristiche per mesi.


 


Fechjà – ripugnare v.  Schifare, detestare, riluttare, avere sensazione di nausea a certi sapori.


 


Fecuozze- bitorzolo sm.  Bernoccolo, bozza, gibbosità, protuberanza.


Felacciuole – filacciolo s.m. Filo con amo da legarsi al trave


 


Felàte – filato sm.  Pezzo di rete già sarcito.


 


Fèle – veleno sm.    Tossina, rabbia, rancore, odio.


 


Félece – felce   Pianta perenne, a generazione alternante,  che appartiene a varie specie, sparse ovunque nelle zone caldo-umide. A Ponza, in grande quantità, si trovano lungo una spalla dell’Incenso che da esse prende il nome: le felci. A Palmarola si trovano nella zona della spiaggia e nel canale del carcariéllo.


 


Felère – fila sf.  Più cose messe l’una vicina all’altra sulla medesima linea e disposte in ordine. Sfilata, filza, riga, serie.


 


Felìnje – fuliggine sf.  Ragnatela, inezia, minuzia, cosa da niente, peluria. La felinje era l’originale rimedio di pronto soccorso per il potere emostatico che le si attribuiva. Chi si feriva non ci pensava due volte: una bella ragnatela sopra  e…vai. Quella gente non sapeva che, in seguito, sarebbero apparsi Fleming e la pennicillina.


 


Fellate – squarcio sf.  Ferita da taglio, lacerazione della carne..


 


Fellone – granceola s.m. Maja squinado. Granchio di grosse dimensioni.


Inchiniamoci: passa la bandiera!


Appartiene alla elite dei crostacei. Fino agli anni settanta del secolo scorso la sua richiesta era limitata soltanto a pochi buongustai. Nessuno lo conosceva. Onorino, quando rientrava con il suo peschereccio,  aveva sempre sulla poppa un cestone pieno di grancevole che non sapeva neanche a chi regalarle. Quasi tutte finivano nuovamente a mare. Schiacciate, però.


I pescatori, perché con le chele stracciavano le reti, le odiavano talmente al punto che,  appena in coperta, finivano sotto i colpi dell’ammazzamurene facendo la fine delle macciòtte.   Oggi sparisce in un niente perché si è conosciuta  la bontà della sua carne.  I ristoratori ne fanno incetta perché con essa preparano un intingolo stupendo per condire gli spaghetti.


Gli spaghetti con il fellone è un piatto da regina degli dei.


Un risotto non è da meno.


C’è chi nel preparare il sugo usa la grancevola da crudo e chi, invece, la lessa. Venti minuti di bollitura sono sufficienti per la sua cottura. Una volta si usava fare la “còcce” che è poi il carapace che veniva usato da pentola. Dopo averla lessata si staccava il carapace facendo attenzione a non far uscire il liquido che contiene. Si condiva con aglio, olio e prezzemolo con l’aggiunta di alcuni pezzi di pane raffermo e la si metteva sul fuoco. Dopo pochi minuti di cottura era pronta. Una leccornia!


E più di una leccornia sono le tartine. Per prepararle occorre la femmina a cui, prima di metterla a bollire, bisogna staccare le uova che tiene esternamente in quella specie di marsupio. Vanno usate crude perché non vengano  disperse le piacevoli sensazioni del loro odore, del loro profumo, della loro fragranza e del loro sapore. Quando si è raffreddata staccare il carapace e versare tutto quello che contiene, proprio tutto, in una insalatiera. Togliere tutto dalle chele con l’ausilio di uno schiaccianoci e versarlo nella insalatiera. Poi si aggiungono le uova staccandole dagli appigli che le tengono unite e frantumandole. Condire con aglio, olio, prezzemolo e un po’ di pepe. Lasciare riposare per l’insaporimento e poi spargere su tocchi di pane abbrustolito, possibilmente casereccio.


Che te mange!


 


Femmenèlle – femminelle s.f. La femmina è quella parte del cardine con cui il timone è collegato alla poppa del natante e sulle quali compie il suo movimento angolare.


 


Femmenèlle – femmina s.f. Con questo termine si indica la Maena smaris, della famiglia dei centracanthidae. La femmina del retunne. Un pesce di piccola grandezza se paragonato al retunne normale.


Si pesca in un solo periodo dell’anno, quando il retunne fa a traiàne, cioè, quando si riunisce per deporre le uova. In genere la frittura è la sua morte. E’ un pesce dalle carni delicate e squisite ma il massimo della squisitezza sono  le sue uova per le quali non mi stanco mai di dire che se potessimo conservarle non ci sarebbe caviale per competere. Di uomo con atteggiamenti leziosi da invertito.


 


Fenèlle- maglietta sf. Maglia intima per donna di  lana molto sottile.


 


Fenèste – finestra sf.   Apertura in un muro per dare luce ed aria alla stanza. Viene chiusa da imposta a vetri.


 


Fenestiélle – finestrino sf.  Anta della porta a vetri.


 


Fennetùre – finitura sf. Lavoro ultimativo per portare un’opera a  perfezione, rifinitura. Limite, confino.


 


Fennì – finire v.  Terminare, concludere, ultimare, smettere.


 


Fenucchiélle – aneto sm. Finocchio selvatico, foelicum saticum, con semi aromatici molto usati in cucina per le vivande al forno. Nelle isole ponziane  cresce dappertutto.


 


Fenucchje marìne – finocchio marino  sm. Erba,  Chritum maritimum,  che cresce sulle rupi nelle vicinanze del mare, è carnosa per cui, nei periodi di siccità, è preda degli erbivori lasciati in libertà. Una zona del fieno è chiamata: Fenucchje marine.


 


Fenucchiètte – scudiscio sm.  Nerbo, frusta, bstoncino di vimini


 


Fentarìje – finta sf.  Finteria, finzione, apparenza, simulazione, ipocrisia, falsità.


 


Fèrcule – malafemmina  sf.  Donna dedita all’inciucio e alla maldicenza.


 


Fère – delfino s.f.  Delphinus delfi. “A fère pòrte a campà u pescatore” ( il delfino porta da vivere al pescatore), così sentenziavano i vecchi pescatori sulla utilità di questo animale che blocca i pesci in migrazione e li spinge verso la costa rendendo ricco il mare ponziano. Discutere su quanto ho affermato scatenerebbe una polemica, a dir poco, tempestosa. Intelligenti pauca, dicevano i pirati.


I mari e le coste ponziane sono frequentate attivamente dai delfini. Il delfino è un cetaceo.   Esistono diverse specie di delfini. Il più diffuso è la stenella striata, che raggiunge la lunghezza di due metri ed ha il corpo  con striature bianche e nere. Ma vi è anche il tursiope e il delfino comune. Per difendersi dai predatori il delfino si riunisce a gruppo. Spesso si vedono  i delfini che nuotano sulle onde prodotte dalla prua delle navi. Essi si posizionano in un punto preciso dell’onda per farsi trasportare senza consumare energie. La stessa cosa fanno i piccoli che si lasciano trasportare dall’onda generata dal nuoto della mamma.


E’ il tursiope il delfino che ama saltare  tra le onde ed emerge per respirare. I delfini partoriscono nel periodo primavera-estate, dopo dodici mesi di gestazione. Il piccolo viene allattato per diciotto mesi e già dai sei mesi di età inizia a cibarsi. Ogni delfino emette un fischio che potrebbe definirsi la sua carta di identità per il riconoscimento individuale. E’in questo modo che i piccoli, smarritisi,  riescono a rintracciare i genitori.


La vita di un delfino è di circa quaranta anni. Intorno ai dieci entrano nell’età di riproduzione.


Alcuni tipi di pesca e alcuni tipi di reti rappresentano un grave rischio per i delfini che, accidentalmente, possono finire catturati. I nemici più insidiosi per i delfini sono gli squali per i quali il delfino rappresenta la preda ideale.


Cosa molto importante è sapere che i delfini sono mammiferi e non pesci e, come ogni altro mammifero, respira con i polmoni e allatta i propri figli fino al momento dello svezzamento.


 


Fermà – fermare v. Bloccare, arrestare un movimento, frenare, sostare, agganciare, assicurare, fissare.


 


Ferone – delfino sm.. Cetaceo somigliante al classico delfino ma dal comportamento simile all’orca.


 


Ferràmme – brina sf.  Rugiada congelata, canizia incipiente.


 


Ferràre – fabbro sm.  Artigiano che lavora il ferro, A Ponza abbiamo avuto degli artisti. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato Maurino, un personaggio immenso nel suo periodo storico.


 


Ferrètte – forcella sm.  Filo di ferro, ripiegato in due, per fermare i capelli.


 


Ferriàte – inferriata sf. Ringhiera, parapetto di ferro alle terrazze, ai balconi o alle scale.


 


Fésse i pecure – pulicaria sf.  Erba che, si raccoglie,  insieme alla cicoria, al dente di leone, alla  porcellana, al caccialepre,  per preparare un piatto di verdura selvatica molto più gutosa di quella coltivata. E’ un piatto tipicamente ponziano.  Le erbe. pulite e ben lavate, si mettono in una pentola, ricoperte di acqua, con alcune patate e il sale dovuto. Quando le patate sono cotte è cotta anche la verdura. Le patate sono cotte quando si lasciano infilzare liberamente con una forchetta.


A cottura ultimata si riversa il tutto in un colapasta per far scolare l’acqua. Nel frattempo si pigliano le patate, si sbucciano e si tagliano a pezzi discretamente consistenti. In una teglia si soffrigge olio, aglio e peperoncino e qualche pomodoro maturo. Si versa poi la verdura, avendo avuto la cura di stringerla fra le mani per far uscire tutta l’accqua che conteneva,  e le patate. Dieci minuti di insaporimento sono sufficienti. Un consiglio: Perché il profumo possa far arricciare le narici e il sapore possa libidinare le papille gustative è necessario una abbondanza di olio. La verdura, per esprimersi ai vertici,  vuole, fortissimamente,  come quello di Alfieri,  copiosità di olio.


 


Festine – festino sm.  Ricevimento matrimoniale, festa signorile con musica, ballo e rinfresco.


 


Fète – puzzolente agg. Fetido, lezzoso, appestato, che emana fetore grave, disgustoso e sgradevole.


 


Fète i liénte – puzzolente di umido agg. Fradicio, madido.


 


Fetelìne – pasta sm.  Pasta lunga e sottile, capellini.


 


Fetenzìje – sporcizia sf.  Immondizia, cattiva azione.


 


Fetécchje – cilecca sf.  Sbuffo d’aria senza rumore,  cartuccia con carica di lancio avariata, fallimento, delusione.


 


Fetiénte – fetente sm.  Tipo di geranio con fiori vistosi ma poco odorosi e meno belli nell’aspetto rispetto agli altri tipi. Agg. sporco, sudicio.


 


Fettucce – fettuccia sf.  Nastro di stoffa piuttosto stretto.


 


Fetuse –  puzzolente agg.  Che emana un puzzo grave e disgustoso;  impiccioso, ficcanaso.


 


Fiancate – fiancata s.f. Parte laterale dello scafo, bordata.


 


Fianche – fianco sm.  Anca


 


Ficarèlle – pesce fico sf. Gadiculus argenteus, dà luogo ad una discreta frittura.


 


Fiche – fico  sf.  Albero e frutto . Pesce:  pastenula sf. Phicis blennoides. La pastenula è buona soltanto quando non hai altro.


 


Fiche i mare – lampusa, s.f.  Fietola dorata. Vive in mare aperto e si pesca con la rete a strascico, finisce  anche nelle  reti a merluzzo.


 


Fichesécche – fico secco sf.  Fichi seccati al sole, roba senza valore.


 


Fiéne – fieno   sm.  Nome di una zona dell’isola. Un promontorio rivolto ad ovest. che scende da Monte Guardia  fino al mare. Comprende una zona ampiamente coltivata a vigneto. Produce un vino conosciuto un po’ dappertutto. Ma chi  ha reso celebre il Fieno sono stati i personaggi che lo  frequentavano e lo frequentano. Ricordo, tra i trapassati, Peppe Coppa, Salvatore Mazzella,  Angelo Migliaccio, Silverio Coppa, alias bufera, Ninotto Mazzella, alias fèccia, Agosino Mazzella.


I superstiti di questo meraviglioso equipaggio sono Giustino Mazzella e Luigi Mazzella, nessuna parentela tra loro. Luigi, un lavoratore eccezionale, un amico carissimo, un tipo taciturno e isolato. Non cerca la compagnia ma non la disdegna. Al Fieno è sempre ospitale. Giustino, è troppe mpecciuse stu paragone, non è né meglio, né peggio di Luigi. Giustino è Giustino e di Giustino c’è uno soltanto che è lui che ad ottanta anni si alza tutte le mattine alle quattro per andare al fieno. E’  quel credente che, per un percorso erto ed irto,  raggiunge la  vetta per deporre un fiore nella piccola cappella che per lui è “ A purzione i miéze”.


La maggior parte del terreno vinicolo del Fieno, con la morte dei proprietari, è stato abbandonato. Da alcuni anni, però, è sceso in campo Emanuele Vittorio, di mamma ponzese, una Migliaccio,  che sposò un confinato politico, erede di alcuni terreni a cui ha accoppiato altri, comprati. Con l’aiuto di alcuni contadini locali sta producendo “Il vino del Fieno”  che,  per le sue qualità, sta stendendo i suoi tentacoli


ovunque c’è un cultore di questa bevanda.


 


Fiérrefelate – filo di ferro sm.  Materiale di vasto uso in ogni settore della vita.


 


Fiérreviécchje – ferro vecchio sm  Chi compra e rivende ferro vecchio.


 


Fiérze – ferzo s.m. Striscia di telo che, cucita con altre, forma la vela. Drappo, copricuscino. Striscia di lino o di tela ricamata per i capi di corredo.


 


Fiéte – fetore sm. Puzzo, tanfo


 


Figlià – partorire v.  Dare alla luce, figliare.


 


Figliàte – covata  sf.  Nidiata, l’insieme dei figli  nati dallo stesso parto.


 


Fìgleme.- mio figlio


 


Fìglete – tuo figlio


 


Figliuline – Figliolina sf.  Carciofo delle seconda fioritura


 


Filà – filare v. Mollare, allentare,  lasciare scorrere sempre, ma sempre pronto, però, a trattenere. E’ il contrario di tirare.


 


Filabustiére – filibustiere s.m.  Avventuriere di pochi scrupoli.


 


Filacciuole – filaccione s.m. Componente della coffa o palamite. E’ il filo a cui, ad un capo, viene legato l’amo e l’altro è legato al trave.


 


Filàre – filari s.m. Trave di sostegno del boccaporto.


 


Fileggià – fileggiare v. Lo sbattere delle vele perché non ricevono vento favorevole.


 


Filiétte – filetto sm.  Galloni, gradi.


 


Filone –filone sm. Grosso pezzo di pane a forma di fuso, assentarsi dalla scuola di nascosto dei genitori.


 


Finumunne – finimondo sf. Confusione, baraonda.


 


Fiòcche – fiocco s.m. Nome generico con cui si appellano tutte quelle vele a forma di triangolo poste  a pruavia dell’albero di prora.


 


Fiòcenà – fiocinare v. Lanciare la fiocina


 


Fiòcene – fiocina s.f. Attrezzo da pesca formata da un’asta a cui è strettamente unito un arnese di ferro con una serie di dardi muniti di alette snodevoli che si aprono nella ferita senza possibilità di uscirne.


 


Fiore i mare – fiore marino s.m. Sabella spallanzani. Il fondo marino è ricco, ricchissimo di esseri viventi che sembrano fiori


 


Fischjariélle – fischietto sm.  Strumento per fischiare.


 


Fìschje – fischio s.m. Congegno sonoro, collegato al fumaiolo, che mediante la fuga di aria compressa, generata dal tiro di una cordicella,  produce un suono più o meno prolungato. Serve per segnalare la presenza del natante, specialmente nella nebbia,  e le variazioni di andatura.


 


Fisime – mania sf.  Fantasticheria, capriccio, idea che non ha alcun fondamento, angoscia.


 


Fissate – illuso  agg.  Fissato,  che si ostina fissamente su una idea.


 


Fissazione- fissazione sf.  Ossessione, idea fissa.


 


Fite-  star bene agg. Sentirsi bene, essere in buone condizioni.


 


Fitte fitte – frequentemente avv.  Spesso; agg.  denso, fitto, con insistenza.


 


Fiure  – Figura  sf.  Immagine.


 


Flòtte – flotta s.f. L’insieme di tutte le imbarcazioni che formano la marineria di un luogo.


 


Fòche – foca s.f. Mammifero marino con le zampe a forma di pinne. Fino alla prima metà del secolo scorso si faceva notare nelle acque di Ponza. Una certamente abitava nella zona Scoglio rosso- Formiche e un’altra nella zona di Cala Gaetano dove, in estate, salivano nelle caténe circostanti, coltivate a vigneto,  per rubare l’uva.


 


Fògliamòlle – bietola  sf.   Pianta erbacea commestibile.


 


Fòje – irrequietezza sf.  Che ha una smaniosa agitazione, libidine, appetito di lussuria.


 


Fòlaghe – folaga sf.  Uccello


 


Fòleghe – buco sf.  Tana, rifugio, spelonca, anfratto.


 


Fònde– fondo! sm.  Voce di comando con cui si ordina di calare l’ancora.


 


Foravànne – fuoribordo sm. Con questo termine si designa tutto ciò che è all’esterno delle murate.


 


Fòrbece – forbici s.f. Arnese d’acciaio fornito di due lamine che si incrociano per tagliare. Dispositivo in legno saldamente fissato ad una struttura della nave, formato da due pezzi divaricati cone forbici a cui vengono legate le cime che esercitano forti trazioni.


 


Fòre – fuori  prep. Che indica esclusione dal luogo.


 


Fòre é fòre – fuori e fuori avv.  Esternamente, da una etremità  all’ altra..


 


Fòrebuorde – fuoribordo s.m. Con questo termine si designa tutta la superficie all’esterno di una nave.


 


Fracedumme – fradiciume s.f. Umidità, acquosità .


 


Fòrge – forgia sf.  Fucina, attrezzo del fabbro ferraio; narice.


 


Fottere- fare l’amore v.  Fare sesso.


 


Fracasse – baccano sm. Rumore, scalpore; frattazzo.


 


Fraccòmete- amante degli agi sm. Che vuole essere servito.


 


Fracedone – fradiciume agg.  Inetto, incapace, svogliato, marcio, guasto.


 


Fracete – fradicio agg. Guasto, marcio, inzuppato, malaticcio, smunto.


 


Fracetumme – fradiciume sf.  Umidità.


 


Fràffeche – lerciume sm.  Sporcizia, sudiciume.


 


Fraffùse – lercio agg.  Sudice, sporco, unto, moccioso.


 


Fràgnere – frangere v.  Ribollire del mare, fremere. Un proverbio isolano afferma: “quanne u mare fràgne, u pescatore chiagne”.


 


Franchézze – franchezza sf.  Sincerità, lealtà, schiettezza.


 


Franchìgje – Franchigia s.f. Periodo di riposo che si concede ai marinai liberi dai servizi


 


Franfallìcche – piccolo agg.  Svelto, vivace, monello. Sm, denaro.


 


Frantummàgle – Frantumazione sf.  Quantità di rottani.


 


Frasche – frasca  sf.  Ramo fronzuto.


 


Fràstiére – forestiero sm.  Non di famiglia  ponzese e tantomeno  paesano.


 


Frate cugìne- fratello cugino  sm.  Spesso nella nostra parlata  esce fuori il frate cugine e  il  cugino  carnale. Sono due espressioni che servono a catalogare i rapporti fra consanguinei. Sono definiti frate cugine i figli di fratelli, quelli cioè che portano lo stesso cognome. La parentela, in questo caso, dovrebbe sentirsi o essere più stretta


tanto da meritarsi il termine fratello prima del cugino.In opposizione ci sono i cugini carnali che sono figli di sorella e frarello o di sorelle e che portano  cognomi diversi.


A questa simpatica differenza di parentela segue: “ I pariénte so comm’i stivale, cchiù so stritte é e cchiù fanne male” ;  “ I frate stanne int’u cunvènte”;  “ Primme u dènte é pò u parènte”.


 


Fraucatore – muratore sm. Manuale edile.


 


Fràuche- muratura sf.  Costruzione in atto.


 


Fràule – fragola sf.  Pianta e frutto.


 


Frauline – fragolino s.m. Pagellus erythinus, del gruppo sparaidae. Fa parte dei pesci di prima categoria che sono quelli che si possono cucinare in bianco ( lessato con olio, aglio, prezzemolo, limone e peperoncino ) e alla brace.


 


Fravàgle – fravaglia s.f. Si vuole indicare, con questo termine, roba minuta e di scarso valore, novellame, pesci piccolissimi.


 


Freccecàmiénte – smania sm.  Irrequietezza, irritabilità, stropicciamento.


 


Freccecariélle – vispo agg. Pronto, guizzante, lesto, irrequieto, insofferente, maneco, incline al sesso.


 


Freccechjà – stimolare v. Solleticare, eccitare, prendere in giro.


 


Fréche – giro s. f.  Quantità circolare di cima, di rete, di cordicella, di filo che si ammucchia secondo il sistema e l’uso marinaresco.


 


Frecule – briciola  sf. Piccola parte di chicchessia.


 


Freddegliuse – freddoloso agg. Che patisce il freddo.


 


Fremmàte – fermata sf.  Sosta, soffermarsi.


 


Frènièlle – frenello s.m. Cima o catena legata ai due lati della barra del timone.


 


Frennesìje – frenesia sf.  Delirio, desiderio smanioso e irragionevole, pazzia.


 


Frescure – frescura s.f. Ribollire della superficie marina per la presenza di pesci o di corrente marina.


 


Frése – cotone s.f.  Cotone ritorto per sarcire le reti da pesca.


 


Fresélle – Pane biscottato sf.  Pane rimesso in forno dopo la cottura , serve per riserva e per approvvigionare i natanti  o chi non può ricevere il pane fresco giornaliero.


 


Fresòtte – soglia s.m. Friso, fasciame più alto, di buona consistenza. Bordino laterale che serve a chiudere il fasciame esterno.


 


Frettàte – frittata    sf.  Vivanda di uova sbattute fritte in padella; commettere un grave errore: è fatte a frettate; conciare male una cosa.


La frittata, quella che si mangia, è na còse sèrje. Nella casa dove mangio si preparano quattro tipi di frittate e per tutte ci vogliono le uova. Con uova soltanto, con le cipollle, con la pasta, con le patate. Non so come riesca la mia cuoca, dopo aver sbattute le uova con un po’ di sale  e versarle in una padella dove l’olio già frigge, a cavare una pietanza che  per morbidezza e sofficità è da paragonarsi  ad un tirami sù Per quella di cipolle, queste vengono tagliate a listelli sottili e poi fritte, senza farle bruciare. Con una squamarola, per far colare l’olio, si prendono e si versano in una insalatiera per farle raffreddare. Si aggiungono le uova e il sale dovuto, si rimescolano e si riversano nuovamente nella padella che, con l’olio, è già sul fuoco. Per rivoltarla si usa un piatto che si pone sulla padella e la si capovolge. Quando è cotta, e quì ci vuole molta attenzione, dato che è intrisa di olio  si pone in un piatto dove verrà sistemata della carta assorbente. La frittata di maccheroni è superba. Qualsiasi tipo di pasta è adatto ma c’è sempre una nipotina che telefonicamente sceglie i maccheroni che una volta lessati vengono fatti raffreddare e poi versati in una scodella dove si trovano già le uova sbattute con il sale dovuto, una montagna di prezzemolo tritato e un altrettanto rilievo di parmigiano grattugiato. Si mescola ben bene mentre la padella è già sul fuoco. Allo sfrigolio dell’olio si riversa il tutto nella padella e non si fa brutta figura facendo la scarpetta  con il dorso dell’indice della mano destra, chi è mancino farà la scarpetta con la sinistra, così da mandare tutto in padella. Con la forchetta si  renderà uniforme il contenuto e si faranno buchi per la cottura interna. Bisogna stare molto attenti alla cottura per non avere, poi, la mortificazione dell’uovo crudo. La frittata deve cuocere fino a diventare color rame  e ci si accorge guardando il bordo allargato dalla padella con  una forchetta.  Quando si è certi della rosolatura perfetta, si prende il solito piatto, lo si appoggia sulla frittata e, tenendo la padella per  il manico, la si capovolge e si fa cuocere l’altra parte. Anche in questo caso quando la si toglie dalla padella è buona  abitudine mettere della carta assorbente dove la si deve poggiare. Le patata per la frittata devono essere tagliate a pezzi molto, ma molto piccoli, l’ultima volta che l’ho mangiata le patate erano  state grattuggiate, che finezza, e  si devono friggere  e, come per gli altri casi, si devono raffreddare. Unire poi il sale dovuto, il quintale di prezzemolo tritato, la tonnellata di pecorino  e, per darle un  tocco magico, una piccola aggiunta di pepe. Basta con le frittate, la bocca è piena di sputazzèlle.


 


Frettàzze – frettazzo s.m. Spazzolone legato ad una asta, usato per pulire la coperta.


 


Frevàre – febbraio sm.  Mese dell’anno. “ Curte é amàre”, recita un proverbio isolano. E’  il più piccolo di mesi, conta solo ventotto giorni e cresce a poco  a poco. Devono passare quattro anni aumentati di un millimetro. Quasi sempre  è animatore e apportatore di  temporali paurosi, libecciate e ponentate da far scordare l’aria aperta. In parole misere: é un brutto mese. Ma non tutti sono d’accordo su questa definizione, specialmente i giovani. Per essi è il mese dei sogni, è il mese di San Valentino, il Santo che protegge gli innamorati.Un santo  conosciuto in tutto il mondo, anche   fra gente di credo diverso e differente. Tutti sanno la sua festa ma non tutti, credo pochissimi, conoscono la sua storia. Morì martire perché unì in matrimonio una giovane di religione cristiana con un legionario romano che era pagano. Siamo nel periodo delle persecuzioni,  periodo, per quanto ci riguarda direttamente, che accomuna Santa Domitilla ed altri martiri che furono prigionieri a Ponza. Persecuzioni che sotto l’imperatore Aureliano  ripresero con più decisione e con più forza a  combattere i cristiani. E Valentino, che era molto conosciuto,  non riuscì a saltare fuori dalla rete che l’aveva circuito.Morì come gli altri. La sua condanna a morte fu per  flagellazione. Correva l’anno 273 d.C.. Come ha fatto San Valentino a diventare poi il Santo degli innamorati non si sa.  Intorno alla sua figura ruotano diverse leggende con un fondo di verità. Una delle storie più accreditate che lo riguardano propugna che mentre era in carcere in attesa della esecuzione della sentenza si innamorò di una giovane cieca, figlia del guardiano e che attraverso la sua fede riuscì a dare la vista alla fanciulla. A tale riguardo si racconta che Valentino prima di uscire dal carcere per andare incontro alla morte mandò un biglietto a Giulia, così si chiamava  la ragazza, con un messaggio di addio che si concludeva con “dal tuo Valentino”. Una frase, una espressione che con il tempo è diventata sinonimo di un amore vero e sincero. Quando venne ucciso e sotterrato Giulia accanto alla sua tomba piantò un albero di mandorle . Il mandorlo  divenne  simbolo  di un amore duraturo.


 


Frève – febbre sf.   Elevazione della temperatura corporea, desiderio violento.


 


Friariélle – broccoletto sm.  Varietà di cavolo con infiorescenza giovanile compatta, carnosa e in massima parte con fiori  ancora atrofizzati.


Si raccolgono prima che schiudano i fiori.


Più che un contorno ad una vivanda lo ritengo una pietanza perchè è difficile fermarsi ad una forchettata quando il vassoio è pieno. E una ghiottoneria incredibile. I friariélle sono talmente appetitosi che a tavola bisogna essere misurati e corretti altrimenti chi è moscio rimane con l’acquolina in bocca.  Pur essendo una leccornia, è un piatto semplicissimo: vanno messi in un recipiente con acqua, poi, lavati,  vengono rimessi in un colaposta su cui deve scorrere acqua dal rubinetto.Dopo averli ben lavati vanno posto nuovamente nel colapasta perché devono scolare fino all’ultima goccia di acqua Ciò fatto si mettono in una “tièlle”, padella per le fritture, dove l’olio ha saltellato con l’aglio e il peperoncino. Tolto l’aglio vengono messi i friariélle  che si devono coprire per qualche minuto per farli ammosciare. Poi si toglie il coperchio e si fanno cuocere per pochi minuti a fuoco sostenuto. Non bisogna farli annerire, come dice Giustino devono cuocersi da “Viérde a viérde”, da verde a verde.


Una piccola raccomandazione: non mettere il dito davanti alla bottiglia dell’olio e abbondare  con il peperoncino. Alla cuoca è inutile il secondo consiglio, essa, forte del proverbio isolano  “a marite musce mine pépé assàje” sa come deve comportarsi perché è direttamente interessata.


 


Friccecà – eccitare v.  Dimenarsi, agitarsi, tremolare.


 


Friccecariélle – provocante agg. Vivace, svelto, sollericante..


 


Fridde – freddo   sm.  Gelo, che ha poco calore.


 


Frìjere – friggere v: Cuocere in padella con olio o altro grasso.


 


Frische – fresco agg.  Di cibo preparato da poco, di animale ucciso da poco, di pesce appena pescato; teso, agitato, non stanco.


 


Frise – friso s.m. Bordo dell’opera morta.


 


Fròbbece – forbicie sf.  Arnese di ferro formato da due lame che si incrociano e permettono di tagliare.


 


Fronne – foglia sf.  Appendice dei rami di una pianta


 


Frucone- forcone sm.  Grossa forca da stalla  con rebbi di acciaio.


 


Frucunià- frugare v.  Rovistare, rimuovere.


 


Frummèlle – bottone sf. Dischetto bucherellato di varia materia che, infilato in un occhiello o in una asola, unisce due parti di un vestito.


 


Frungille – fringuello sm.  Uccello; agg. di bambino svelto e vivace.


 


Frusce – fruscìo s.m. Sibilo, spiffero; colore nel gioco del poker.


 


Fruscià- darsi arie v. gloriarsi, vantarsi.


 


Fucarazze – falò sm.  Fiammata causata da una catasta di sterpaglie o legname fuori uso per una solennità o per distruggere le erbe secche e gli sterpi in campagna.


 


Fucarèlle – Stretta alla gola sf.  Una mossa violenta per percuotere una persona.


 


Fùcete – floscio agg.  Cascante, snervato, flaccido, avvizzito, molle.


 


Fucètele – sterpazzola sf. Uccello migratore.


 


Fuchènze – focosità sf. Di persona piena di fuoco, veemente, iraconda, infiammata, ardente. Indefinito senso di calore  o bruciore allo stomaco o ad altra parte del corpo.


 


Fuchià –  avvampare v. Alluminare. Striscia argentea  e lucente prodotta di notte dal movimento repentino dei pesci.


 


Fuchiste – fuochista s.m. Marinaio addetto al governo delle caldaie. Con questo nome si indicava anche uno scarafaggio che, nelle cucine delle navi, si trovava sempre tra il pane per cui anche il nome di mangiapane.


 


Fucone – braciere sm.  Catasta di legna accesa in un recipiente per riscaldare l’ambiente.


 


Fucore – ardore sm.  Passione, calore, veemenza, impeto, infiammazione.


 


Fucuse – impetuoso agg. ardente, bramoso, infuocato, vivace, acceso.


 


Fujere – fuggire v.  Scappare, dileguarsi, sparire, svignarsela, correre, svincolarsi.


 


Fuìtjve – fuggitivo sm.  Evaso, scappato.


 


Fuiute – fuggito agg.  Scappato, sottratto, dileguato, svignato, svincolato.


 


Fulimme – fuliggine  sf. Nerofumo, deposito di sostanze polverose.


 


Fumaiuole – fumaiolo s.m. Grosso cilindro, sistemato sopra la sala macchina,  da cui esce il fumo provocato dalla accensione dei carburanti.


 


Fumète – annebbiamento sf.  Offuscamento dovuto al fumo o alla polvere.


 


Fumiénte – suffumigio sm.  Fomenta, bagnuolo, far diventare fumose, vaporose, alcune sostanze medicamentose anche per disinfettare l’ambiente.


 


Fune – fune s.f. Cima, corda, cavo, gomena.


 


Funeciélle – spago s.m. Filo ritorto a mano, usato per legare. Cordino, spago.


 


Funnale –  profondità sm.  Fondale, profondità delle acque; agg.  profondo.


 


Funnarale – funerale sm.  Esequie, cerimonia funebre.


 


Funne – fondale s.m.  Superficie solida di terra che sta al di sotto della massa liquida del mare. Misura della profondità del mare in un determinato punto, fondo.


 


Funniélle – fondello sm.  La parte superiore del retro dei calzoni, toppa.


 


Funtanèlle – Fontanella sf. Centro del cranio dei neonati.


 


Fuoritutte- fuoritutto sm.  Con questa espressione si indica che la lunghezza e la larghezza di una imbarcazione è stata misurata tra i punti estremi della poppa e della prua o fra i punti esterni delle murate.


 


Furane – foraneo s. m. Dicesi  di tutto ciò che si trova al di fuori del porto. Ponentino, maestralotto.


 


Furbècià – sparlare v.  Dire male, fare maledicenze, tagliare, sforbiciare.


 


Furcenèlle – sterno sf.  Osso piatto nella parte anteriore del torace..


 


Furchèttate – forchettata sf.  Quanto si può prendere in una volta soltanto con la forchetta.


 


Furchètte – forchetta s.f. Arnese di legno a forma di V  che si incastra nelle murate dei piccoli natanti per sistemarvi i remi,   l’antenna della vela ed anche l’albero così da tenere libera la coperta. Arnese da tavola, fa parte delle posate,  per infilzare le vivande.


 


Furchèttone – forchettone  sm. Grossa forchetta per girare nella pentola o per tenere fermo un grosso pezzo di carne da tagliare. Forcone.


 


Furcine – forcina sf. Forcella, filo di ferro ripiegato in due per fermare i capelli. Bastone di legno che, nella parte superiore termina a V, usato per sostenere le corde a cui sono stati stesi i panni per asciugare.


 


Furcone – forchettone sm.  Grossa forca da stalla  con i rebbi di ferro.


 


Furmaggètte – formaggetta s.f. Il pomo rotondo e piatto che si pone alla estremità degli alberi  e delle aste di bandiera. Galletta.


 


Furmèlle- bottone sf. Dischetto forato di varia materia che si infila in un occhiello o in una asola per tenere unite due parti di un vestito.


 


Furmicule – formica sf.  Insetto


 


Furnacèlle – fornace sf. Luogo del focolare, appositamente modellato, per la sistemazione delle pentole per cucinare; scavi nel tufo.


 


Furnàre – fornaio sm.  Chi fa o vende il pane.


 


Furnése – fornese agg. abitante di Le Forna. Questa zona dell’isola venne occupata e abitata nel 1774 quando il Re di Napoli dispose il trasferimento di un gruppo di famiglia torresi, di Torre del Greco. Essi sono i Vitiello, Aprea, Feola, Romano, Balzano, Avellino, Sandolo, Di Meglio, Morlè. Ritengo che il nome Le Forna derivi dalle fornaci che nel luogo vennero impiantate per la cottura del caolino e della bentonite, due minerali di cui la zona era ricchissima In seguito lo sfruttamento di questi minerali assunse proporzioni gigantesche. Non vi era giorno che una nave mercantile non attraccasse al pontile della Samip per caricare il minerale e trasportarlo in ogni parte del mondo.


 


Furone – pseudoorca s.m. Cetaceo appartenente alla numerosa famiglia dei delfini a cui somiglia fisicamente ma dal comportamento affine all’orca.  E’ un tursiade?


La differenza tra a fère e u furone è questa:  la fére rincorre i pesci per spingerli lungo la costa dove  li circuisce per mangiarli,  permettendo così al pescatore di cingerli con la rete, il furone  rincorre i pesci solo  per acchiapparli disperdendoli.  Inoltre il furone costeggia le reti poste sul fondo per afferrare i pesci che sono ammagliati e, nello strappo, distrugge il filato. La fère non caccia pesci ammagliati. Il pescatore  è nemico acerrimo del furone. Quando, nelle acque delle lampare, passeggia il furone è più producente tornarsene in porto.


 


Furtiére – olezzo s. m. Odore e fragranza di esalazioni  marine.


 


Furtunale – fortunale s.m. Tempesta, burrasca con mare fortemente agitato.


 


Furzate – vigoroso agg. Forte, robusto, gagliardo.


 


Furzive – forzoso agg. Obbligatorio


 


Fuscèlle – recipiente sf. Canestrino in cui viene messa la ricotta.


 


Fuschìje – foschia sf.  Caliggine, nebbia, stato di opacità dell’aria dissimile dalla nebbia. Attrezzo di legno, usato nella carpenteria navale, per disegnare tavole di qualsiasi forma.


 


Fuse – fuso s.m. Attrezzo di legno per filare la lana,  maschio del merluzzo. Agg. Liquefatto, fuso.


 


Fuste – botte sm.  Recipiente di legno per mettere il vino, di  capacità superiore a quella della botte che è di sei barili. Il fusto ha una capacità che  va da dodici a diciotto barili.


 


Fute –fondo agg. Profondo, alto.


 


Futézze – profondità  s.f. Spessore del mare in un determinato posto.


 


Futtute – malandato agg. Mal ridotto, di chi ha perduto ogni vigore fisico, rovinato; sf. atto sessuale, coito.


 


G


 


Gabbà – gabbare v. Ingannare, beffare, illudere.


 


Gabbje – gabbia s.f. Vela quadra dell’albero maestro.


 


Gaffe – gaffa s.f.  Alighiero, comunemente chiamato mezzo marinaio. Formato da una asta a cui è incastratato un uncino. Serve ad agganciare per tirarsi sotto. C’è il gancio semplice e  quello doppio.


 


Galantòme – galantuomo sm.  Uomo onesto, dabbene, persona d’onore.


 


Galiòte – discolo agg.  Birichino, vivace.


 


Galitte – garitta sf.  Torretta rotonda con feritoie per riparare la sentinella di servizio.


 


Galleggiamènte – galleggiamento s.m.  La linea secondo la quale l’acqua del mare, in calma, lambisce lo scafo. La sua posizione varia a secondo del carico per cui si distinguono varie linee di galleggiamento.


 


Gallenàre – pollaio sm.  Luogo dove si tengono e si allevano i polli. Vocio di donne.


E in un luogo come quello venne portato a riposare il pappagallo della baronessa che una mattina, come era solito fare, nell’andarlo a salutare lo trovò talmente malconcio tanto che non  rispose  al suo saluto, come era solito fare. Si impressionò,  rese il pappagallo, chiamò l’autista e, a folle velocità, si fece accompagnare dal veterinario di fiducia. Il medico lo guardò attentamente, rinvoltandolo continuamente. Una visita accurata e completa con misurazione anche della pressione  e dei battiti cardiaci. Alla fine il veterinario pose l’animaluccio, con un manto di colori stupendi, nelle mani della baronessa  dicendole: “L’animale non presenta menomazioni o danni di alcun genere. E’ momentaneamente stanco ed ha bisogno soltanto di qualche giorno di riposo lontano dai luoghi che frequenta abitualmente”. La baronessa  pensò subito alla fattoria. Saldò l’onorario, salutò il medico ed uscì. Sulla soglia c’era ad attenderla l’autista che, prima di aprirle la porta, chiese notizie  sulle condizioni dell’animale che lui sapeva tanto caro alla padrona. “Niente di grave, le disse la baronessa, ha solo bisogno di riposo per cui noi adesso andremo alla fattoria di Campo Inglese e lo affideremo alla attenzione di Ludovico e Filumena, il fattore e la moglie”


L’autista avviò la macchina che, sempre a velocità sostenuta, raggiunse la fattoria Campo Inglese. Due colpi di clacson fecero accorrere Ludovico al cancello mentre Filumena, da dietro una colonna sbirciava per vedere chi scendesse dalla macchina. Quando vide la figura della padrona corse anche lei al cancello facendo un capolavoro di inchino. La baronessa, con la destra prese il pappagallo che teneva riposto sull’avambraccio sinistro, liberandosi la mano che contribuì alla sistemzione del piumaggio, poi,  rivolgendosi al fattore disse: “Caro Ludovico, vedi questa bestia, mentre le parlava ci fu una interruzione di Ludovico: E’ bellissima, ha dei colori sfavillanti e la moglie, accarezzandogli la testa, continuò dicendo: io non ho mai visto un uccello bello come questo. La Baronessa, un po’ indispettita per l’interruzione, riprese a parlare dicendo: “questa bestiolina ha bisogno di alcuni giorni di riposo. Mi raccomando! Guai a voi se dovesse succederle qualcosa”! Mise il pappagallo nelle mani del fattore , si girò, salì in macchina ordinando all’autista di rientrare a casa.


Mentre Ludovico restò pensoso, la moglie corse a chiudere il cancello e poi ritornò da Federico che stava  ancora immobile a fissare l’animale. Cosa dobbiamo fare? chiese alla moglie che invece di rispondere prese la bestiola e si avviò, seguita dal marito, verso il pollaio. Un pollaio pieno di galline di ogni specie e di ogni razza. Aprì il cancello che il marito richiuse subito alla sue spalle. Fece una panoramica generale poi prese il pappagallo e lo depositò per terra. Il chiocciare di tutte quelle bestie era da stordimento. Il pappagallo si mise in cammino rasentando la parete fino ad arrivare all’angolo dove si fermò Un galletto, che l’aveva adocchiato e  lo aveva  seguito,  quando lui si fermò gli fece alcuni giri intorno inondati da un dolce chicchirichì. Poi gli saltò sulla schiena dove gorgheggiò ancora di più, al che il pappagallo, malato ma intelligente,  girando il collo verso l’alto e guardandolo negli occhi, gli disse : “Caro amico, io quì sono venuto per riposarmi e non per prenderlo in quel posto”.


 


Gallenèlle – gallinella s.f.  Pesce, trigla lucerna, schiribilla,. Vive su fondali sabbiosi ad oltre cento metri di profondità. E’ diffusa nei nostri mari. Si impiglia nelle reti da posta calate per il merluzzo. Il brodo che produce la sua carne è eccellente, più saporito  della carne stessa.


 


Gallètte – galletta s.f.  Tipo di pane biscottato, a lunga conservazione,  che sulle navi sostituiva il pane quando mancava. Su ogni imbarcazione vi era sempre una provvista. La galletta, di forma quadrata o rotonda,  era un pane biscottato senza sale per cui anche se tenuta in luoghi umidi, come poteva essere su un gozzo o su  una nave, non si impregnava di acquosità, anzi la rifiutava, mantenendo inalterate  tutte le sue qualità e le sue prerogative.


Negli anni in cui la pesca delle aragoste era florida, con la partecipazione di tanti gozzi, quasi tutte le case dei pescatori ponziani erano piene di gallette che venivano confezionate in un forno situato in via Corridoio, alle spalle del portone di Pascarella. Un panettiere di Castellammare di Stabia, di nome Gennaro, Gennaro u gallettare, visto la tanta richiesta da parte dei pescatori ponzesi, che mangiavano gallette per circa sei mesi, si trasferì a Ponza per confezionarle.


Galletta è anche la formaggetta, quel  pomo circolare e piatto chi si pone sulle testa d’albero e sull’asta della bandiera.


 


Gallune – galloni sm.  Gradi sulle maniche di una divisa.


 


Gamèlle  – gamella s.f.  Recipiente in cui viene versata la minestra destinata all’equipaggio. Essere di gamella per un marinaio rappresentava il periodo in cui era destinato alla amministrazione della mensa.


 


Gamelline – gamellino s.m. Scodella metallica.


 


Gance – gancio s.m. Arnese di ferro dall’uso più disparato. Cazzotto.


 


Gangamo – rete s.f. Attrezzo da pesca. Lo stesso che “ancanèlle”.


 


Garàge – autorimessa sm.  Locale per il deposito dell’auto


Garbine – garbino s.m. Vento o corrente proveniente da SO, da libeccio.


 


Garbuliàte – raggirato agg. Abbindolato, circuito.


 


Garganèlle – a garganella  loc.avv. Il gorgogliare del liquido che si beve.


 


Gargarisme – gargarismo sm.  Sciacquo della gola con un medicinale liquido.


 


Garge – branchia s.f. Organo respiratorio dei pesci.


 


Garegliane – garigliano s.m. Vento da ENE che spira dalla foce del fiume Garigliano.


 


Gattò – timballo sm.  Pietanza a base  di patate lesse schiacciate con uova, salumi e latticini, cotta al forno  in uno stampo.


 


Gavitèlle – gavitello s.m. Piccolo galleggiante di sughero, se di   metallo consiste in una cassa vuota, impermeabile, che generalmente ha  la forma di due piramidi o di due coni uniti per la base. Il suo uso è di  segnalare qualsiasi cosa che il mare nasconde.


 


Gazzìrre – gaggia  sm. Pianta delle Mimosacee, con fiori gialli e odorosi ed è detta anche mimosa


 


Gèlatare – gelataio sm.  Chi fa e vende gelati.


 


Gelune – gelone sm.  Infiammazione della pelle delle mani, dei piedi e delle orecchie a causa del freddo.


 


Geluse – geloso agg  Tormentato dal dubbio di perdere l’amore della persona amata o delle proprie cose.


 


Gelusìje – gelosia  sf.   Invidia, persiana, serranda.


 


Gèniale – geniale agg.  Piacevole, simpatico, che va a genio.


 


Geniuse – voglioso agg. Desideroso


 


Gesùite – gesuita agg. Ipocrita, falso.


 


Ghiaia – ghiaia sf.  Ciottoli e  breccia levigati dal mare.


 


Ghiànche i ll’uocchje – bianco degli occhi  sm. Sclerotica, membrana esterna del globo oculare.


 


Ghianéste – ginestra sf.  Pianta. con fiori.


 


Ghiurnate – giornata sf. Lo spazio di un tempo di ventiquattro ore.


 


Giàcante – gigante agg. Aitante, vigoroso, forte.


 


Giacchètte – giacca sm. Indumento sia maschile che femminile, giubba, casacca.


 


Giappunése – giapponese s.f. Rete sarcita con una corda dal diametro di uno-due centimetri, di forma quadrata su cui viene posta, alla rinfusa, merce da caricare o scaricare.


 


Giardinètte – giardinetto s.m. Nome che designa quella parte della nave, a dritta o a sinistra, che si arrotonda per formare la poppa. Anticamente queste parti si ornavano come se fossero verande.


 


Giarre – brocca s.f. Bicchiere, di vetro o di metallo, con manico


 


Giésummine – gelsomino sm. Pianta con fiore.


 


Gilè- gilè sm. Panciotto, sottogiacca da uomo senza maniche.


 


Ginocchje – ginocchio s.m. Parte centrale del remo che si appoggia allo scalmo o che entra nella scalmiera. Parte della gamba che permette l’articolazione del femore con la tibia e perciò della coscia con la gamba.


 


Giòbbe – cattiveria sf. Tiro birbone,  cattiva azione preparata di nascosto, attività lvorativa.


 


Giovanòtte – giovanotto s.m. Questo nome si dà a quei giovani marinai che non hanno compiuto i due anni di navigazione e che vengono comandati ai servizi minori.


 


Girà – girare v.  Virare. Con questo termine si indicano tutte le manovre che vengono effettuate per dare un corso diverso alla navigazione o per compiere determinate manovre durante l’ormeggio.


 


Gire i  bùssele – giri di bussola s.m. Operazione che si compie per la rettifica della bussola in ragione della deviazione magnetica.


 


Giudicate- pretura sm.  Ufficio giudiziario.


 


Giudìzje – giudizio sm. Senno, criterio, avvedutezza.


 


Giudeziuse – giudizioso agg. Saggio, attento, accorto, prudente.


 


Giunchiglje – narciso sm.  Pianta con fiore.


 


Giùrnale – giornale s.m. L’insieme di libri dove vengono annotate tutte le variazioni che succedono su una nave: personale, imbarco e sbarco della merce, consumo del carburante, gli elementi del cammino, le manovre. Quotidiano con le notizie del giorno precedente.


 


Gliàndere – ghianda sf.  Frutto della quercia o del leccio.


 


Gliòmmere –  gomitolo s.m. Filo ravvolto a forma di palla,  groviglio.


 


Gliute – andato  agg. Participio passato del verbo andare.


 


Gnaccà – sporcare v.  Imbrattare, insudiciare.


 


Gnaravòttele- scarafaggio sf.  Insetto di colore nero che vive nelle case.


 


Gnàstre – impiastro sm.  Medicamento emolliente che si applica sulla parte malata, cataplasma. Imbroglio, persona noiosa.


 


Gnègnere– ingenuo agg. Stupidone, grullo, idiota, imbecille.


 


Gniaccate – sporcato agg.  Insudiciato.


 


Gnore – suocera sf. La mamma della moglie. Sm.  Padre della moglie. E’ l’articolo a definire il genere.


 


Gnòstre – inchiostro sf.  Composto liquido, nero o colorato, che serve per scrivere.


 


Gnummature – impiombatura s.f. Unire due pezzi di corda di canapa o di acciaio intrecciando le loro estremità. In genere l’impiombatura ha la medesima circonferenza della corda per consentire il passaggio in una carrucola. L’impiombatura si fa anche alle estremita delle cime  per ottenere la cassa o per non farle  sfilacciare.


 


Gnurante – ignorante agg.  Ignaro, inconsapevole, incolto, analfabeto, idiota, zuccone.


 


Golètte – goletta s.f. Veliero a due alberi con bompresso.


 


Golfe – golfo s.m. Ampia insenatura che contiene baie e rade.


 


Gradélle – gradino sm. Scalino, ripiani di pietra o di calcestruzzo che si dispongono l’uno sopra l’altro, in piano inclinato, così da poter salire.


 


Grafometre – grafometro s.m. Apparecchio misuratore di angoli orizzontali. E’ la metà di un cerchio, graduato con un regolo, per effettuare i rilevamenti. E’ posto sulle due alette della plancia di una nave.


 


Granàte – melagrana sf.  Frutto del melograno, il termine è usato anche per la pianta.


 


Grànele – chicco sm.  Acino di grandine, di uva o di qualsiasi  altro frutto.


 


Granetìne – granturco sm.  Frutto della pianta di granturco.


 


Granone – granturco sm. Mais, frutto della pannocchia.


 


Grariàte – gradinata sf. Scalinata, ordine di più gradini.


 


Gratisse – gratuitamente agg. Regalato.


 


Gravante – corpulento agg. Pesante.


 


Grazià – graziare v. Agevolare, propiziare, facilitare. Termine marinaresco per definire quelle condizioni di mare che permettono al pesce di arrivare fino alla costa.


 


Grecalate – grecalata s.f. Sventolata e mareggiata da NE.


 


Grieche é levante – greco e levante s.m. Vento che spira da quella direzione.


 


Griéche é tramuntane – greco e tramontana s.m. Vento freddo che spira da NNE.


 


Gruosse – grosso agg. Grande, alto, pesante.


 


Gruppàte – piovasco s.f. Scroscio, acquazzone, rovescio di pioggia.


 


Gruppe – difterite sm.  Malattia infettiva dei bambini che colpisce  particolarmente la gola.


 


Grussuciélle – grandicello agg. Giovincello.


 


Guaglione – ragazzo sm. e f.  Giovinetto, maschietto o femminuccia.


 


Guagliunère – ragazzaglia sf.  Accozzaglia di ragazzi vocianti.


 


Guantiére- vassoio sf. Piatto grande di diverse forme e dimensioni con cui si portano a tavole le vivande,  le tazze di caffè e i bicchieri con  le bibite.


 


Guarracine – castagnola s.m.  Canario largo. Vi sono due specie: la  castagnola nera, chromis chromis, con il corpo ricoperto di squame bruno scuro con una macchia chiara al centro di ogni scaglia e la  castagnola rossa, anthias anthias, dall’aspetto vivacissimo con colori che vanno dall’arancio al rosso rubino.


Il guarracino vive a branchi in zone scogliose. Si cattura con le nasse.


Questo piccolissimo pesce ha consentito ad un ignoto poeta  e ad  un musicista, ignoto anch’esso,  di dar vita , nel 1700, ad una celeberrima canzone napoletana dal titolo: Lo Guarracine.  Una canzone che ha fatto il giro del mondo.


Al guarracine venétte a  voglia di sposarsi   e con un vestito nuovo, tutto alliffato, andava in giro di qua e di là, sott’acqua, in cerca  di una fidanzata. Na bèlle sardulélle affacciata ad un balcone attirò la sua attenzione ed il guarracine incaricò una vavose di fare la ruffiana e di portare la sua imbasciata d’amore alla bella sardina. Una patella, accortasi di quanto stava avvenendo, portò la spia a quel chiochiero del fidanzato e rovinò ogni cosa. Ebbe inizio sott’acqua una violenta e feroce battaglia fra intere schiere di pesci divisi in due partiti. Un grandissimo numero di pesci, di tutte le razze e di tutte le profondità, si armò fino ai denti per darsele di santa ragione. U funne paréve Waterloo. I sénghe di scògle èrene chine i muorte.. La battaglia non ebbe esito. Il poeta, per il tanto parlare, la canzone è lunghissima,  non ebbe più la forza per proseguire e chiese un sorso di vino per rinfrescarsi. Se ne fece un fiasco.


 


Gulfate – golfata s.f. Ampia insenatura.


 


Guvernà – governare v. Dirigere un natante usando il timone.


 


I  J


 


I – i  art. m e f. I, le. Prep. Di.


 


Jàcuvélle – abitudine sf. Uso continuato e frequente di intrigarsi e di pettegolare.


 


Jàle – gichero sm.  Giara, pianta erbosa.


 


Janàre – strega sf.  Donna perfida e malvagia.


 


Jancàcce – biancastro agg.  di colore quasi bianco, chiaro.


 


Jànche – bianco agg.  Candido, latteo, niveo.


 


Janchìà – biancheggiare v. Dare la calce, imbiancare, impallidire.


 


Janèstre – ginestra sf. Pianta e fiore. Da un “Memorando” stilato da una commissione spedita a Ponza  con una Ministeriale del ministro dei Lavori Pubblici, per “Sovrano volere”, nel febbraio 1858 leggo che: “Questa pianta che spontanea cresce sull’isola da pochi anni  e che gli isolani l’ànno propagata per mezzo di vivai per garantire le coltivazioni dai danni dei sali marini, ma ben altro potrebbe ottenersi da siffatta pianta la quale per questo è utile alle industrie  ed agli usi della vita della gente meno agiata per tanto è sconosciuta e negletta.” E’ da ritenersi che la ginestra è arrivata a Ponza  dopo, molto dopo, il gruppo dei colonizzatori. E’ stata usata come frangivento fino all’ultimo periodo di coltivazione della terra. Le foglie, i fili,  di ginestra sono stati  e lo sono ancora, per quei pochi produttori, usati per legare i tralci della vite alla armatura di canne  che i contadini mettevano in atto per tenere sistemate le viti. La ginestra, come tutte le piante, sboccia in primavera e a luglio inoltrato le foglie, che sono simili a degli cespugli di steli,   hanno raggiunto una certa lunghezza. Il cespuglio intero viene tagliato e messo a seccare. Poi vengono staccati uno per uno e si formano dei mazzetti  che si conservano fino al periodo, gennaio-febbraio- marzo,  in cui si usano per legare i tralci. Prima di usarli si mettono a bagno per farli acquistare elasticità .


 


Jastemmà – bestemmiare v: Imprecare, spergiurare.


 


Jàte –andato agg. Mosso da un posto.


 


Jatte – gatto sf.  Animale casalingo.


 


I bòtte – subito avv. Immediatamente, improvvisamente, senza perdere tempo.


 


Jénchere – riempire v.  Empire.


 


Jénnere – genero sm.  Il marito della figlia.


 


Jéttature – iettatura sf. Iella, malocchio, fascino malefico.


 


Jétte – getto sm.  Germoglio, luogo per buttare giù le fascine.


 


Jétteche – tisico agg.  Di debole costituzione, gracile, cagionevole, malandato, debole, mingherlino, patito, delicato. “Jétteche e pazze se piglene i razze” sancisce un proverbio isolano.


 


Imbande – imbando s.m. Posizione di una cima allentata. Una cima non tesa.


 


Imbarcà – imbarcare v. Mettere su una nave merce e gente. Si imbarca anche un colpo di mare.


 


Imbarcazione – imbarcazione s.f. Qualunque tipo di galleggiante.


 


Imboccature – imboccatura s.f. Ingresso di un porto o di un canale.


 


Imbracà – imbracare v. Legare con una corda o una catena un qualsiasi oggetto per caricarlo o scaricarlo.


 


Innàre – gennaio sm. Primo mese dell’anno.


 


Intrasàtte – tmprovvisamente avv. Senza avvertimento.


 


Ionte – aggiunta sf. Pezzetto supplementare,contentino.


 


Isse – egli pron. Esso, lui.


 


Ittà – gettare v. Buttare, lanciare, scagliare, scaraventare.


 


Iucà  – giocare v.  scherzare, divertire, trastullarsi.


 


Jucatore – giocatore sm.  Amante del gioco.


 


Juoche – gioco sm.  Partita.


 


Judìzje – giudizio sm  Senno, prudenza, saggezza.


 


Iunce – giunco s.m. Arbusto con stelo dritto, duro  e molto flessibile. Molto usato dai pescatori. E’ l’elemento principale per fare la nassa.


 


Juorne – giorno sm.  Spazio di tempo di ventiquattro ore.


 


Jurnate – giornata sf. Lo stesso che giorno ma con riferimento alle condizioni metereologiche.


 


Juste juste – giusto giusto loc avv. A puntino, di misura precisa, appena in tempo.


 


Iute – andato agg. Che non è presente.


 


Ivvillòche – Eccolo  vv. Indica l’avvicinarsi improvviso di persone.


 


Ivvillànne – Eccoli là  avv. Per indicare la posizione di qualcuno o qualcosa.


 


Izà – alzare  v.  Sollevare


 


L


 


Làcce- sedano sf. Erba di sapore e di odore acuto, forte, molto usata in cucina.


 


Laccià – tritare v.  Trinciare, tagliuzzare, bastonare, mortificare.


 


Laccialarde – mezzaluna sm. Coltello, di forma particolare, per tritare il lardo, coltella.


 


Lacciuole – laccio sm.  Trappola per uccelli fatta con un ramo di erica tenuto ad arco da uno spago. Il lacciuolo veniva appeso ad un bastone e l’uccello posandosi veniva preso da un piccolo laccio di spago.


 


Lacèrte – lucerto s.f. Pesce lucertola, Aulopus filamentosus. In genere la si ributta in mare. Lucertola, rettile con corpo allungato e zampe corte.


 


Lacèrte vermenale – geco sf.  Tarantola, rettile con le stesse caratteristiche della lucertola ma è di colore bianco e circola di notte.


 


Laciérte – lacerto s.m. Lacerto, maccarello, tenca. Con questo nome usiamo indicare, perché non riusciamo a distinguerli, diversi tipi di pesce, maccarello, tenca. Le carni del lacerto sono eccellenti. Lo si preferisce alla brace inzuppato in una salsetta di aceto, olio, aglio, peperoncino e un ciuffetto di menta.


In uno di quei soliti pomeriggi estivi degli anni sessanta, attraversavo la banchina Di Fazio diretto in piazza. Sul banchetto della pescheria di Giosuè, Peppe u ruosse, Peppe il grande, per distinguerlo dal cugino, Peppe u pitte, Peppe il piccolo, armeggiava  intorno ad un pezzo di lamiera. I due Peppe erano soci della Francesca Maria, una barca che avevano adibita a cianciola   Eravamo e siamo amici. Mi fermai e gli chiesi cosa stesse facendo. “Sto facendo un cappellone per nascondere la luce della lampara. Questa sera andremo “ncòppe u summe u pertuse”. Peppe, il piccolo, è stato questa mattina con il frontonese a prendere i segnali di allineamento”.


“U summe u pertuse” è una secca che si trova a due miglia a nord della punta di ponente di Zannone. Era una secca sconosciuta alla totalità dei pescatori isolani. La conoscevano, e la frequentavano, soltanto il maresciallo di Frontone, un vecchio sottufficiale della marina militare che è andato in pensione nel 1920 e ha goduto di questa pensione fino al 1992 anno della sua morte, a centodue anni, e il frontonese, un abitante di Frontone. Di quei tempi, quando le barche non erano ancora fornite delle attrezzature moderne, “ u summe u pertuse” era considerato come il  pianeta Marte. Si sapeva della sua esistenza ma nessuno sapeva come arrivarci..


L’idea mi entusiasmò e subito manifestai a Peppe la mia presenza a bordo quella sera.


Perché il cappellone, perché nascondere la luce?


Peppe mi disse che diverse lampare di Terracina venivano tutte le sere a pescare nelle acque di Ponza e far conoscere loro la posizione del “ summe u pertuse” significava trasferire la proprietà.


Ero emozionato quando la Francesca Maria si mosse dalla banchina del porto di Ponza e con me lo erano tutti, compreso Peppe il piccolo che era il capopesca.


Andavamo verso l’ignoto.


Come superammo la Cala del Mariuolo, la punta di ponente di Zannone, Peppe diresse la prua verso la secca della ghiaia dove lasciammo, facendola dare fondo, una delle due barchette, ognuna con una lampara, di cui era dotata la Francesca Maria e che le teneva a traino. In coperta poi aveva un piccolo canotto, talmente piccolo da  non poter imbarcare più di tre persone. Ritornammo verso ponente per avere di poppa uno dei due segnali di rilevamento.


La Francesca Maria aveva un motore senza frizione per cui non poteva andare indietro. Il motore si ingranava solo con la marcia avanti. Fermarsi sul “comignolo” di uno scoglio era appannaggio solo di Peppe.


Per tutto il tragitto ero a poppa a fianco di Peppe il piccolo. L’altro Peppe, il grande, era su una delle due luci, così si chiamano le barche con la lampara, e armeggiava ancora attorno al cappellone.


Sul sedile di poppa Peppe teneva anche la bussola, cosa mai notata prim e in altre circostanze.. Peppe mi teneva informato di ogni e qualsiasi manovra. Camminavamo, così dicono i pescatori,  sulla scia del segnale del dritto di poppa. Il faro della guardia ad un passo di larghezza dalla punta del mariuolo di Zannone. L’altro segnale doveva ancora apparire e apparve, sempre secondo Peppe, quando eravamo a due miglia da Zannone. Peppe fece sgranare l’elica e la Francesca Maria proseguì con l’abbrivo. Peppe osservava le rocce di Zannone come un subacqueo scruta, con la pila, l’interno di una tana.


Fece mettere in acqua il canottino dove, su invito di Peppe, presi posto con Vincenzo Costanzo che ora vive a New Jork. Lo scandaglio che avevamo era un grosso pezzo di piombo, pesante, a mio parere, dai  cinque ai dieci chili, legato ad una lunga cordicella. Ci fece spostare di circa venti metri più a nord dalla posizione della barca quando diede ordine di calare lo scandaglio. Vincenzo lo calò e la corda, richiamata dal peso, scivolò fino ai settanta metri. Peppe traguardava il segnale di rilevamento su Zannone. L’altro, il cui punto era il faro della Guardia, era di facile accesso. Ci fece spostare ancora di una diecina di metri  e Vincenzo ripetè l’operazione. Questa volta, però, la corsa del piombo verso il fondo venne arrestata dall’incontro con la cima della secca. Vincenzo nel ritirare il peso misurò le bracciate:  ventotto.


A bordo tutti applaudirono. Fu una festa. Avevamo scoperto un nuovo pianeta..


Peppe il grande con la sua barca si portò vicino al canotto e diede fondo. L’ancora della sua barca, come il piombo precedentemente, si posò sulla cresta dello scoglio. Dimenticavo di dire che Vincenzo, nel ritirare  lo scandaglio,  portò a galla due nassòtte. Si erano spezzate e in una c’erano due saraghi. La Francesca Maria rimase nei paraggi della barca con la luce, non ancora accesa, perché nei dintorni di  Gavi si erano appostate le barche di Terracina e una di queste ad un certo punto si diresse verso di noi. Peppe allora diede ordine all’altro Peppe di salpare e di dare la cima di rimorchio per essere traghettato sulla secca della Ghiaia. Guardai la rotta sulla bussola e guardai  l’ora sul mio orologio. Annotai nella memoria anche la sistemazione di alcune stelle alle mie spalle


Quando Peppe, sulla secca della Ghiaia,  diede ordine di fermare il motore, erano trascorsi undici minuti.


La barca terracinese scandagliò quella zona per oltre un’ora. Sapevano della secca d’u summe u pertuse ma  non riuscendo  a trovarla presero il cammino per Palmarola. Quando le sue luci si persero all’orizzonte chiesi a Peppe di ritornare sulla nostra scoperta. Peppe fece presente che di notte, non vedendo il segnale di Zannone, la cosa sarebbe stata impossibile.


Replicai che ero a conoscenza, da dove ci trovavamo, della rotta bussola e del tempo di navigazione ed anche  della posizione di alcune stelle che avevo attentamente osservato.


Per farmi contento,  non mi ha mai detto no ad una qualsiasi mia richiesta, facemmo la navigazione inversa. Seguivo la bussola e le stelle come un Noè moderno. Al decimo minuto feci fermare e il motore e precedemmo con l’abbrivio. Fu Peppe il grande a calare in acqua l’ancorotto della sua barca e al primo affondo  si trovò sulla testata della secca. U summe u pertuse ci era diventato familiare. Gioimmo più di prima. Facemmo, tutti, un giro panoramico con lo sguardo per vedere se ci fossero luci straniere. Buio pesto, totale  e completo. Peppe accese la sua luce con il cappellone intorno. Era impossibile notarla da lontano.


Ma il fondo lo illuminava e come.


L’equipaggio si rifugiò, come era uso, sottocoperta. A poppa rimanemmo solo Peppe ed io. Eravamo in attesa della chiamata dell’altro Peppe che non tardò a venire. “Viéne a murate é pòrte Ernesto”. Salimmo sul canotto e ci portammo nelle vicinanze della luce. Che cosa si presentò ai miei increduli occhi: squadroni di laciérte, ordinati e composti, come reparti di militari ad una rivista di parata, guazzavano nel mare calmo d’u summe u pertuse. Ritornammo subito a bordo dove Peppe chiamò tutti in coperta. Sul canotto dove prese posto Vincenzo, era il suo posto di combattimento, venne subito lanciata la cima della stazza delle rete. Quando Peppe il piccolo, dopo un conciabolo sulla corrente con il cugino, emise il comando: molla, la rete scivolò sulla murata della barca verso il mare. Alla distanza che ritenne giusta attonnò e la Francesca mise la prua sul canotto dove Vincenzo aveva acceso, per farsi  notare, una lampada a petrolio.


I lacerti vennero accerchiati e subito venne tirato a vericello  il cavo che, attraverso una serie di anelli, serviva a stringere la parte bassa della rete. La rete diventava un grande sacco, aperto solo in superficie. Peppe il grande, u luciaiuole, era con la sua barca al centro della rete e ad un certo momento, dopo una attenta osservazione, lanciò il grido che tutti aspettavamo: “stanne a inte”, stanno dentro, li abbiamo accerchiati.


Il recupero della rete avvenne con lena, vigoria e entusiasmo. Si voleva far presto per imbarcare il pesce sulla nave in partenza alle quattro e mezzo per Formia. Sarebbero arrivati sul mercato ventiquattro ore prima e freschi. E con la stessa sollecitudine e solerzia venne fatto uso del coppo. In pochissimo tempo la rete venne svuotata e la coperta della Francesca Maria disseminata di pesce  fino all’orlo. Per non farli traboccare riempimmo una ventina di casse che depositammo sull’osteriggio del motore. Diversi marinai presero posto sulle barche delle luci.


Arrivammo in porto in tempo utile da incassettare il pesce e trasferirlo sull’Isola di Ponza, la nave di collegamento con Formia.


Un lacerto di un chilo e trecentocinquanta grammi fu l’esemplare che portai a casa e che finì, com’è norma, su una brace di carbone, lardellato con un ciuffo di menta che disseminava sul suo corpo un intruglio di aceto, olio, aglio e peperoncino che al contatto con il fuoco emanava  una leggera ondata di fumo talmente odorosa e profumata da annientare e offuscare qualsiasi tipo di concorrenza.


 


Làcreme – lacrima sf.  Liquido secreto dalla ghiandole lacrimali che bagna  continuamente l’occhio preservandolo da un eccessivo disseccamento. Sgorgano anche per viva commozione, tanto da far dire ad un poeta:” sono le parole mute di ogni cuore, dicono tutto senza far rumore”. Stilla, pianto.


 


Lagnanze – lamentela sf.  Disapprovazione, malcontento,  risentimento.


 


Lagne – lagno sm.  Lamento, doglianza.


 


Lagnuse – indolente agg.  Pigro, svogliato, infingardo.


 


Lagnusìje – pigrizia sf.  Svogliatezza, indolenza. Di persona pigra e lenta nell’operare.


 


Lame – Caraffa di metallo sf.  Bicchiere di alluminio con manico.


 


Lamìje – volta sf  Tetto, lastrico.


 


Lammeccate – dolciastro agg.   Amabile, caratteristica del vino.


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Lampàre – Lampara s.f. Grossa lampada   a petrolio, che si appende alla poppa delle barche, per la pesca notturna del pesce azzurro (alici, sarde, sgombri). Oggi la luce è fornita da  un generatore. Con questo nome viene indicata anche la barca  così attrezzata  e la rete stessa, usata per questo genere di pesca.


 


Lampàrèlle – lamparella s.f. Piccola rete per la pesca volante del pesce azzurro con le stesse caratteristiche della lampàre.


 


Lamparuole – lucignolo s.m. Stoppino, miccia  sottile.


 


Lampatarje – lampadario sm.  Arnese che sostiene più lampadine.


 


Lampazze – lapazza s.f. Pezzo di legno che si applica ad un albero o ad altro per evitare gli attriti e difenderlo.


 


Lampe – lampo sm. Luce abbagliante  di breve durata che guizza nell’aria per scarica elettrica tra due nuvole. Baleno, bagliore,  fiammata. Caraffa di ferro con manico.


 


Lampéje – lampeggia vc. verb. Balena


 


Lampe i récchje – mal d’orecchio sm. Otite, fitta nell’orecchio.


 


Lampià – lampeggiare v. Balenare, fulminare, folgorare.


 


Lampione – lampione sm. Fanale per illuminazione, capo rasato.


 


Lampùche – lambuga s.f. Ippuro, coryphaena hippurus. Pesce d’alto mare, compie lunghe migrazioni alla ricerca di cibo e di luogo dove deporre le uova. Ama riposarsi all’ombra di oggetti galleggianti ed il pescatore ne approfitta per circuirlo e pescarlo. Si pesca anche a traino e Francuccio, piccolo Franco anche se è alto un metro e ottanta, che non è capace di prendere un dentice o una ricciola, si dedica appassionatamente alla sua pesca con lodevoli risultati.


 


Lanapèrle – nacchèra s.f. Pinna nobilis. La nacchera è, quasi sicuramente,  la conchiglia più grossa che abita nelle  nostre acque marine . Vive tra le alghe. Facile a notarsi per il movimento di chiusura per la difesa involontaria che effettua  quando è investita dal movimento dell’acqua causato dal nuotatore. E’ attaccata al fondo da una specie di radice. La conchiglia si usava come soprammobile per arredare gli spigoli delle mura della casa e l’interno veniva usato anche come tela per dipingere.


Quelle situate a grosse profondità venivano pescate con un sistema particolare. Su una barca a remi, oltre al rematore, vi era anche quello che, con la testa nello specchio, scrutava il fondo marino. Come l’avvistava, faceva fermare la barca e si portava a perpendicolo su di essa. Calava in acqua  un cerchio di ferro pesante su cui la corda era stata legata in tre punti della sua circonferenza in modo tale che la


legatura risultasse come un cono o una piramide, vuota all’interno. Intorno al cerchio di ferro, lungo tutta la linea della  sua circonferenza, vi era, tenuta da legacci di cotone per imbastire, un’altra cimetta. Quando il pescatore posava sul fondo l’anello di ferro, al cui interno era finita la lanaperla,  dava alla cordicella una serie di strappi che servivano a stracciare il cotone cosi che il cappio si stringesse intorno al mollusco. Uno strattone più forte, sempre con la stessa cima che la teneva avvolta, e la si estirpava dal fondo. Bisognava essere attenti nel recupero a tenere la cima sempre tesa. Con un minimo imbando  si sarebbe allentato il nodo scorsoio e addio lanaperla. Con l’invenzione  delle lenti,  della maschera e delle pinne e la crescita del subacqueo, le lanaperle venivano prese con le mani. Ho visto esemplari di un metro.


 


Lancèlle – anfora s.f. Orcio, vaso di terracotta panciuto con manici, usato per contenere l’acqua da bere.


 


Lanchè – ricamo sm.  Punto caratteristico per ornare le tovaglie da tavolo.


 


Landre – landra s.f. Spranga di ferro che sui velieri veniva  imperniata alla murata esterna per fissare le sartie.


 


Lanteporte – avanti porta sm.  Parte inferiore della porta divisa orizzontalmente. Era la caratteristica delle case a piano terra, serviva a che non entrassero in casa animali o estranei  e nello stesso tempo, avendo la parte superiore aperta, dava luce all’ambiente. A Palmarola esistono ancora diversi esemplari.


 


Lantèrne – lanterna s.f. Fanale, luce a petrolio.


 


Lanzà – fiocinare v.   Pescare con la fiocina, usare l’arpione.


 


Lanzàte – fitta sf.  Dolore acuto, per lo più, istantaneo. Colpo di fiocina.


 


Lanzature – fiocina s.m. Fiocina a più denti.


 


Lanze – lancia s.f. Piccola imbarcazione a remi con poppa quadra.


 


Lanze i sarvatagge – Lancia di salvataggio s.f. Quella lancia destinata al recupero di qualcosa che è caduta in  mare o, soprattutto, a portare in salvo, in caso di affondamento, la gente che si trova a bordo. La lancia di salvataggio deve avere determinati requisiti come le casse d’aria e i compartimenti stagni che la rendono adatta a navigare anche con il mare grosso.


 


Laone – latterino s.m. Atherina hepsetus.  Pesce di diverse specie che vive in branchi vicino la costa in prossimità di sbocchi di acqua dolce. Si pescava all’alba ( l’àure ) con la sciabica sotto la Torre dei Borboni che, per la storia, è la Torre Farnese. I latterini si mangiano fritti.


 


Lapetìà – ingozzare v.  Di persona, vorace nel mangiare, che a tavola dimostra di tracannare tutto quello che gli è davanti.


 


Lappe lappe – comodamente avv. Lentamente, senza tenere conto delle esigenze altrui.


 


Lappenésse – lippo s.f.  Labrus merula. Tordo marvizzo che vive in acqua poco profonda su praterie di alghe.


 


Làppese – lapis sm.  Matita, cruccio, assillo.


 


Lappuse – allappante agg. Di qualcosa che si attacca al palato.


 


Lardiate – bastonatura sf  Manganellata. Agg. bastonato, castigato, punito, corretto.


 


Làscete –  lascito sm.  Eredità, beno avuto in retaggio.


 


Làsche – largo agg. Largo, mollato, lento, allentato, non teso.


 


Làsche –  lasco s.m. Libertà di manovra. “Può fà, tiéne u lasche”. Spazio causato dall’usura.


 


Lascià – lasciare v. Dicesi dell’ancora quando nell’issarla a bordo lascia il fondo del mare e sale a picco.


 


Lasciapassà – lasciapassare s.m. Documento doganale non più in uso.


 


Lastre – vetro sm.  Materia fragile e trasparente che, in lastre,  si mette alle finestre e alle porte per dare luce alle stanze.


 


Latitùdene – Latitudine s.f. Distanza dall’equatore.


 


Lattuparde – gattopardo s.m. Scyliorhinus stellaris. Rassomiglia al gattuccio con la pelle maculata. Vive nelle zone scogliose. Abbocca all’ amo e può finire nella rete.


Ha una carne saporitissima. Lo considero un  pesce molto gustoso e fra i  più appetitosi.


 


Laure – alloro sm.  Pianta con foglie aromatiche molto usate in cucina.


 


Lavàgge – lavaggio s.m. Operazione quotidiana di lavare i ponti delle navi.


 


Lavannare – lavandaia sf. Chi lava i panni per mestiere. Donna pettegola.


 


Lavariélle – lavarello s.m. Piccola zona a poppavia degli occhi di cubia dove viene raccolta l’acqua che gocciola dalle catene quando si salpano le ancore. Incanalata attraverso gli ombrinali scorre all’esterno dello scafo.


 


Lavative – clistere  sm.  Strumento che serve per introdurre, via anale,  medicamenti liquidi nell’intestino. Agg.  fannullone, sfaticato, ozioso, infingardo.


 


Lavature – lavatoio sm.  Vasca in muratura, che esisteva in ogni casa, per lavare i panni. Le vasche erano due, una per insaponare e l’altra per sciacquare. Chi aveva un cortile ne aveva due in casa e due fuori.


 


Lave – torrente sm.  Acqua o liquame che scorre sempre in un determinato posto.


 


Lavuratore – lavoratore s.m. Rullo sistemato sulla murata delle piccole barche da pesca con lo scopo di far scorrere le reti quando esse venivano tirate a mano, alleggerendo così il lavoro dell’uomo.


 


Lavorpe – Birbonata sf.  Tiro mancino fatto con cattiveria.


 


Lavurature – lavoratore sm.  Rullo sistemato sulla murata della barca con lo scopo di far scorrere le reti quando venivano tirate a mano. I verricelli ancora non esistevano.


 


Lazze – laccio sm.  Stringa, legaccio per le scarpe


 


Lazze spinule – Tordo pavone s.m. Crenilabus tinca. Di colori vivaci, vive in zone rocciose e in praterie di posidonie. Abbocca agli ami e finisce anche nella rete.


 


Lazzètte – legaccio sm.  Lacciolo; collana in oro molto lunga  che si avvolgeva al collo anche in due o tre tornate.


 


Lebécce – libeccio s.m. Vento da sud-ovest.


 


Lebecciàte – libecciata s.f. Vento teso e forte da SO


 


Legatùre – legatura s.f. Modo di unire strettamente due cime.


 


Legnamme – legname sm.  Parte dura del tronco o dei rami  degli alberi con la quale si fanno lavori navali e terrestri.


 


Lègnesànte – Legno santo s.m. Paricolare tipo di legname con cui si fodera l’astuccio che contiene l’ultimo tratto dell’albero portaelica. Cachi, pianta e frutto.


 


Lègnuole – legnuolo s.m. Nella costruzione di cime vegetali  e metalliche, è l’elemento che si forma per primo con la torsione delle filacce o torcendo, per le cime metalliche, alcuni fili di ferro, di rame o di acciaio. Le filacce vanno tòrte da sinistra a destra ed hanno una circonferenza che non supera i dieci millimetri. I legnuoli, invece, si torcono in senso contrario e cioè da destra a sinistra.


 


Lemmose – limaccioso agg. Viscoso, appiccicaticcio.


 


Lemmosene – elemosina sf.  Ciò che si dà per carità a chi ne ha bisogno.


 


Léngualònche – linguacciuta agg. Maldicente, pettegola.


 


Lentéje – affagottamento s.f. Avvolgimento di una cosa attorno ad un’altra. Era l’operazione che facevano i pescatori quando nel tirare la nassa a  scàndere, tanute, si accorgevano che essa conteneva molti pesci. Per evitare che il peso del pesce contenuto nella nassa, una volta uscita dall’acqua, facendo leva sulla murata, la schiacciasse, l’avvolgevano in una  piccola vela,  che avevano sempre a bordo, issandola incolume.


 


Lentésche – lentisco  sf. Pianta caratteristica della macchia mediterranea.


 


Lentiérne – linterno sm. Pianta componente la macchia mediterranea


 


Lénze – lenza s.f. Il più semplice e più antico attrezzo da pesca. Consiste in un filo alla cui estremità è legato un amo innescato.


 


Lescive- lisciva sf.  Ranno, acqua bollente e cenere filtrata attraverso un lenzuolo, cenneràle, che serviva per il bucato.

 


Lése – attento agg.  Vigile,  sollecito, premuroso, solerte.

 


Levà – levare v. Si leva l’ancora, si leva la volta, si levano i remi, si leva la barra. Togliere.


 


Levantàte – levantata s.f. Forte sventolata da est.


 


Levante – levante s.m. Direzione del punto cardinale est.


 


Lève – leva s.f.  Strumento meccanico che serve a vincere resistenze o a sollevare pesi. Rete semplice che veniva immersa all’interno di una rete di circuizione per portare in superficie i pesci che erano stati circondati.


 


Lévre – ingordigia sf.  Voracità, masnada, compagnia di furfanti.


 


Liàmme – spiffero s.f.  Soffio di aria fredda che penetra da una fessura o da una apertura.


 


Liazze – striscia sf.  Fettuccia di stoffa.

 


Lìbbere – libero s.m. Il segnale che il marinaio addetto a salpare l’ancora dà, con i rintocchi di una campana,  quando lo stesso viene scardinato dal fondo e sale a picco. Libero, senza alcun impegno.


 


Libbrètte – libretto s.f. Libretto di navigazione. E’ il documento di identità che ogni persona, che va per mare, dev’essere munito. In esso si segnano gli imbarchi, le patenti,  i dati e le variazioni della sua carriera.


 


Licènze – licenza s.f. Il documento con cui l’autorità autorizza l’esercizio della pesca e del commercio generale.


 


Lide – lido sm.  Parte del litorale battuto dai frangenti.


 


Liégge – leggero agg.  Qualcosa che ha poco peso, agevole,  tenue, svelto,  snello.


 


Liénnule – bozzolo sm.  Involucro da cui schiuderà il pidocchio.


 


Liénte – umido agg. Fradicio


 


Liétte – letto sm.  Mobile con sopra materasso, lenzuola, coperta e cuscino per dormire.


 


Limme – limo s.m. Fango. Fanghiglia di natura animale e vegetale che si forma sulla carena della barca per cui è necessario, di tanto in tanto,  sottoporre lo scafo al carenaggio.


 


Limme –  lima s.f. Strunento di acciaio,  a superficie aspra, che serve per lavorare e pulire il ferro.


 


Lineje – linea s.f.  Linea di galleggiamento che varia a seconda del carico.


 


Lippe i fridde – fremito sm. Essere commosso per paura, per  febbre e anche  per la vista di una bella femmina.


 


Liste – lista sf.  Elenco di persone o cose. Agg.  pronto, approntato, in ordine.


 


Litanìje – litania sf. Preghiera, filastrocca inutile.


 


Llà ncòppe – lassù avv.  In alto, in quel luogo in alto.


 


Llòche –  li  avv.  In codesto luogo, costà.

 


Lòcche – Zerro sm. Maena smaris , pesce; maschio dello zerro,  retunne,  che, quando, riunendosi con altri, formando la “trajane”,  va in amore,  trsformandosi  in lòcche. Di persona allampanata, sparuta.


 


Lòffe – flusso sf. Scoreggia,  emissione non rumorosa di gas intestinali.


 


Lope – fame sf. Di persona allupata.


 


Losche – losca s.f.  Buco a poppa dell’imbarcazione per far passare la testa del timone.


 


Luà – levare v.  Togliere , rimuovere, strappare, rilevare.


 


Lubbàne – corda di cocco s.m. Cime di seconda categoria che servivano per legare gli attrezzi da pesca ed anche, in alcuni casi, per l’ormeggio di piccoli natanti.


 


Luccarìje – mattoide sf.  Di persona che ha il cervello stravagante o che ha un ramo di pazzia.


 


Lucèrne – Pesce prete sf. Pesce appartenente alla famiglia degli uranoscopidae. E’ uno dei componenti il gruppo per fare la zuppa. Lampada a combustibile liquido.


 


Luciajuole – luciaiolo s.m. Pescatore addetto alle luci della lampara.


 


Lucine – leccio  sm.  Unico albero ad alto fusto della macchia mediterranea.


 


Lumme – lume sm.  Lanterna a petrolio.


 


Lummiccule – lenticchia sm.  Pianta e frutto (baccello) delle leguminose. Le lenticchie delle isole ponziane erano molto rinomate.


 


Lungarine – longarina s.m. Trave di legno che serve di guida ai vasi durante le operazioni di tiro e varo.


 


Lungetudene – longitudine s.f. Distanza dal meridiano considerato come primo, che viene misurata sull’arco dell’equatore o di un parallelo.


 


Lunghézze – lunghezza s.f. Termine che si può riferire alla lunghezza della nave, delle catene, delle cime, di una persona.


 


Luoghe – cesso sm.  Locale con impianto igienico della sola tazza. Era situato in modo tale che gli escrementi potevano essere prelevati perché servivano per concimare il terreno.


 


Lupine – lupino  sm.  Pianta delle leguminose. A differenza di tutti gli altri legumi il frutto del lupino non va mangiato cotto ma consumato crudo dopo  con essere stato per 48 ore in acqua e sale.


 


Lupemenàre – lupo mannaro sm.  Di persona affetta da licantropia, l’uomo che, affetto da una strana malattia, va in giro di notte, ansimando in cerca di aria pura. Era la spauracchio di una volta anche se la malattia è vera. Si diceva che fosse seguito da cani ululanti  e che se qualcuno avesse fatto il drammatico incontro  doveva pungerlo con un oggetto appuntito per fargli uscire qualche goccia di sangue al che il malato si riprendeva e lo  supplicava, con le lacrime agli occhi, di non dire chi fosse, di non svelare il segreto.


 


Lupone – affamato agg.  Ingordo, bramoso.


 


Luscìje – lisciva sf.  Ranno, acqua del bucato.


 


Lustrute – lustro agg.  Di chi veste con particolare eleganza.


 


Lutamme – letame sf.  Concime naturale.


 


Luttrine – dottrina sf.  Lezione di catechismo.


 


Luvà- levare v. Togliere.


 


Luva u latte – svezzare. V.  Divezzare, slattare.


 


Luvre – Fragolino s.m.  Luvarus imperialis.  Rovello, pesce che abbonda nelle acque di Ponza. E’ di prima categoria.


 


M


Ma – ma  cong. Avversativa che modifica, distingue.


 


Mà – mamma sf.  Colei che ci ha partorito


 


Maccarone – maccarone s.m. Bordino laterale dell’ultima tavola dell’opera morta. Agg. sciocco, stupido, stolto.


 


Maccarune – maccheroni  sm. Pasta da minestra di forma lunga e tonda.


 


Maccature – fazzoletto sm.  Pezzo  quadrato di stoffa per soffiarsi il naso o asciugarsi il sudore oppure un quadrato di tela o panno, di circa un metro di lato, di colore o a grossi quadrati che una volta si usava per la spesa giornaliera


 


Macchine – macchina s.f. Congegno che dà movimento al natante. Vi sono diversi tipi di propulsori.


 


Macchiaviélle – raggiro sm. Imbroglio.


 


Macchje – macchia  sf.  Arbusto, ramoscello, nascondiglio, scarabocchio, segno di sudiciume.


 


Macchiétte – macchietta  sf.  Di persona comica.


 


Macchinètte – caffettiera  sf. Arnese per fare il caffè.


 


Macchiniste – macchinista s.m. E’ il titolo di coloro che, oltre alle scuole nautiche, hanno effettuato il periodo, quattro anni, di navigazione e superato l’esame di patente.


 


Macciòtte – sasso s.f. Pietrame del fondo marino che si impiglia nelle reti impegnando il pescatore ad un lavoro straordinario per  pulirle.


 


Maceniélle – macinino sm.  Apparecchio che riduce in polvere caffe e pepe. Motore sempre in avaria.


 


Maciélle – macello sm.  Mattatoio


 


Madière – madiere s.f.  Ossatura della nave che si unisce alla chiglia.


 


Maéste – maestro sm.  Con tale termine si indica l’albero più importante di un natante. Su un bastimento a tre alberi è quello centrale, su un bastimento a due alberi è quello di poppa. Così come maestra viene indicata la vela quadra più grande. Insegnante elementare.


 


Màfere –culo  sm. Sedere, fortuna.


 


Mafrone – rovello s.m Pagellus erythrinus, della famiglia degli sparidi. Porta solo il cognome della illustre famiglia a cui appartiene.  Quando lo tieni davanti, in un piatto, è spontaneo dire che non è tutto oro quello che luce.


 


Magistère – raggiro sm.  Imbroglio, giro di parole o di fatti per trarre in inganno.


 


Màgle – maglia s.f. Ognuno degli anelli che formano la catena. Per impedire che la catena si attorcigli su se stessa quando una nave è alla fonda, si applica, nella prima lunghezza e in vicinanza dell’ancora, una maglia a mulinello in modo che, quando si salpa, la catena gira e le volte spariscono.


Quelle con il traversino sono maglie rinforzate e sono quelle delle catene di ormeggio. Quelle senza sono destinate a servizi secondari.


Maglia è anche lo spazio vuoto della rete compreso tra i nodi del tessuto e che determina il tipo di rete. Indumento di lana che si indossa a carne.


 


Maglecàte – ruminato agg. Masticato nuovamente.


 


Magliètte – maglietto s.m. Arnese di legno su cui viene aggomitolata  una cordicella per poi avvolgerla intorno ad una cima stringendo forte e spianando i successivi giri. E’  la “cucèlle” dei marinai.. Canottiera.


 


Magliètte – martello s.m. Martello di legno con larga capocchia impiegato nel calafataggio del fasciame dei bastimenti in legno.


 


Magliòle – ramo sf,  Tralcio di vite usato per il trapianto.


 


Magliùcce – rete s.m. Pezzo di rete  molto resistente che viene posto  all’ estremità dei due lati della rete  a cui viene legata la “stazze”.


 


Magliuocchehe –  batuffolo    Insieme di cose varie raccolte contemporaneamente.


 


Magnà – mangiare v.  Cibarsi, banchettare, divorare, ingozzare, masticare, nutrirsi, pappare; lasciarsi corrompere; aggredire, spaventare.


 


Magnafranche – parassita sm.  Sbafatore, scroccone.


 


Magnaricule – zivolo sf.  Uccello migratore.


 


Magnàte – mangiata sf. Scorpacciata, gran mangiata.


 


Magnòle – bastone s.f. Lungo bastone usato per spaventare i pesci dopo averli cinti con la rete. Si batteva sulla murata e in acqua per  spingerli verso  la rete per farli ammagliare.


 


Maìste – maestro s.m. Vento teso e forte da nord-ovest. Definizione che si usa maggiormente nei periodi invernali; maestro.


 


Maistrale – maestrale s.m. Vento leggero da NO di tipo estivo.


 


Malaciòrte  – iella sf.  Sfortuna, sventura, mala sorte, disgrazia.


 


Malacrianze – scortesia sf.  Cattivo comportamento, segno di inciviltà.


 


Malafémmene – prostituta sf.  Donna di facili amori.


 


Malafercule –  maldicente  sf.  Cattivo soggetto, portatore di notizie sgradevoli, malalingua.


 


Malafòre – estremità s.f. Espressione dei corallari per indicare la barca che pescava molto al largo.


 


Malafuorbece – forficina  sm.  Insetto. Si trovano in abbondanza nei carciofi isolani.


 


Malàgne –  malanno sf.  Infermità, morbo.


 


Malaléngue – Maldicente agg.  Pettegolo, perfido.


 


Malamènte – cattivo agg.  Perverso,  malvagio


 


Malandrine – birbone sm. Briccone, malfattore, birichino.


 


Malannate – annataccia  sf. Pessima annata per guai.



Malaparate –brutta accoglienza sf.   Avvisaglia di pericolo,  rischio,

 


Malapéne – a stento avv.  Con gran pena,  cattivo augurio agg. di persona  che ispira cattivi presagi.

 


Malatìje i vèrderàmme – fillossera sf.  Peronospera, nome comune dei funghi  del genere peronospera molto dannosi a piante coltivate come vite, patata, pomodoro, Essi determinano la comparsa sulla pagina inferiore delle foglie ina sorte di muffa biancastra che portano la pianta a inaridire. Si combatte spruzzando, con una apposita pompa,  il verderame sciolto nell’acqua.


Malatìje i zurfe –  oidio sf.  Malattia trasmessa alle foglie della vite  dal genere di funghi oidio. Si combatte spruzzando zolfo sulle foglie.


 


Malaudiénze – inascoltato agg. Di chi va  per grazia e trova giustizia.


 


Malaurje – Malaugurio  sf.  Cattivo augurio, di chi con le sue parole, la sua tristezza  fa agli altri un cattivo augurio.

 


Malazzène – magazzino s.m. Deposito, luogo dove i raccolgono gli attrezzi e gli arnesi che non vengono usati.


 


Male i mare – mal di mare sm.  Il notissimo disturbo di stomaco di cui soffrono molte  persone fra cui anche gente di mare. Chi soffre il mar di mare non deve rifugiarsi in cuccetta, nelle maleodoranti cabine, ma deve vincere la paura e la pigrizia salendo sui ponti scoperti, tenendo il  viso al vento per respirare aria pura. E’ il rimedio migliore.


 


Malepasse  – luogo pericoloso sm.  Sentiero rischioso che mette a repentaglio il procedere.


 


Malepatiénze – sofferenza s.f.  Tribolazione, spasimo, vivere di stenti.


 


Malepatute – malandato agg. Sofferente, macilento.


 


Malèrve – malerba sf.  Gramigna, erbaccia, di persona malvagia.


 


Maluocchje – malocchio sm.  Influsso malefico.


 


Malupine –  birbante agg.  Monello, birichino, di persona astuta.


 


Mammàce – bambagia sf. Ovatta.


 


Mammane – levatrice sf.  Ostetrica.

 


Mammarèlle – carciofo sf.  Quello di prima fioritura.


 


Mammaròsse – grande mamma sf.  Nonna


 


 


Mammone – spauracchio sm.  Cosa o persona brutta da far paura.


 


Mammuocce – bambino sm. Di persona adulta che conduce un comportamento da bambino.


 


Mamòzje – statua sm.  Persona robusta ma insignificante, località del centro storico di Ponza, scivolo sotto la piazza,  dove era posta la statua del console romano Manorvio, IV secolo A.C. Questa statua, a cui mancano i piedi è attualmente situata nella stradina che dal Cuore di Gesù, Giancos, porta alla casa di Franco Schiano.


 


Manamuzze – monco sm.  Di persona manchevole di una mano o paralizzato alla stessa.

Manàte – manata sf.  Colpo dato con una mano, quello che entra in una mano.


 


Manche – neanche avv.  Neppure


 


Manciànze – mancime s.f.  Plancton. Pulci di mare che succhiano sia l’esca che il pesce impigliato nella rete. Brumeggio.


 


Mandracchje – mandracchio s.m. Piccolo specchio d’acqua chiuso  all’interno dei porti.


 


Mandriane – sornione agg. Misterioso.


 


Mandrille – mandrino sm.  Uomo virile, asta di ferro rigata  per bucare la roccia.


 


Mandruppine – bastonatura sf.  La conseguenza di un raggiro.


 


Maneche – manica  sf. La parte del vestito che copre il braccio.


 


Màneche a viénte – manica a vento s.f. Grossi tubi verticali di lamiera e di tela posti  in corrispondenza di appositi fori della coperta per  incanalare l’aria nei locali sottostanti. Sono girevoli in modo da esporle alla direzione del vento.


 


Mane i terzaruole – Mano di terzarolo s.f.  Ogni ripiegatura o porzione di vela che si lega per ridurre la superficie velica quando il vento è molto forte.


 


Mangià – mangiare v. Cibarsi, rifocillarsi, ingozzare, nutrirsi, pappare, piluccare, rosicchiare.


 


Mangialice – pescecane s.m. Carcharodon carcharias,  degli isuridae. In continente viene venduto come pesce palombo.


 


Mangià u rimme – mangiare il remo v. Perdere la padronanza del remo facendo girare di piatto, maldestramente,  la pala del remo durante la voga.


 


Mangià u viénte – mangiare il vento v. Dicesi di una barca a vela che con la sua velatura toglie il vento all’imbarcazione che si trova nelle vicinanze,  ad essa sottovento.


 


Manià – maneggiare v.  Toccare, tastare, palpare, palpeggiare.


 


Maniariélle – maneggevole agg. Cosa agevole a maneggiare, di piccolo formato.


 


Maniate – masnada sf.  Accozzaglia, compagnia di furfanti; l’atto del palpeggiare.


 


Manichètte – manichetta s.f. Lungo tubo di tela, avvolgibile e trasportabile, per il pompaggio dei liquidi.


 


Manifèste – manifesto s.m. Documento, non più in uso, che una nave da carico, all’atto del suo arrivo in un porto, doveva presentare all’ufficio doganale. Conteneva tutte le informazioni riguardanti il carico.


 


Manìgle – maniglia s.f.  Maglia smontabile che nelle catene delle ancore uniscono le varie lunghezze., Arnese di varia forma per aprire e chiudere le porte e le imposte; gioco di carte prettamente meridionale; conoscenza altolocata.


 


Maniglione – maniglione s.m.  Grillo, attrezzo di cui la marineria fa un larghissimo uso.


 


Manile – Manilla s.f. Fibra tessile con cui si fanno  cime e  cavi.


 


Manische – manesco agg. Di persona violenta e pronta alla rissa.


 


Mannagge – maledizione escl.  Accidenti.


 


Mannà – mandare v.  Inviare, spedire.


 


Manovre – manovra s.f. Il complesso delle azioni che si fanno per dirigere e ormeggiare  la nave in un determinato porto.


 


Mante – cima s.f. Con questo termine si indica la cima che sostiene il picco di carico agganciato all’albero. Può essere fissa e può essere mobile in modo da abbassare o alzare il bigo secondo le necessità.


 


Mante – manta sf.  Si definisce  quel genere di pesce della famiglia dei mobulidi comunemente chiamato pesce diavolo per la presenza di due pinne cefaliche situate sui lati del capo e dirette in avanti. La manta può raggiungere la larghezza di sei metri e il peso di quindici quintali.


 


Manteciate – strapazzata sf.  Sgridata, bastonatura, rimprovero.


 


Mantesìne –  grembiule s.m. Pezzo di tela cerata che si mette sul davanti, durante il lavoro, per non insudiciare i panni che si indossano.


 


Manuvèlle – manovella s.f.  Qualsiasi braccio, di legno o di metallo, fisso o smontabile, che serve a far muovere, a mano, un  organo girevole.


 


Mappàte – fagotto s.f.  Involto, fardello, collo, balla.  La mappata si fa avvolgendo roba in un ampio fazzoletto di tela  o di altro tessuto e annodandolo. Accozzaglia di persone poco perbene


.


Mappeciate – sgualcito agg.  Spiegazzato, ciancicato, maltrattato.


 


Mappine – cencio sf. Straccio di canapa per i lavori in casa, sgualdrina malridotta.


 


Mappuogle – malloppo s.m. Groviglio di fili arruffati.


 


Marazzolle – roncola sf. Falcetto adunco da taglio


 


Marcature – marcatura s.f. Filo con amo che viene legato alla lenza o al palamite.  Segnalazione dello scandaglio per la presenza sul fondo di pesce o altro.


 


Marce –  marcia Sf. Materia più o meno densa che si forma nei tessuti animali per infezione.  Pus, suppurazione, infezione, purulenza.


 


Marchèse – mestruazione sm.  Fenomeno ciclico  delle donne che consiste nella perdita di sangue..


 


Marchingégne –  congegno s.m. Ordigno, attrezzo particolare.


 


Màre – mare s.m. La massa delle acque salate che coprono la maggior parte della superficie del globo terrestre.


 


Mare a isse –   escl. povero lui.


 


Mare a lòre –   escl.  poveri loro.


 


Mare a me –    escl.  povero me.


 


Mare a nuje –  escl.  poveri noi.


 


Mare a vuje –   escl.  poveri voi.


 


Marecòppe – mare sopra  sm.   Voce corrente con cui si indica una zona alta  di Santa Maria. Approfitto per parlarne perché ne vale la pena in quanto, a mio giudizio, il futuro di Ponza è legato a quei pochi  ettari di terreno, le pezze, che vanno dall’edificio della Scuola Elementare all’incontro tra Via Staglio e via Pezza.


Bisogna fare un passo indietro e risalire ai romani, a quei romani che si presentarono a Ponza  dopo gli uomini primitivi (quelli dell’età della pietra), dopo gli Ausoni, i Greci, i Volsci, e vi restarono fino alla caduta dell’impero.


Quando i romani misero piede a  Ponza capirono subito l’importanza dell’isola, dal punto di vista strategico,  per il dominio del mare e fecero di tutto per sfruttarla pienamente. Fra i personaggi dell’epoca il più importante era Cesare Ottaviano, il nipote del grande Giulio Cesare, che reggeva il governo di Roma, pur non essendo ancora imperatore. Cesare Ottaviano venne a Ponza e s’innamorò di quest’isola tanto da farsi costruire due ville: una sulla collina della Madonna che comprendeva l’area dell’attuale cimitero fino alla torre farnesiana, una casa immensa. e l’altra su un costone di Santa Maria, nella zona dove in questi giorni si stanno facendo gli scavi per la posa in opera della rete fognante, i cui lavori hanno portato alla luce diversi  e interessanti reperti di quel periodo. Ambedue le case, le prime in assoluto come residenze  di villeggiatura a mare, si affacciavano sul mare perché Ottaviano era un accanito cultore di naumachia, spettacolo che riproduceva, su uno specchio d’acqua naturale, una battaglia navale. Dalla Collina della Madonna aveva davanti uno specchio di mare immenso e a Santa Maria, dove si sarebbero svolti i combattimenti, direbbe  il lettore? La risposta è semplice perché l’attuale Santa Maria era  diversa dalla originaria che, al posto delle pezze,  era una insenatura marina che arrivava fino all’incrocio tra via Staglio, via Pezza e Salita Conti, vale a dire che dalla zona tra il  Tirone e l’altro promontorio dove ha sede la casa di Paolo Dal Pino, un appassionato frequentatore di Ponza,  il mare penetrava fino, come si è detto, all’abbraccio tra via Staglio e via Pezza. Quindi Ottaviano aveva il mare sotto la sua casa e dal “solarium” della sua villa, descritto da Luigi Jacono, si dilettava per le rapide manovre dei contendenti.  Questo, però, non fu lo scopo principale per lo  sfruttamento di quell’area di mare. In quella insenatura i romani crearono un porto, un grande porto.


I romani, a differenza dei popoli che li avevano preceduti su questa terra, si diedero da fare per valorizzarla, organizzando e mettendo in atto una serie di strutture e servizi da poterla pienamente  sfruttare soprattutto in ragione della sua posizione, posta al centro del Tirreno che doveva servire per la conquista e il dominio del mare che, in seguito, sarebbe stato definito “Mare Nostrum”.


Sfruttare questa ampia sacca  interna di mare fu per i romani un invito a nozze. Circondarono il mare con banchine sfruttando la naturalezza del terreno, sicuramente lo dotarono di bacini di carenaggio per eseguire lavori sulle navi. Costruirono anche nagazzini e depositi.  Pensarono anche al rifornimento idrico. Nella zona fu scavata una  enorme cisterna, la grotta del serpente,  che ha l’apertura sulla strada provinciale, che raccoglieva l’acqua che scendeva dalle colline circostanti. Questa cisterna, dalla capacità di oltre tremila metri cubi, provvedeva ai bisogni e alle necessità degli abitanti della zona, tra cui quelli che vivevano nella villa consolare e serviva anche ad alimentare la zona portuale. Quando, con l’incremento dell’attività portuale, l’acqua incominciò ad essere deficitaria,  i romani provvidero a creare nuove fonti di rifornimento. Allungarono fino all’attuale zona portuale, con diramazione verso il porto di Santa Maria, la sorgente di Le Forna con un camminamento interrato che ha dello sbalorditivo   e crearono a Giancos, anche quì ancora visibile, una diga che raccoglieva l’acqua dalle colline Giancos e Guarini. L’acqua non venne mai a mancare.


Questo porto aveva tre funzioni diverse: servizio per gli abitanti dell’isola, porto rifugio per le navi in transito e base di forze navali capaci di controllare posizioni strategiche per la difesa del litorale romano. Per questi ed altri motivi i romani pensarono anche  alla viabilità. Scavarono i trafori di Sant’Antonio, di Giancos e di Santa Maria per creare una idonea strada di accesso la cui larghezza, nelle gallerie, era quella attuale come si rileva, in alcuni posti, dall’opus reticulatum esistente in ambedue le pareti.


Perché mi sono incanalato in questo discorso, scrivendo tutto questo?
Perché credo, fortissimamente  credo, che il ripristino di quell’opera romana sarebbe la sorgente  che cambierebbe il volto dell’isola sia sotto l’aspetto lavorativo-economico che, soprattutto, sotto l’aspetto sociale.


L’agricoltura isolana è morta e seppellita da oltre un cinquantennio, Il prete è al capezzale della pesca  per somministrarle l’Estrema Unzione.


Non ci resta che il turismo e solo il turismo  può dare ai nostri figli e ai nostri nipoti la certezza di continuare a vivere su questo scoglio. Se non riusciamo a creare  questo salvagente non ci rimane che l’abbandono dell’isola e Ponza diventerà come la definì Blocklin, nel 1910,  “ l’isola dei morti”, come lo è già tuttora da Ottobre a Aprile. A settembre tutti scappano portandosi dietro il guadagno del lavoro estivo. Ponza si spoglia, la popolazione residente si riduce alla metà, forse anche meno.


Oltre al danno economico, smisurato, c’è il danno morale, incalcolabile.


Non possiamo fare, anche se possibile, campi di sci; non possiamo innevare il paese per attrarre gente. I nostri requisiti sono marini e quelli dobbiamo sfruttare. Ponza ha bisogno di una zona portuale, e quando dico zona portuale intendo luoghi dove una barca possa  ormeggiarsi  e il suo proprietario, a Milano, a Roma o a Udine, possa dormire sonni tranquilli sognando, perche glielo vuoi togliere questo sfizio,  che sabato sarà a Ponza, salirà, con gli amici e familiari, sulla sua barca e correrà a Palmarola per fotografare la grotta del faraglione di mezzogiorno che alle 12. 43 ha colori da fare invidia all’iride, e confermare all’Abitante della cappelletta bianca posta in cima ad un altro faraglione, che a giugno Gli renderà  visita.


Ponza ha bisogno di approdi che diano la certezza della sicurezza. E non sono le scogliere a dare ciò. La scogliera, oltre ad abbruttire, perché cambia e trasforma il volto naturale, ha lo scopo di fare entrare danaro in un solo salvadanaio o meglio, per la precisione, in due  libretti bancari. Dobbiamo sfruttare il mare in tutti i suoi aspetti senza  creare scempi ambientali.


Ponza ha bisogno di strutture portuali che garantiscano sicurezza  e movimento ai natanti, siano essi turistici che commerciali..L’attuale porto di Ponza, costruito  dai Borboni nella seconda metà del settecento, non è più in condizioni di garantire il minimo di sicurezza a qualsiasi tipo di natante sia durante la manovra sia per la successiva sosta. A questa insicurezza ha fatto seguito, sempre, la soppressione delle corse di collegamento con il continente. Oggi, al porto di Ponza mancano tutti i requisiti che lo fecero sigillare Porto Rifugio. Esso ha bisogno di riparo dai venti del primo quadrante  che generano all’interno condizioni avverse per il suo uso. Nel pensare a ciò bisogna tenere presente l’ormeggio della nave cisterna, che molto spesso ci rimane senz’acqua, e le Grotte di Pilato che, come costruzione  romana sul mare, sono da tenere in considerazione come il Colosseo.


Questa bella scogliera che abbaccia l’ingresso, l’ormeggio della cisterna e le Grotte di Pilato,  risolverebbe i problemi del paese? Guarirebbe i mali dell’isola?  No, e mai no!  Ponza ha assoluto bisogno, per la sua sopravvivenza, lavorativa e sociale, di una darsena  dove durante i mesi non estivi possano ormeggiarsi i natanti da diporto che gli armatori intendano lasciare a Ponza per lo svernamento.


E questa darsena la possiamo e, sottovoce suggerisco, la dobbiamo, creare a Santa Maria dove il Comune diventerebbe il gestore con incremento  di entrate.favolose.


Cosa comporterebbe un’opera del genere: Migliori collegamenti invernali con il continente, l’albergo lo si troverebbe aperto come aperti sarebbero il ristorante, il bar e la pizzeria. Le vetrine dei negozi sarebbero addobbate di maglioni, pantaloni e  giacconi  pesanti. I taxi e le corriere strombazzerebbero per chiedere strada. E poi, poi  lo scavamento di Santa Maria potrebbe essere utile a Chiaia di Luna. La sabbia o il terreno sabbioso di Santa Maria verrebbe trasportato via  terra  sul piazzale di Chiaia di Luna e riversato sulla spiaggia dove una pala meccanica lo trasferirebbe  nel posto dove necessita allargare la spiaggia..


 


Mareggiate – Mareggiata s.f. L’ondeggiare continuo del mare molto mosso.


 


Marèje – marea s.f. Movimento regolare e periodico delle acque del mare che  si alzano e si abbassano alternativamente. E’ causata dalle attrazioni lunari in combinazione con il movimento di rotazione della terra.


 


Marenare – marinaio s.m. Designazione generica di tutti coloro  che sono capaci di operare sul mare.


 


Marennèlle – merendina sf. Colazione, pic nic.


 


Marètte – maretta s.f.  Leggera agitazione del mare.


 


Marghérite – margherita s.f.   Nodo che si fa nel mezzo di una corda, non occorrono i due capi,  per eliminare  inizi di rottura o quando la si vuole accorciare.


 


Marine – marina s.f. Con questo termine si designa l’insieme di uomini e mezzi che agiscono sul mare.


 


Marìteme – mio marito


 


Marittime – marittimo s.m. Denominazione degli iscritti fra la gente di mare. Essi si dividono in due categorie: prima categoria quelli addetti alla navigazione: comandanti, direttori, capitani, motoristi, marinai, fuochisti, mozzi e anche i pescatori. Alla seconda, invece, tutto il personale addetto ai servizi e alla amministrazione.


 


Mariulizje – ruberia sf.  Di persona con tendenza morbosa al furto, anche senza averne necessità, raggiro, inganno.


 


Marmàgle – marmaglia sf.  Gruppo di persone disordinate e spregevoli, accozzaglia.


 


Màrmule – marmora s.m. Pagellus mormyrus , sparidi.  Ha una carne delicatissima e saporita. Marmo


 


Marose –  maroso sm.  Colpo di mare, onda di mare agitato, cavallone.


 


Marpione – scaltro agg. Furbacchione, imbroglione, profittatore.


 


Marrazze – roncola sm Falce che serve per tagliare i rami delle piante, con manico di legno e lama ricurva, di forma diversa secondo gli usi..


 


Màrre – marra s.f. Ciascuna delle due parti  dell’ancora che, diramandosi dalla estremità inferiore del fuso, terminano a punta di lancia. Quando l’ancora è sul fondo una delle due marre si affossa e fa presa.


 


Marrobbio – marrobbio s.m. Nome usato per indicare rapide variazioni del livello del mare dovute al temporaneo svuotamento e accumulo di acqua lungo la costa. Sono prodotte dalla azione del vento e dalla depressione atmosferica. Nei paesi asiatici si chiama Tsumani che il 26 dicembre 2004 ci ha fatto essere testimoni di un disastro incredibile.


Ho vissuto in prima persona un  fenomeno simile ma non della stessa portata..


Quando accesi la luce, perché svegliato dal trillo del campanello, l’orologio, a cui diedi subito lo sguardo, con gli occhi assonnati, segnava l’una e dieci di notte. Scesi dal letto, mi portai nelle scale, che a casa nostra hanno funzione di corridoio, perché le camere sono su piani diversi, e, ad un nuovo trillo, a voce alta chiesi: “Chi è”?


“Sono Belvisella, non aver paura, non è successo niente di strano”.  “Indosso i pantaloni e vengo ad aprirti”.


Fu questo il concitato dialogo tra me e la nostra vicina di casa.


Indossai i calzoni e le ciabatte e andai ad aprirla.


Il solito sorriso di Belvisella  dissipò il mio  stato di inquietudine.


“Vorrei gli stivali di Danny perché Giuseppe deve andare a tirare a secco la barca perché il tempo cattivo”. Presi gli stivali e nel consegnarglieli le chiesi se il marito  disponesse di un mezzo di locomozione. Alla risposta affermativa le dissi di farmi attendere  perché volevo andare anch’io a constatare   quanto stava avvenendo nel porto di Ponza.


Impiegai non più di un minuto a vestirmi. Ricordo che  misi in tasca il mio coltello da caccia, dalla lama molto affilata. Poteva sempre servire, come servì.


Nell’ambito portuale c’era la fine del mondo! La salsedine la faceva da padrone rendendo tanto opaco l’ambiente da togliere la visibilità anche alle cose vicine. Le luci dei riflettori,  su ogni barca  c’ era uno acceso, diffondevano un velo giallastro.


Su ogni barca c’era gente. Per arrivare al molo Musco, dietro la Caletta, dove Giuseppe Valiante aveva la sua barca, attraversammo Corso Pisacane.


La banchina Di Fazio e, meglio ancora, la Banchina Mamozio, per le tante piccole barche che vi erano state ammucchiate, non consentiva il transito di un automezzo. Giuseppe guidava veloce e  capii il suo stato d’animo quando arrivammo dietro la Caletta.


Che spettacolo! Il vento da scirocco e levante  era forte e teso. I cavalloni si infrangevano contro la scogliera, che ne limitava la libertà, e gli spruzzi, determinati dall’impatto, “s’annariavene” cadendo, poi, come un piovasco.  C’erano diverse persone e tutte indossavano indumenti antipioggia, con il cappuccio o berretto talmente calato sulla testa da non consentire di riconoscerle. Guardai attentamente le barche che, sospinte dalla risacca, superavano di molto la superficie della banchina. All’improvviso mi sentii gli stivali pieni d’acqua. Il livello del mare si alzava di oltre un metro e inondava la banchina per poi riversarsi dal lato del porto. Pensavo che fosse acqua di ondate.


Mi resi conto della situazione e dissi a Giuseppe che non era possibile doppiare la testata del molo per entrare nel porto. I marosi erano talmente grossi e prepotenti che avrebbero affondato la barca, senza ombra di dubbio.


Emilio, il fratello che avrebbe dovuto aiutarlo nell’impresa, manifestò apertamente sintomi di paura.


Consigliai di tirarla nel piccolo scalo d’alaggio  che si trova nella banchina della caletta e nell’aiutarli a salire a bordo diedi il mio coltello a Giuseppe dicendogli: “potrebbe essere utile”. E così fu, quando, nel districarsi tra le tante barche e tra le tantissime cime,  una di queste si avvolse nelle sua elica. Notai che non era in condizione di dipanarla e subito gli gridai: “taglia e annoda”, cosa che fece immediatamente usando il mio coltello. Chiamai a raccolta le gente che operava intorno alle proprie barche,


che immediatamente accorse, e aiutammo   Giuseppe a far  mettere il muso della sua barca nello scivolo e a tirarla all’asciutto.  Operazione che venne subito seguita da altre barche. Finita questa operazione mi ritrovai, come gli altri, il pantalone inzuppato fino ai ginocchi. Mi tolsi gli stivali per sgottarli dell’acqua che continuamente vi penetrava. Mi fermai sul ciglio banchina per rendermi conto di questo strano fenomeno.. Il  mare, il vento e, di tanto in tanto, qualche scroscio di pioggia da scirocco inondavano Ponza.


Risacca a non finire tanto da diventare  un tormento per le barche ancora ormeggiate. Quel repentino sommovimento del mare che riusciva a svuotare la caletta creava  una scena surreale a cui volevo dare una spiegazione.   Posi l’attenzione di alcuni amici, marinai e pescatori, sul piccolo specchio d’acqua della Caletta che quando si prosciugava le imbarcazioni si poggiavano su un fianco. Tutti affermavano che non avevano mai visto uno spettacolo del genere. E neanche io ero  stato spettatore di una  simile manifestazione e né mai ne avevo sentito parlare. Ben altra cosa è  la bassa marea  che viene a prodursi anche per miglia e miglia in alcune zone della terra. Questo era un fenomeno nuovo, una manifestazione irreale che mi venne confermata da quello che  vidi, poi, sempre  con Valiante mentre  ci dirigevamo a Santa Maria  per vedere i pescherecci,  tirati a secco,  come se la stavano cavando in quel trambusto. Il tratto di strada Galleria- Centrale elettrica era zeppo di pietrame, bottiglie e barattoli e tanti altri piccoli oggetti, legname compreso. Il motorista di turno in centrale ci disse che era stato il mare a depositarli. “ Non i cavalloni ma l’acqua dell’alta marea che aveva superato l’arco che sta sotto il grottone ed era arrivata fino alla nostra porta”.


Quando, alcuni giorni dopo, incontrai Silverio Vitiello, il comandante del Maddalena e  gli raccontai di quanto ero  stato testimone, mi spiegò che quella specie di  marea anomala e tempestosa era dovuta ad una rapida variazione del livello del mare e al temporaneo accumulo di acqua presso la costa determinati dall’azione del vento e dalla depressione atmosferica. Quel fenomeno va sotto il nome di  “marrobbio”.


Quello che in seguito  causò la morte di centinaia di migliaia di persone, nel sud-est asiatico, di intensità maggiore, imparammo a chiamarlo Tsunami.


 


Marruffe – nassone s.m. Grossa e consistente  nassa fatta con rami di mirto. Era tenuta sempre in acqua, agguantata ad un pesante corpo morto, per depositarvi le aragoste pescate giornalmente. Era una specie di cassaforte che veniva svuotata quando, da quel  luogo, passava la mbrucchièlle.


 


Martelline – martello sf.  Caratteristico strumento di ferro  dei murarori,  chiamato anche  male e peggio. Da un lato ha una punta quadra a guisa di scalpello mentre dall’altro lato la punta è a forma di accetta.


 


Martiélle – martello s.m. Strumento con manico di legno.


 


Maruzze – chiocciola  sf. Piccolo mollusco terrestre, è un gasteropade commestibile. Alle prime acque settembrine i cercatori, armati di lampade a pile,  si sparpagliano per le campagne per riempire i loro canestri. Dicono che sono eccellenti dopo alcuni giorni di spurgo.


 


Maruzze spugliate – chiocciola  sf.  Verme simile alla chiocciola senza conchiglia. Ai tempi dei nonni venivano raccolte e vendute a che aveva bisogno di salassarsi.


 


Maruzziélle – chiocciolino  sm. Specie di chiocciola più piccola.


 


Marve – malva sf. Pianta e fiore. Una volta la si usava, come  altre piante,  per combattere, con decotti e impiastri, gli ascessi,  le infiammazioni intestinali, quelle renali, quelle   vescicali e la stitichezza.


 


Marvizze – tordo s.m. Labrus virtulis, dei labridi. Vive tra fondali rocciosi e posidonia. Ha carne discreta. Il tordo è anche un uccello migratore che passa per le isole ponziane nel mese di ottobre..


 


Mascariélle – guanciale sm.  Parte laterale della testa degli animali da macello. Molto usato in cucina, dalla pasta alla amatriciana  alla verdura selvatica con il mascariélle.


 


Mascellare – mascellare s.m. Battente dei boccaporti.


 


Maschiate – pendio s.f.  Versante terrestre, pendio, scarpata sottomarina. Mascone della barca.


 


Maschiature – serratura sf.  Congegno di ferro per chiudere a chiave.


 


Mascone – mascone s.m. Ciascuna delle due parti laterali della prora che bisogna opporre al mare grosso per limitare i danni allo scafo.


 


Masculià –  perdere  v. Caduta involontaria degli acini dai grappoli,  dai baccelli e dalla pianta.


 


Massa d’arje – massa di aria s.f.  Ammasso di nuvole.


 


Massone – pane  sm. Filone di pane, appositamente impastato e approntato per fare le freselle.


 


Mastre – Mastra s.f. Foro praticato nei ponti per il passaggio degli alberi. Mastra si chiama pure il lato verticale intorno alla apertura della  stiva su cui poggiano i boccaporti.


 


Mastrésse – saccente  sf. Donna che vuole fare la saputa.


 


Mastrille – trappola s.m. Arnese per prendere topi.


 


Mastugiorge – saccente sm.  Colui che dirige un determinato lavoro, sapientone.


 


Masturasce – carpentiere s.m.  Maestro d’ascia, falegname.


 


Matafone – Matafione s.m. Cordicella fissata alle vele per l’agguanto delle mani di terzarolo.


 


Matarazze – materasso sm. e anche sf. Grande sacco di panno, uniformamente imbottito e sagomato,  secondo la misura del letto, che si distende sopra la rete metallica o su tavole per dormirvi sopra.


 


Matarone – paratia s.m. Tavola di separazione del locale   motore. Ciascun tramezzo che divide le parti immerse di una nave. .


 


Matèrje – madiera s.f.  Ordinata, pezzo geometrico dello scafo.


 


Matréje – matrigna sf.  Seconda moglie del padre in relazione ai figli della prima moglie.


 


Matremmònje  – matrimonio  sm.  Unione di un uomo con una donna per formare una famiglia, confermata  dalla legge e santificata dalla chiesa.


 


Matricule – Matricola s.f. Registro tenuto dagli uffici marittimi in cui vengono scritturate le navi e la gente di mare. Tale iscrizione comporta automaticamente un numero,  sia per i natanti che per il personale.


 


Mattanze – mattanza s.f. L’uccisione dei tonni nelle tonnare. Qualsiasi pescata eccezionale per quantità.


 


Matte – matto  agg. Stupido, sciocco, stolto, bizzarro. Jolly nelle carte napolerane quando si gioca a sette e mezzo.


 


Màttere – madia  sf.  Attrezzo di legno dove si  impastava  la farina per panificare. Era una dotazione di quasi tutte le case perché in quasi tutte le case si faceva il pane.


 


Mattjà – bizzarrire v.  Di persona che si dimostra strana, che non prende le cose sul serio, bisbetica, capricciosa, stravagante, stizzosa, cervellotica, lunatica, ridicola, strampalata. Flirtrare, fare la corte, civettare, amoreggiare.


 


Mattuà – scalpello s.m.  Strumento di ferro, senza taglio, usato per far girare i dadi che la ruggine ha bloccato.


 


Mattunèlle –  mattonella sf. Mattone sottile per pavimentazione. Battuta ironica o cerimoniosa.


 


Mattuogle – groviglio s.m. Gruppo di fili arruffati.


 


Maùgge – scalpello  s.m. E’ uno scalpello storto che serve al calafato per togliere la stoppa dai camenti; sgraziato, imperfetto.


 


Mautone – mattone sm.  Mattone, onere, peso morale, di persona poco svelta e noiosa.


 


Mazzacane – pietrame sm.  Insieme di pietrisco con cui i muratori riempiono i vuoti.


 


Mazzàmme – ciarpame  s.f. Rimasuglia, scarto del pescato, pesciolini.


 


Mazzamuréne – ammazzamurene s.m. Bastone di legno duro usato per ammazzare le murene e per sminuzzare il pietrame rimasto impigliato  nella rete.


 


Mazzancuogle –  Mazzancoglio s.m. Penaens monadon, gruppo dei macruri. E’ uno tra i più nobili crostacei per cui il prezzo è sempre alle stelle.


 


Mazzapiérte- smargiasso  agg.  Spaccone, favorito dalla sorte.


 


Mazzarèlle –  bastoncino sm. Aste  che i bambini  di prima facevano a scuola per imparare a scrivere.


 


Mazzariélle – bastone s.m. Pezzo di legno consistente e nodoso usato per frantumare le “macciòtte” impigliate nella rete. Con lo stesso termine si indicano anche sassi o piombi che si agganciano agli ami della coffa per farla scendere e tenerla sul fondo.


 


Mazzate – mazzata sf.  Perdita  negli affari o nel gioco; duro colpo dato con la mano.


 


Mazze – culo sm.  Deretano; bastone..


 


Mazzecà – masticare v.  Ruminare.


 


Màzzeche e spùte – mastica e sputa  loc. Modo di dire per indicare un mare leggermente mosso.


 


Màzzere – masso s.f. Pietra usata per affondare e tenere sul fondo  gli attrezzi da pesca.


 


Mazzètte – maglio sf.  Grosso martello usato per rompere le rocce; sottomano illecito;  sm. gioco con le carte napoletane.


 


Mazziate – bastonatura sf.  Percossa, scnfitta.


 


Mazzòle – mazzuolo s.f. Martello a forma particolare con il  quale il calafata batte sullo scalpello per introdurre la stoppa nei camenti.


 


Mazzone – ghiozzo s.m. Gobius pagellanus, dei gobidi.  Vive in mari poco profondi, lungo le coste e nei porti. E’ quasi sempre immobile per attaccare gli altri pesci.


 


Mazzone i razze – ghiozzo testone s.m. Gobius cobitis. Ha il corpo più brillante del ghiozzo comune. Anch’esso si adagia sul fondo, mimetizzandosi, in attesa di prede.


 


Mbaglià– impagliare  v.  Coprire, rivestire di paglia  oggetti di legno e di vetro.


 


Mbagliatiélle – involtino sm. Non parlarne si  commette il reato di “Omissione di  un orgoglioso  passato”.


Per fare “u mbagliatiélle” erano necessarie le budelle di  capretto o di  agnello lattanti. Che fossero lattanti era la condizione indispensabile, laddove lattante significa che l’animale non aveva ancora iniziato a mangiare i primi fili d’erba. La massaia lavava accuratamente gli intestini e li metteva in un colapasta con qualche fettina di limone. Mentre l’acqua colava si dedicava al fuoco scegliendo addirittura i pezzi di carbone da usare.


Nella fornace più piccola del focolare poneva una  paletta di brace presa dal fornello a legna che era sempre in attività. Su questa brace sistemava, un po’ alla volta, i suoi pezzi di carbone  e  facendo uso del ventaglio, un arnese fatto con gli steli secchi del grano cuciti l’uno al fianco dell’altro, ravvivava    il fuoco che  sviluppava la fiamma e quando la fiamma incominciava a intaccare i carboni facendoli scoppiettare, lasciava il fuoco e ritornava alla preparazione  degli involtini.  Come primo atto allontanava  tutti quelli che le potevano dare fastidio. Non poteva distrarsi. Non doveva distrarsi perché stava per  officiare un rito.


Metteva le budella sul tavolo dove teneva già pronto l’aglio e il prezzemolo tritati e alcuni pezzetti di  pecorino sardo. Mischiava tutto aggiungendo il sale dovuto  e un po’ di pepe. Affagottava e arrotolava il tutto come un salame che legava avvolgendolo  con il budello più lungo che aveva messo da parte. Gli involtini erano pronti. Si avvicinava al fornello e metteva un po’ di cenere sui carboni ardenti per quietare le fiammelle.


Poggiava la graticola sul fuoco  ritirandola dopo qulche minuto per pulirla con un panno. La rimetteva sul fuoco e su di essa poneva gli involtini.


Dopo pochi minuti il grasso cominciava a sciogliersi consolando la cottura. Essa, la massaia, era lì, assorta, a rivoltare continuamente, con le mani, non usava la forchetta,  perché la arrosolatura fosse uniforme..


Un leggero fumo saliva nella cappa e si diffondeva all’esterno recando con sé  un profumo che solleticava le narici del vicinato e dei passanti, annientando prepotentemente qualsiasi altro profumo che potesse circolare. Tutti i componenti la famiglia, con l’acquolina in bocca,  aspettavano con bramosia il momento di sedersi a tavola.


Sono anni che quel profumo non si spande più per le strade di Ponza.


 


Mbaglià – impagliare v.  Coprire, rivestire di paglia  oggetti di legno e di vetro


 


Mballà – imballare  v.  Preparare  oggetti per la spedizione in modo tale che si possano caricare e trasportare senza danni.


 


Mbanduliére –  fermo agg. Il trovarsi, per motivi vari e diversi, in una posizione di stallo. I bastimenti a vela spesso, per mancanza di vento, si trovavano mbanduliere.


 


Mbarazzà – imbarazzare v.  Ingombrare,  incomodare, confondere, imbrogliare, mettere a disagio.


 


Mbarcà – imbarcare v. Caricare a bordo.


 


Mbastate – impasto sf.  Quantità di farina  impastata pronta per “arrotare” le pagnotte.  Agg. imbrattato, impiastrato.


 


Mbavesàte – impavesato agg. Modo di ornare gli alberi di una nave, dall’estrema poppa all’estrema  prua, con le bandiere in dotazione.


 


Mbè – ebbene cong. Così, dunque.


 


Mberluzze – merluzzo  s.m.  Merluccius merluccius, della famiglia dei madidi. Nasello. Molto diffuso nelle acque isolane. Si pesca per l’intero anno. I mesi invernali sono i più prolifici. La carne è eccellente. Si usa cucinarlo in vari modi: dorato e fritto, arrosto, a polpette. La sua morte migliore perché possa esprimere pienamente i suoi sapori è lesso,  condito con olio crudo, aglio, prezzemolo, limone e un po’ di peperoncino, che non guasta mai.


 


Mbestialute – imbestialito agg.  Inferocito, infuriato, arrabbiato


 


Mbezzarrute – imbizzarrito agg.  Inviperito, adirato


 


Mbolle – bolla  sf. Vescichetta, gonfiamento della pelle per scottatura


 


Mbracà – imbracare v. Legare con la braca.


 


Mbracce – fra le braccia  loc.avv. In grembo, sul seno.


 


Mbranate –   goffo agg. Impacciato, grossolano, disadatto, privo di attitudini per un determinato lavoro.


 


Mbrellàte – ombrellata agg. Colpo dato con un ombrello.


 


Mbrélle – ombrello  sm.  Oggetto di stoffa  sostenuta da stecche disposte intorno ad un bastone centrale. Serve per riparare dalla pioggia e dal sole.


 


Mbrellòcche – ornamento sm.  Ciondolo appariscente ma di poco valore


 


Mbrellone – ombrellone sm.  Grosso ombrellone che si usa d’estate  in spiaggia  per ripararsi dal sole.


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Mbriacà – ubriacare v. Inebriare, frastornare, perdere l’uso della ragione.


 


Mbriachèlle – dedito al vino sf.  Di persona che è solita ubriacarsi.


 


Mbriacone – capone ubriaco s.m. Trigloporus lastoviza. E’ una piccola gallinella  dalle carni molto più saporite della sorella maggiore. Di persona che ha il vizio di ubriacarsi spesso.


 


Mbruccate – indovinato agg.  Azzeccato, riuscito,  colto nel vero, previsto, imbroccato.


 


Mbrucchièlle – burchiello s.f. Bastimento a vivaio per il trasporto delle aragoste e dei capitoni vivi.


Il vero burchiello è una piccola barca fluviale per il trasporto di passeggeri e merci. E’ da ritenere che il  travaso del suo nome, dal fiume al mare,  vada  ricercato nella sua fattura che gli consente navigazioni tranquille anche con il mare grosso.


Questo tipo di imbarcazione, come mi raccontava Geppino Vitello, il cosiddetto Geppino dell’Ave Maria, uno dei più noti marinai della marineria ponziana del secolo scorso, è stata rubata agli spagnoli.


Raffaele Vitello fu il primo ponzese, che all’inizio del ventesimo secolo,  si trasferi in Sardegna per la pesca delle aragoste.


Quando ne accumulava una certa   quantità le portava a Genova e da Genova  a Marsiglia. Le sistemava, in ceste avvolte in foglie di canne, in un cesto che copriva con  un telo di iuta che veniva continuamente bagnato. Solo così le aragoste riuscivano a sopravvivere per qualche giorno fuori dall’acqua. Come arrivava a destinazione le metteva in vasche contenenti acqua di mare. Ma. nonostante tutti gli accorgimenti, la mortalità era sempre rilevante. Sul mercato di Marsiglia arrivavano aragoste anche dalla Spagna. Il sistema di trasporto era, all’inizio, identico.


Ma, un bel giorno,  il Vitiello  notò che gli spagnoli scaricavano le aragoste direttamente dalla nave,  prelevandole  dalla stiva di  un bastimento, ancorato in rada.  Subito scattò l’allarme nel suo cervello. Ma come era possibile tutto ciò?  Il suo primo pensiero, non potendo visitare la barca iberica, fu quello che gli spagnoli avessero riempito la stiva di acqua. Della cosa ne parlò al fratello Erasmo appena mise piede in Sardegna dove lo stesso si trovava con altri familiari sempre per la pesca. Dopo il consulto Erasmo partì per Livorno in cerca di un bastimento da usare, a suo giudizio, come quello spagnolo. La sua attenzione si posò sulla Ida, una goletta di ventidue metri. Si fece dire ogni notizia utile sull’imbarcazione e sul prezzo di vendita. Venne a Ponza per racimolare il danaro necessario che poté raccogliere con una  ipoteca su due  abitazioni della famiglia. Ritornò a Livorno, con alcuni marinai, che dovevano formare l’equipaggio, e con un carpentiere, che aveva contattato a Torre del Greco, per far calafatare l’interno del bastimento per evitare che l’acqua penetrasse, poi, per tutta la nave. Sistemata la calafatura, a  Olbia  riempirono metà  stiva d’acqua con un lavoro immane. Per il travaso usarono secchi e bidoni. Caricarono le aragoste  e fecero rotta  su Marsiglia. Non una tempesta ma “nu poche i màzzeche è spute” li costrinse a ritornare a Olbia. Per poco non affondarono. Sulle piccole onde, l’acqua contenuta nella stiva si riversava da una murata all’altra, provocando sbandamenti paurosi. Raccontarono di aver visto la morte con gli occhi.


Continuarono il commercio delle aragoste con le ceste.


Erasmo si trasferì   a Marsiglia, con Gennaro, il calafato che aveva chiuso, con la stoppa e il catrame, le connessure della Ida  con la speranza e l’intento di visitare la barca spagnola per vedere come fossse fatta all’interno.


Fu una caccia al concorrente. Erasmo fece l’impossibile, ed in questo venne aiutato anche dal grossista a cui entrambi portavano le aragoste, per conoscere il capitano spagnolo e la sua nave. Come lo incontrava lo invitava a bere in una di quelle   bettole caratteristiche di cui erano pieni i bassifondi marsigliesi.


Bevi  oggi e bevi domani, l’amicizia si saldò tanto che un giorno il capitano spagnolo sentì il dovere di invitarlo a bordo della sua nave a bere un Calvados.


Era quello che aspettava. Come era logico si fece accompagnare da Gennaro.


Quando varcarono la murata della barca spagnola Erasmo scese nel quadrato con il capitano mentre Gennaro  si mise ad osservare attentamente come era strutturata la nave. Anzi, cacciò il metro dalla tasca e prese pure qualche misura  suscitando la reazione furiosa del  capitano spagnolo che, salito in coperta per invitarlo a scendere nella saletta, lo aveva notato di soppiatto a prendere misure.


Con il buon senso, raccontando tutte le peripezie a cui erano andati incontro e la situazione economica della sua famiglia, Erasmo riuscì a calmare l’ira del collega spagnolo assicurandolo che non avrebbe svelato il segreto.


La “Ida” venne portata a Torre del Greco  dove Gennaro, con l’aiuto di altri carpentieri, la  sottopose a quelle  modifiche che  riteneva necessarie per averle  viste, notate e annotate sulla barca spagnola.


In quella circostanza lo spagnolo svelò anche che, nella stiva piena d’acqua, teneva sistemati una serie di cesti di vimini dove le aragoste si agguantavano  per evitare di essere sbatacchiate da una murata all’altra.


Quando la Ida, dopo le modifiche,  fu messa in acqua risultò molto appruata, un difetto che si è portato dietro fino alla distruzione, nonostante che la sottocoperta della poppa fosse stata riempita con pesanti massi.


Nacque così il primo bastimento vivaio, la prima Mbrucchiélle, della marineria ponzese.


Nelle prime decade del millenovecento Ponza aveva una flotta di circa venti mbrucchiélle: “Ida”, armatore Vitiello; “Angelo Raffaele”, affondata nella prima guerra mondiale, armatore Vitiello; “Giuseppe D.” di Benedetto Feola; “ Maria G. di Michele Conte e Cristoforo Gazzella; “S. Giuseppe Padre” di Antonio Vitiello (Carròcchje); “Santa Filomena” di Raffaele e Benedetto Sandolo; “San Salvatore” di Benedetto e Gennaro Sandolo; “ San Silverio” poi chiamata “Vittoria” di Aniello Sandolo; “San Gennaro” di Giuseppe Sandolo; “Bellonia” di Francesco Sandolo (Ndupitte); Mariù di Gennarino e Silverio Sandolo; “Nuova Maria”, meglio conosciuta come Porta pesce, di Gennaro Vitiello; “San Michele” detta a “miciose”, di Cristoforo Tagliamonte; “San Ciro”, poi “Maria Feola”, di Antonio Feola; “Narduccio” poi “Antonio Feola” , anch’esso di Antonio Feola; “Margherita Luisa” di Silverio Russo e Salvatore Romano; “Maria della Salvazione” di Antonio e Francesco De Luca; “ Rosalia” di Gavino; “Fiore del mare” di Catello Pagano.


“La goletta vivaio, scrive Giulio Vitiello, nave rivoluzionaria per sicurezza di navigazione e per la facilità della conservazione dell’aragosta, ha aperto orizzonti più vasti ed ha segnato un nuovo ciclo storico della marineria ponzese”.


 


Mbruglione – Imbroglione  sm. Che suole ingannare, impostore, intrigante, lestofante, truffatore.


 


Mbruogle – imbroglio sm.  Raggiro, cosa confusa, roba da inganno.


 


Mbrusature – truffa sf.  Frode, raggiro, inga nno.


 


Mbruscenà – strofinare v. Strusciare, adulare, palpeggiare. Inframmettersi.


 


Mbruzzate – elegante agg.  Agghindato, ornato.


 


Mbullecate– invaso agg.  Riempito di insetti.


 


Mbuppate – impoppata s.f.  Conseguenza di un forte vento in poppa che comporta una navigazione favorevole.


 


Mbutti  – imbottire v.  Farcire, insinuare, sobillare.


 


Mbuttunà – farcire v. Imbottire, riempire di ovatta, imbottire un gallinaceo, istigare, sobillare.


 


Meccàneche – meccanico  s.m. Operaio addetto ai lavori di officina.


 


Mécce – caletta s.f. Incastro fatto nel legno in modo che vi combaci l’altro pezzo.


 


Meccione – perno s.m.    Cardine che va incastrato.


 


Mégàfene – megafono s.m. Passavoce portatile a forma conica.


 


Mellone – cocomero sm.  Pianta con frutto, molto diffusi.


Il frutto è una  bacca globosa con diametro fino a 40 cm e  peso oltre i 20 chili. Ricoperto da una scorza verde con striature bianche. Polpa di colore rosso, dolce e rinfrescante. Ha anche sotto il nome di melone d’acqua.


 


Mellone i pane – cocomero  sm.  Pianta, anch’essa molto diffusa sia in Italia che all’estero. Il melone di pane differisce dal melone d’acqua. Le dimensioni sono molto ridotte. Ha la forma e la grandezza di un pallone da Rugby. La scorza è di colore giallognola o biancaccia con  striature. Il frutto è di colore giallo. Questo tipo di melone, in genere, va mangiato come antipasto in compagnia di prosciutto e salami. L’altro, il  melone d’acqua, va servito alla fine del pranzo, come frutta.


 


Melòcche – brodaglia sf.  Cibo liquido e insipido


 


Melù – melù s.m.  Micromesistius poutassou, dei madidi. Pesce di paranza.


 


Menà – menare v.  Condurre, portare, agitare, muovere, picchiare, dare botte, avventurarsi.


 


Menale – ammassamento  s.m.  Concentrazione, raggruppamento di pesci dovuto alla presenza di pesci più grossi e voraci. Caratteristico era quello dei castardelli che, sotto l’azione e l’opera del delfino, venivano ammassati e cinti con una rete semplice come un grande rettangolo. Una rete volante che non doveva  toccare il fondo per cui era scarsa di piombo mentre c’era un rinforzo di sugheri sul lato superiore.


 


Menestà – minestrare v.  Scodellare, fare le porzioni a tavola.


 


Menéste – verdura  sf.  Piatto di erbe, cotte in diversi modi. Una citazione particolare, perché fa parte del menù delle squisitezze,  la meritano i “fagioli e scarola”.


 


Mennèlle – mennola  s.f. Maena maena. Si chiama anche mendola. Vive lungo le coste su fondali rocciosi. E’ buona fritta.


 


Mènnule – mandorla sf.  Frutto del mandorlo chiuso in un guscio legnoso. Il seme è molto usato in pasticceria.


 


Ménse – mensa s.f. Locale dove l’equipaggio di una nave e gli operai di una azienda si radunano per il pranzo e la cena.


 


Menuzzagle – minutaglia sf.  Frantmi di pasta o di altra cosa.


 


Menuzze – tritato agg. Sminuzzato, ridotto in frammenti.


 


Mèrche – marchio sm.  Suggello, contrassegno, cicatrice.


 


Merdille – merdoso  agg.  Si usa  per definire quei ragazzi che si atteggiano a persone grandi.


 


Mèreche – america sf.  Espressione che è entrata nel linguaggio isolano per definire una situazione favorevole, una situazione di fortuna, in quanto l’America, USA, era  considerata un paese dove c’era lavoro e dove la retribuzione era eccellente.


 


Mèreche  – zappone sm. Attrezzo da lavoro in ferro consistente, simile ad un piccone. Da un lato una grossa zappa e dall’altro lato una pinna trasversale. Usabile per   qualsiasi tipo di lavoro. La sua utilità ha spinto i contadini isolani a richiederlo ai parenti o agli amici che  vivevano negli Stati Uniti. Questi, quando rientravano a Ponza, poratavano  bauli pieni di attrezzi di lavoro e manici di legno perché l’occhiello dove incastrare il manico era diverso. Oggi questo prodotto si fabbrica anche in Italia.


 


Meridiane – meridiano s.m. La linea che unisce i poli.


 


Mèrne – orlo sf.  Margine, parte esterna  di una  catena.


 


Mèrule – merlo sf. Uccello migratore.


 


Merulle – midollo sm.  Sostanza  che è in tutte le cavità del tessuto osseo.


 


Mesàle – panno sm.  Panno semplice o ricamato che si stende sulla tavola per apparecchiare la mensa, mantile.


 


Mesate –  mesata sf.  Stipendio, paga, salario, emolumento di un mese di lavoro.


 


Mescà – mischiare v.  Immischiare, mettere insieme, confondere, contagiare qualche malanno.


 


Mésse in mòte – messa in moto s.f. Congegno che serve per mettere in movimento un motore


 


messuole – zerro reale s.m. Maena smaris. Una specie di retunne, buono, di tanto in tanto, soltanto alla brace. A Ponza si usa mangiarlo fritto per evitare di preparare la brace.


 


Mesuriélle – misurino sm.  Decilitro, misura di capacità.


 


Méte – pagliaio sf.  Mucchio di erba secca accatastata attorno ad un palo centrale. Era il fieno per la pastura invernale degli animali.


 


Mètere – mietere v.  Falciare, tagliare, raccogliere.


 


Meticuluse – meticoloso agg. Preciso, esigente, scrupoloso, capriccioso.


 


Mèuze – milza sf. Ghiandola animale che si trova nella cavità addominale e serve per la formazione del sangue.


 


Mezaléngue – balbuziente agg. Di persona che ha il difetto di balbettare e che pronuncia le parole stentatamente. Barbugliante, cincischiante, tartagliante. La balbuzia tende sinpatico chìi ne è affetto. Sono da ricordare Giacomino, Pasquale, Silverio (a galline),  Giulio.


 


Mèzavotte – mezzabotte sf.  Recipiente corpacciuto di legno a doghe, tenute ferme da anelli di ferro circolari, dove si mette il vino. Questo tipo di contenitore ha la capacità di sei barili. Il barile ha una capacità di 44 litri.


 


Mèzz’aste – a mezz’asta s.f. Dicesi di quella bandiera issata a metà asta in segno di lutto.


 


Mèzzafòrze – a mezza forza s.f.  Modo di dire per indicare che l’apparato motore va ad andatura media.


 


Mèzza nave – mezza nave s.m. Andatura del vento che colpisce la nave lateralmente.


 


Mezzane – mezzana sm.  Relativo all’albero di poppa.


 


Mezzanèlle – mezzanella s.f. Nome di una vela situata tra l’albero di maestra e quello di mezzana. Asse di legno larga 12-15 centimetri e lunga metri quattro.


 


Mezzone – spezzone s.m. Una porzione, una parte di cima o di tavola. Cicca di sigaretta..


 


Micciariélle – Fiammifero sm.  Stecchino di legno o di cera, con una capocchia intrisa in una mistura di zolfo che, strofinata, si accende.


 


Miédeche – medico sm.  Dottore in medicina.


 


Miérche – segno sm. Bitorzolo,  ferita, cicatrice.


 


Miérculedì – mercoledì sm.  Giorno della settimana

 


Miérule – merlo sm.   Merlo, uccello migratore


 


Miérule i muntagne – merlo di montagna  sm.  Passero solitario, uccello della famiglia dei turdidi, di colore grigio, blù-scuro, molto ricercato per il canto melodioso e malinconico.


 


Miéze – mezzo agg.  mezzo, metà; avv. al centro.


 


Miéze marenare – mezzo marinaio s.m. Gancio incastrato in una asta di legno. E’ utile in tante circostanze.


 


Migle – miglio s.m. Unità di misura delle distanze marine. Vale 1851 metri e 85 centimetri.


 


Mile- melo sm.  Albero che fruttifica la mela.


 


Minorchje – orbo sm.  Guercio, cieco di un occhio.


 


Misce -. gattino sf. Animale domestico.


 


Miézjuorne – mezzogiorno s.m. La direzione del punto   cardinale sud oltre che le dodici sull’orologio.


 


Mmàculate – Immacolata sf.  Nome di persona


 


Mmàggenà – immaginare v. Supporre, prevedere, pensare, ideare, figurarsi, inventare.


 


Mmane – in mano Avv. Tenere qualcosa fra le mani.


 


Mmaretà – maritare  v.  Prendere marito.


 


Mmasciàte – messaggio sf. Imbasciata, comunicazione, dichiarazione d’amore.


 


Mmènnule- mandorla  sf. Seme di mandorlo chiuso in unn guscio legnoso.


 


Mmescà – mischiare v.  Mescolare, contagiare, confondere.


 


Mmèstere – urtare v. Cozzare, investire, irritare..


 


Mmestùte – spinta s.f. Urto, cozzata.


 


Mmmezziate – avvertito agg.   Suggerito, sobillato, istigato.


 


Mmità – metà sf. Una delle due pari uguali in cui si divide un intero. Cosa incompiuta.


 


Mmocche –  in bocca  loc.  Di qualcosa che è stata ingerita.


 


Mmorre – branco sf.  Stormo, gruppo, gran numero.


 


Mmuccà – Imboccare v. Abboccare,  credere ingenuamente.


 


Mmuttà –  travasare v.  Versare il mosto nella botte.


 


Mò –  ora  avv. In questo momento, adesso..


 


Mòfadujeanne – due anni or sono . loc. Fatto avvenuto due anni fa.


 


Mofallanne – anno scorso loc.  E’ passato un anno, un anno fa.


 


Mòle – mola sf.  Dente molare, macina a mano per il grano. Negli anni addietro, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, l’agricoltura rappresentava la fonte economica più importante dell’isola. Oltre ai legumi si coltivavano anche i cereali fra cui il grano che si usava per fare il pane. A Ponza non esistevano mulini  e quasi tutte le famiglie contadine avevano la mola in casa per macinare il grano che producevano.


In un angolo di una  parete  della cucina era sistemata la mola. Consisteva in due grossi lastroni di roccia viva, basalto,  lavorati dallo scalpellino.  Essi avevano uguale circonferenza.


Il  lastrone inferiore  veniva bloccato con il calcestruzzo su un tavolato quadrato con il lato di un metro, munito di bordo.Il lastrone al centro presentava un foro in cui passava una asta di ferro alla cui estremità superiore veniva posto un  ferro di forma particolare che andava ad incastrarsi  in un incavo  appositamente creato nel lastrone superiore in modo da permettere il combaciamento perfetto dei due lastroni e la possibilità, a quello superiore,  di girare.


Il lastrone siperiore presentava al centro un foro di circa dieci cm di diametro da cui  si notava l’attrezzo di ferro incastrato nell’apposito sito  che gli permetteva di roteare. In questo foro vniva immesso, a manate, il grano da macinare. Facendo leva con dei cunei sull’asse centrale si graduava la macina. Il movimento rotatorio al lastrone veniva dato da un bastone che da un lato si infilava in un incavo ricavato sul lastrone mentre la parte superiore andava ad infilarsi in un buco di un asse di legno, infisso saldamente nella parete, che doveva risultare perpendicolare al foro centrale della macina..


 


Mòlafuorbece – arrotino sm.  Chi arrota i ferri da lavoro per mestiere.


 


Mòneche – monaco s.m. Sostegno al castello di prua di un veliero. Monaco, frate.


 


Morve – Mora  sf.  Frutto del rovo.


 


Mòrze – morsa s.f.  Sostegno di legno o di metallo su cui  poggiano la prua e la poppa delle imbarcazioni che stanno a bordo, sui ponti. Sono sagomate in modo tale da aderire perfettamente alla forma delle lance.


Scogli e alghe in un fondale sabbioso. Esca per gli ami.


Quando la coffa era l’attrezzo principale per determinati tipi di pesca, come quella al merluzzo, l’esca che si usava non veniva ributtata in mare al ritiro delle coffe. Il pesce, intero o a pezzo, mangiucchiato o meno, veniva staccato dall’amo, quando lo conteneva, e messo in uno spasone, una grossa cesta di legno, appositamente sistemata in coperta. In banchina veniva diviso tra l’equipaggio. La morte della “mòrze” era la frittura. Il tempo di stare nell’acqua salata  dava sia  alle sarde che  ai “retunne” un sapore eccezionale. I pezzi di aguglia, poi,  erano leccornie.  Strumento di ferro o di legno a guisa di una grossa tenaglia che, a mezzo di una vite,  allarga e  stringe le due ganasce.. .


 


Moste – saggio sf.  Pezzetto, piccola quantità usata per campione.


 


Mòte – convulsione sm.  Contrazione, scossa,  paralisi,  crampi, insofferenza.


 


Motobarche – motobarca s.f. Barca con motore interno.


 


Motonave – motonave s.f.  Nome generico che si dà a tutte le navi la cui propulsione è data da motori diesel.


 


Moto ondose – moto ondoso sm.  Definizione di movimento che il vento imprime alla superficie del mare.


 


Motopeschèrécce – motopeschereccio s.m. Con tale termine si designa in generale il naviglio da pesca di grossa portata. Da noi si designa la barca che effettua  la pesca con la rete a strascico.


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Motore – motore s.m. Apparecchio che genera il moto rotatorio ad un asse che, a sua volta,  lo imprime ad una elica che dà  il movimento alla nave.


 


Motoriste – motorista s.m. Marittimo munito di patente per la conduzione di un  motore.


 


Motoscàfe – motoscafo s.m. Nome generico delle imbarcazioni con motore a combustione.


 


Motoveliére – motoveliero s.m. Questo nome viene dato al bastimento a vela munito di motore che gli consente una certa velocità specialmente nelle manovre.


 


Mòtte – pezzo sf.  Parte di una cosa solida  divisa dal tutto. Fetta, frammento, scampolo, brandello.


 


Mozze – mozzo s.m. Marinaio ai primi imbarchi e addetto ai servizi di bordo.


 


Mozze i ll’éleche – mozzo dell’elica s.m Parte estrema dell’asse dove viene incastrata l’elica.


 


Mpappinà – impappinare v.  Non capire più nulla, perdere il filo del discorso, non sapere più cosa dire.


 


Mpapucchià – Infinocchiare v. Imbrogliare, confondere, abbindolare, ingannare.

 


Mparà – imparare v.  Apprendere, istruirsi, insegnare.


 


Mparanze – insieme  avv.  In modo uniforme


 


Mparmature – impalmatura s.f. Legatura che si fa, con lo spago, alle estremità delle corde, quando non si è fatta la coda di zòcchele, per evitare che si sfilacccino.


 


Mpastà –  impastare v,  Spegnere la farina nell’acqua e ridurla a pasta, impastare la calcina.


 


Mpaste – impasto sm.  Il fornaio ha il suo impasto di farina, il nuratore ha il suo impasto di calcestruzzo.


 


Mpastucchià –  impiastricciare v.  Di pessimo artigiano edile o per chi dice sciocchezze.


 


Mpatrunì  – impadronirsi v.  Appropriarsi, impossessarsi di qualcosa che non è sua..


 


Mpattà – impattare v.  Pareggiare, uguagliare.


 


Mpavesate – impavesata agg.  Che espone il gran pavese.


 


Mpazzute – Impazzito agg. Ammattito, sbizzarrito.


 


Mpecciuse – impiccioso agg. Fastidioso, seccante, capriccioso


 


Mpechère – Impicciona sf. Pettegola, intrigante


 


Mpegnà – Impegnare v.  Promettere, obbligarsi,  pignorare


 


Mpènnere – impiccare v. Sospendere  qualcosa  per agganciarla in alto.


 


Mperepicchje – stare al centro loc.  Mettersi in mostra.


 


Mpernacchiate – agghindato agg.  Ornato goffamente e  vistosamente senza gusto


 


Mperruse – bizzoso agg. Stizzoso, ostinato, intestardito.


 


Mpetenate-  patinato   agg.  Smaltato, ricoperto di smalto, ornato di colori vivaci a guisa di smalto.


 


Mpicce – Impiccio sm.  Fastidio, impedimento, seccatura, inconveniente, compromissione.


 


Mpicchjempacchje – tresca sm. Intrigo, maneggio, avere rapporti amorosi disonesti; confusione di parole, imbroglio, pastrocchio, inganno, frode.


 


Mpiérne – dritto loc. avv. Dritto in alto, davanti.


 


Mpigne – tomaia sf.  Parte superiore della scarpa.


 


Mpise– appeso  agg.  Sospeso, penzolone, di persona degno di forca; boccanera, pesce immangiabile.


 


Mpizze –  in punta  loc. avv.  Sull’orlo, sul punto, là.


 


Mpizze-mpizze  –  All’estremo limite loc. avv. All’ultimo momento, al momento opportunno..


 


Mponte – alla punta avv. Sull’orlo, alla estremità.


 


Mprenà – ingravidare v.  Impregnare, mettere incinta.


 


Mpruvvisamènte – improvvisamente avv.  Inaspettatamente, all’improvviso.


 


Mpruvvisate – improvvisata sf.  Piacevole sorpresa, visita o regalo inattesi.


 


Mpugnate – impuntato agg.  Ostinato, caparbio.


 


Mpupazzate – imbellettato agg. Agghindato, allindato con cattivo gusto e con toni marcati.


 


Mpuppate – impoppata s.f. Navigazione con mare e vento in poppa.


 


Mpurpate – Inzuppato agg. Bagnato, imbevuto.


 


Mpustarèlle – colazione sf.  Merenda a base di pane e salumi.


 


Mpustate – appostato agg.  Tenace in una richiesta.


 


Mpustatézze – prepotenza sf.  Atteggiamento mafioso di chi pretende senza neppure chiedere, arroganza, affronto.


 


Mpùzzelentì – ammorbare v.  Appestare.


 


Mubigle – mobilia sf. L’insieme di tutti i mobili e le masserizie di una casa.


 


Muccature – imboccatura s.f. Filo con amo che viene legato alla lenza o alla coffa. Filacciolo.


 


Mucche – muco sm.  Moccio, umore nasale.


 


Muccigle –  rimasuglia sf.  Ciarpame, minutaglia, briciole, residuo.


 


Muccuse – moccioso agg. Sporco di muco, di ragazzo che si dà arie da grande.


 


Muffe – muffa sf. La muffa nasce sui corpi umidi ed emana un cattivo odore.


 


Mugghje – tricone s.m. Dasyatis centroura. E’ il tipo di razza più grande che vive nei nostri mari. Sul dorso della coda presenta due spine  seghettate con le quali caccia e si difende. Sono pericolose anche per l’uomo.


 


Mugghjesurde – persona insensibile sm.  Che mostra sempre  indifferenza, paragonabile ad un tricone  la cui spina che tiene sulla coda è pericolosa anche per l’uomo in quanto è collegata a organi veleniferi assai tossici.


 


Mughione- sornione agg.  Persona di carattere chiuso, gattamorta pronta a scattare, lima sorda.


 


Muglière – moglie sf. Donna congiunta in matrimonio, coniuge, consorte, signora, sposa, metà.


 


Mugugnà – mugugnare v. Brontolare, borbottare per scontentezza senza, però, grave risentimento.


 


Muille –  bastonatore sm.  Attrezzo agricolo usato per battere i legumi secchi per liberarli dal baccello. Era formato da due bastoni di diversa lunghezza  tenuti uniti da una cordicella lunga all’incirca 20-25 cm. che viene annodata alla  setremità delle due mazze. L’asta lunga è nelle mani del contadino che agitandola fa roteare quella più piccola spingendola, con forza,  sulle bacche secche stese per terra, liberandone i legumi o i cereali.


 


Mulenare – Ombrinale s.m.  Ciascuno dei fori praticati nelle murate e nelle  pareti delle navi  per lo scolo delle acque. Quelli per la fuoriuscita dell’acqua che si imbarca con il mare agitato sono muniti di un congegno che impedisce l’afflusso dell’acqua quando si immergono nel rollio del bastimento.


 


Mulegnane – melenzana  sf. Pianta con frutto commestibile.


 


Muleniélle – mulinello s.m. Vortice. Riccio di profondità con grossi aculei.


 


Muliére – corallo s.m. Definizione di corallo morto, già secco, che sta sul fondo e si impiglia nelle reti.


 


Mullà – mollare v. Sciogliere per evitare di tenere in forza una qualsiasi cima o una catena. Sciogliere le cime che legano il bastimento a terra. Mollare le vele. Mollare in poppa, manovra che si fa con il mare grosso facendo girare la nave fino a volgere la poppa al mare e al vento.


 


Mullépete – afosità s.f. Aria calda e soffocante, canicolare e opprimente, calura. Tempo sciroccoso. “U tiémpe s’è cagnate: è gghiute int’a mullépete” annuncia l’uomo di mare quando c’è il passaggio dalla brezza fresca all’aria di scirocco.


 


Mullese – soffice agg.  Morbido, cedevole.


 


Mulliche –  mollica sf. Briciola.


 


Mummele – orcio  sf.  Vaso di terracotta panciuto con manico usato per contenere l’acqua; testa di persona inetta e incapace.


 


Munachètte – monachetto  s.f. Bitta di legno


 


Munaciélle – folletto sm.  Demonietto che ha seguito i nostri antenati colonizzatori e che sarebbe apparso, come raccontavano i nonni,  in alcune case per portare doni o per arrecare danni. La figura del  munaciéllo nacque a Napoli nel periodo del  medio evo.  Ne furono protagonisti una coppia di giovani ed un loro figlio. Caterina  Frezzi, figlia di un ricco commerciante di tessuti che aveva diversi negozi, si invaghi di Stefano Mariconda, un giovane operaio alle dipendenze del padre, che corrispose. Si vedevano e si parlavano sempre di nascosto per non farsi scoprire dal padre di lei che mirava a farla sposare con qualche giovane possidente. Quando si accorse che i due civettavano successe il finimondo. Il contrasto tra padre e figlia raggiunse toni altissimi. Il padre proibì alla figlia non solo di  frequentare i negozi ma addirittura di uscire di casa. I due non si videro per un lungo periodo e fu una sorella di lei, una autentica ruffiana, a studiare il caso e a far riallacciare i rapporti. Stabilirono che si sarebbero visti sul terrazzo della abitazione di Caterina.


L’amore è quel malanno che improvvisamente sboccia nel cuore e se non lo si sa curare porta vorticosamente alla morte. Stefano e Caterina, sempre con la complicità della sorella,  trovarono il modo di curarlo tenendolo al calduccio. La sera tardi, Stefano avvolto in un ampio mantello nero, per nascondere la sua identità, penetrava nella scala buia e tetra di un palazzo che lo portava fino al tetto da dove, scavalcando parapetti, i palazzi erano attaccati l’uno all’altro, arrivava su quello di Caterina che era già lì ad attenderlo. E’ immaginabile quello che avveniva sul terrazzo di quel palazzo posto in una via centrale di Napoli. Caterina non era una ragazza “sprùcete”, collaborava  con passione in cambio di sensazioni nuove ed emozioni diverse. E una sera, buia e tetra per la mancanza della luna,  all’oscuro, come lo furono anche loro, successe il fattaccio. La sorella di Caterina, aggiornata, lo bisbigliò alla mamma. Apriti cielo! Si alzarono le cateratte e un nubifragio inondò la povera innamorata fanciulla. Una sera, mentre si abbeveravano alla celestiale fontanella dell’amore, due braccia assassine afferrarono Stefano per le spalle e lo catapultarono nella strada sottostante. Il corpo senza vita di Stefano giacque nella strada fangosa mentre Caterina  scappò da casa rifugiandosi in quel convento di monache  dove il padre minacciava di rinchiuderla se avesse continuata a frascheggiare con Stefano.


Un bel mattino, in una cella del convento, assistita dalle suore, Caterina diede alla luce un bambino che, nonostante le numerose cure, non riusciva a crescere normalmente.


Per  scongiurare la iettatura, le monache lo vestirono con un abito da monaco e la gente, nel vederlo, lo chiamava  “munaciélle” , cioè piccolo monaco. La sua conformazione fisica, piccolo e con un gran capo e con  il vestito che portava addosso, gli conferiva un aspetto talmente goffo e sgraziato che la gente, quando lo incontrava, lo ingiuriava, lo insultava, lo offendeva, lo denigrava.  Quando, per caso, passava, sempre alla mano della mamma, davanti a un negozio del padre di lei, dalle ingiurie e dagli insulti si passava, per spregio, al lancio di pomodori, cipolle e anche a qualche bidone di orina, sventolando poi oggetti e arnesi  contro il malocchio.


In un baleno si diffuse la voce che “u munaciélle” era uno stregone apportatore di disgrazie e chi lo incontrava si faceva il segno della croce bisbigliando preghiere e parole di scongiuro.La mamma, non potendo reagire alle offese,  lo costringeva a non uscire dal convento dove le monache lo adibivano alla manutenzione dell’orto.


Una notte scomparve. Nessuno seppe che via prese. Nacque il dubbio che fossero stati i Frezzi a farlo scomparire. La scomparsa fisica non dileguò i dubbi sulla sua figura. Anzi dopo la sua  sparizione ebbe inizio la vera vita di questo personaggio che ha fatto epoca con la sua bizzarria di essere generoso e munifico, bizzoso e birichino, fino alla metà del secolo scorso. Oggi non si  sente più parlarne.


 


Mungerrate – latte acidulo  sm. Serve per fare la cagliata.


 


Munigle – minutaglia sf. Carbonella; danaro contante.


 


Munnà – mondare v.  Sbucciare, nettare.


 


Munne – mondo sm.  Società, l’insieme degli esseri viventi.


 


Munnézze – immondizia sf. Spazzatura, rifiuti. La nostra epoca sarà sicuramente definita dai posteri: “ l’Era della monnézza”.


 


Muntà – montare v. Oltrepassare un punto della costa. Superare un promontorio, un capo, uno scoglio; riparare, comporre, salire.


 


Muntone – mucchio sm.  Catasta, cumulo.


 


Munuzzagle – minutaglia sf.  Doverse cose minute insieme; persona di poco conto.

 


Muole – molo s.m. Luogo di ormeggio scaturito da un  argine in pietra e calcestrutto che, nel porto si protende nel mare per formare e racchiudere una zona di calma necessaria alla sicurezza delle navi. Molo, banchina, punto di ormeggio.


 


Muolle – mollo agg. Tenero, debole, poco denso.


 


Muoneche i mare – monaco di mare s.m.  Monacus monacus, dei cetacei. Foca monaca.


 


Muoppete – mosso agg.  Spostato, cominciato, partito, rimosso, trascinato.


 


Muorte – morto sm.  Cadavere , bara. E’ incapibile e inspiegabile  perchè in questo paese la mortualità si dice sempre al maschile: “sta passanne u muorte”, sta passando il morto, anche se nella bara c’è il cadavere di una nonna di centodue anni o quello di una ragazza di vent’anni mentre, invece è tutto al femminile quando ci si riferisce allo sposalizio: Férmete, sta passanne a spose”, fermati! Sta passando la sposa.  .


 


Muorze – morso s.m. Boccone, esca.


 


Muotele – modello s.m. Pezzo di legno, fatto su misura, per sarcire le reti.


 


Murale –  paletto s.m. Sostegno


 


Murate – murata s.f. Con questo termine si definiscono le pareti laterali di una nave dalla linea di galleggiamento fino all’orlo superiore dei fianchi. Si ha così la murata di dritta e quella di sinistra.


 


Murène – murena s.f.  Murena helena del gruppo anguillidi. La murena è un  pesce caratteristico dei nostri mari. Una volta molto ricercata per la bontà delle sue carni. Il fondale della Botte è la zona più ricca di murene nel mare che circonda Ponza.


 


Murille – muretto sm.  Parapetto di protezione.


 


Murmulià – mormorare v.  Borbottare, brontolare, bisbigliare.


 


Murmuliatore – Brontolone sm.  Di persona che borbotta per abitudine,   mormoratore, maldicente.


 


Murre – mura s.f. Manovra delle navi a vela. Comunemente si dice che un veliero naviga con la mura a dritta o con la mura a sinistra a seconda  da dove riceve il vento, da dritta o da sinistra.


 


Murtale-  mortaio sm. Vaso di pietra o di metallo, fornito di pestello, usato  per schiacciare  droghe o erbe aromatiche  da usare in cucina; cannone, fuoco artificiale.


 


Murtélle – mirto  sf.  Questo termine merita una citazione particolare. L’arbusto che vegeta, in grande quantità, a Ponza è la mortella e la bacca che essa produce non è il mirtillo bensì il mirto.Mirto la pianta, mirto la bacca. Mirto e mirtillo sono, quindi due cose distinte e separate. La differenza l’ha fatta notare un “personaggio” della Val di Non che ha trovato moglie, e che moglie!, a Ponza.  Nelle isole ponziane alligna dunque la pianta del mirto e non quella del mirtillo. Il mirto è una pianta costiera, una delle componenti la macchia mediterranea, mentre il mirtillo è una pianta di montagna.


Il mirto, comunemente noto come mortella, è un  arbusto sempreverde che nasce spontaneo. Il mirto è un pianta non solo bella ma anche utile. Gli steli venivano usati,  fino a pochi anni fa, per fare l’ossatura delle nasse, dei cesti e dei canestri . I buongustai, quelli dal palato fino, usavano le fascine di mirto per l’arrosto. Le bacche vengono raccolte per fare un liquore. Sono un accanito raccoglitore di mirto che regalo con gioia alle famiglie amiche. Quest’anno, dopo averne sentito parlare, ho avuto la gioia e il piacere di addentellare bacche di mirto bianco. Michele Mazzella, figlio di un mio alunno che ha creato una nobile famiglia, sapendo di questa mia passione  mi parlò del mirto bianco avendo egli avvistato la pianta durante una battuta di caccia. Pur essendo incredulo feci una piccola riflessione: il mirto fiorisce nei mesi di maggio e giugno dando luogo ad un frutto della grandezza di una nocciolina che dal colore bianco passa, nel periodo della crescita e  della maturazione, ad un colore nero violaceo con vivaci riflessi metallici. Le bacche si raccolgono nel periodo del tardo autunno e inizio inverno. La maturazione completa avviene in dicembre. Quelle bacche di cui mi parlava Michele erano dunque un stranezza,  appartenevano ad una varietà di mirto di cui non conoscevo, e penso anche altri,  la loro esistenza.


Le bacche bianche di Michele appartengono, quindi, ad una varietà di mirto che vive sulla nostra isola. Michele mi indicò il canalone dove si trovavano ma io, per tre giorni di seguito e per diverse ore al giorno,   non riuscii a rintracciarle. Fu un altro giovane amico, Vincenzo,  ad accompagnarmi  un mattino che lo incontrai per caso nella zona.


Eccoli, mi gridò puntando il dito verso una pianta che io, per tre giorni , avevo toccato il fusto perché mi ero fermato a raccogliere bacche da una pianta limitrofa, attaccata ad essa.  Fu il colmo. Ma la contentezza superò ogni cosa. Tagliammo con le forbici da pota, che porto sempre appresso, tre piccoli rami pieni di bacche per fotografarli e mostrarli. Assaporai diverse bacche, erano mature ed il loro colore era bianco avorio. Fu una conquista.


Quando ho consegnato una delle  foto a Michele mi disse che quest’anno, per la prima volta, e separatamente, aveva fatto del liquore di mirto con le bacche bianche e che era quasi giunto a maturazione. Mi precisò che il liquore pur essendo di colore chiaro non aveva assunto quello del bianco della bacca. Lo assaggerò in questi giorni.


Sin dai tempi antichi, il  mirto era  considerato il simbolo della bellezza e dell’amore e i rami fioriti venivano usati per ornare le case in occasione di matrimoni. Per i romani il mirto, assieme all’alloro, era considerato il simbolo della pace e della vittoria.  A tal proposito per Ponza circola un antico proverbio: “Nin se po’ fa a fèste sènze a murtélle”, non si può fare la festa senza la mortella. E’ rimasto il simbolo della festività.


 


Murtòrje – mortorio  sm. Ritrovo senza allegria,  senza gioia, senza gaiezza.


 


Muruvone – moriglione sm.  Uccello tuffatore.


 


Murveglione – tonchio sm.  Insetto che infesta bucandoli  i legumi e i cereali.


 


Muscariélle – moscardino s.m. Particolare tipo di polipo.


 


Musce- moscio agg.  Lento, floscio, pigro.


 


Muscellàte – ammosciata s.f.  Bonacciata, calmata.


 


Muscélle – gattino sf.  Di ragazza modesta, dall’aspetto insignificante ma pronta a graffiare..


 


Muscheglione – moscone sm. Calabrone, mosca stercoraria, insetto; di uomo che ronza attorno ad una ragazza.


 


Muschére – moschiera  sf. Porta con rete  metallica per evitare l’entrata degli insetti.


 


Muschigle – moscerino sm. Nome di varie specie di  insetti ditteri che  volano   nunerosissimi a sciami.


 


Musciarje – pigrizia sf.  Mosceria, lentezza, mancanza di allegria.


 


Musciélle – muscello s.m. Morsello, treccia fatta con sfilacci di corda fuori uso. Adoperato per fare gli stroppi e le legature temporanee.


 


Muscille – gattino sm.  Giovane gatto.


 


Musdéje – pastenula s.f.  Phicis-phicis, della famiglia dei madidi. Minghiale di scoglio, pastenula bruna.


 


Musdéje i funnale – pastenula di fondo s.f. Lepidion lepidion, delle moridae. Si pesca, con la gemella pastenula bruna, con le reti e con le coffe. Sulla secca tra le Formiche e la Botte, secca di  mezzo canale, con la consulenza di Maresciallo, padrone della barca ma soprattutto capopesca, e con la collaborazione di Silverio, Salvatore, Raffaele e Aurelio, a cui va il caro ricordo di tutti noi,  ho avuto il piacere di assistere “all’assuccàte” di musdeje intorno ai  cinque chili di peso. Sott’acqua, mentre salivano, agganciate all’amo, sembravano cernie.


 


Musechià – borbottare v.  Mormorare, brontolare.


 


Musutèlle – ombrinale s.m.  Foro nelle ordinate della barca per far scorrere l’acqua verso poppa.


 


Mussaròle – museruola sf.  Arnese che serve a serrare, per non farli mordere,  il muso ai cani e agli altri animali mordaci.


Un mattino di maggio, Severino, passando davanti alla bottega di calzolaio di Ciccillo di Maestà, si ferma un attimo per dirgli: “ sono stato alla Scarrupata, ho sparato ad una sola quaglia e la bòtta se l’è mangiata”. Voleva dire che la schioppettata l’aveva disintegrata. Ciccillo, dalla battuta facile, non fa alcun commento. Passano alcune ore e Severino ripassa nuovamente davanti alla porta di Ciccillo e, come era solito fare, si ferma un attimo per il saluto: Ciccillo lo blocca e gli dice: “Fà a mprèsse, vall’a cattà, Veruccio, l’armiere che aveva il negozio contiguo alla sua nottega,  ha avuto le cartucce con  la museruola”.


 


Musse – muso  sm.   Labbro, grugno, la parte anteriore del capo sia degli uomini che degli animali


 


Mustà – mostrare v.  Dimostrare,  far vedere, esporre,  palesare, additare, rivelare, indicare, accennare.


 


Musstàcce – baffo sm. Mustacchio, baffone.


 


Mustarde – mostarda  sf.  Si potrebbe anche definirla un dolce isolano. Occorrono: semola, vino cotto e succo di fichi d’india,  frullati e setacciati. In una pentola  si mettono  le materie liquide e si portano ad ebollizione, si aggiunge la semola come se si cucinasse la polenta. Alcune massaie ci aggiungono anche i semi del finocchio selvatico.  Quando la semola è cotta si versa il tutto in un piatto da portata perché si raffreddi.  Quando si è raffreddata si taglia a pezzetti.  Va mangiata come se fosse un pezzo di cioccolato. Una volta si faceva in tutte le case contadine. Oggi è diventata una cosa rara. La vedova  di Aurelio Conte, la signora Giuseppina, ancora la fa per regalarla agli amici del marito.


 


Musutèlle – ombrinale sf. Buco nelle ordinate della barca per far scorrere l’acqua che si imbarca verso poppa.


 


Mutà –  mutare v.  Cambiare, sostituire, trasformare, convertire, variare.


 


Mute – muta s.f.  Il raddoppio di vele,  cerate,  tende e  bandiere. Scorta, provvista per un eventale bisogno. Imbuto. Sordomuto


 


Muttià – Beffeggiare v.  Deridere, motteggiare.


 


Muttiétte – moina sm.  Smorfia, svenevolezza, barzelletta.


 


Muzze – mozzo s.m. Marinaio ai primi imbarchi.


 


Muzzone – cicca sm.  Residuo di qualcosa, di persona bassa.


 


Muzzunare – Ciccaiolo sm.  Raccoglitore di cicche, di persona che si accontenta di poco.


 


Attenzione


Per i vocaboli che vanno dalla lettera N alla lettera Z compresa, consultare “Alfazeta” voci del dialetto ponziano  (2), in questa stessa rubrica.

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