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Ponza ha seimila abitanti

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Dalla metà degli anni cinquanta del secolo scorso, Ponza è andata spopolandosi sempre più. E con la diminuzione degli abitanti, sono andati scomparendo antichi mestieri, ma anche moderne professionalità che non hanno più trovato nell’isola possibilità di essere pienamente utilizzate. Il turismo, che all’epoca muoveva i primi passi, sembrò per qualche anno arginare l’esodo. Fu solo un’illusione! La nostra isola, come molte altre località turistiche alla moda d’Italia, viveva il turbillon estivo, con un’affluenza che si concentrava ossessivamente nei mesi di luglio e agosto, per dare poi spazio ad una diaspora dal mese di settembre verso altri luoghi ove svernare, attirati da maggiori comodità di vita e da una migliore assistenza sanitaria per le persone più anziane. In altri casi l’offerta scolastica più variegata, spingeva le famiglie a trasferirsi con i figli nelle cittadine vicine, privando l’isola di altre risorse umane. Tutto questo ha comportato l’abbandono delle terre e la scomparsa di servizi, che hanno contribuito a rendere sempre più difficile la vita a Ponza. Il turismo, fonte primaria dell’economia, ha dato l’illusione di tutto poter risolvere. Anche la pesca, compressa dalle normative comunitarie e da leggi nazionali sempre più limitative, ha spinto decine di famiglie a dedicarsi ad altro. La concentrazione di ogni attività sul mare, ha penalizzato l’interno dell’isola, abbandonato spesso solo ad una speculazione edilizia fine a se stessa che alle prime difficoltà economiche mostra già la corda. Una fragilità che anno dopo anno, appare sempre più evidente. Come far fronte a tutto questo?

A mio modesto avviso, bisogna invertire la tendenza, cercando di recuperare una popolazione attiva, attirando nuove risorse umane ed economiche disposte non solo ad investire a Ponza, ma a vivere nell’isola.

Alcuni studi recenti hanno confermato che in un sistema complesso, quale è quello della civiltà moderna, perché una comunità possa vivere e progredire, ha necessità di un numero minimo di persone. Questo numero, ovviamente, non è fisso e cambia da luogo a luogo, ma è certo che al di sotto di esso non possono essere garantiti appieno i servizi sociali necessari. L’isola, di per se stessa, presenta handicap solo per essere isola.

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Sulla questione è auspicabile un libero confronto, con idee nuove che promuovano uno scenario di ritorno all’isola, in cui ponzesi e non solo, vogliano impegnarsi a riorganizzare una comunità. L’aumento della popolazione, arricchita di nuove professionalità tendenti a vivere l’isola per tutto l’arco dell’anno, porterebbe a far crescere la vivibilità in tempi medio brevi.

Ovviamente questo comporta un cambiamento di mentalità. Ponza non più un pollo da spennare – per la verità i polli sono quelli che vi approdano – ma una terra da vivere e da amare, rinverdendo le antiche tradizioni, e valorizzandole con il proprio impegno. Sono convinto che tanti sono i ponzesi emigrati in Italia e all’estero disposti ed interessati a lavorare e vivere a Ponza. A loro va certamente l’invito più pressante e accorato. Le risorse più importanti di un paese, infatti, non sono solo il patrimonio architettonico o naturalistico, ma la gente che ci vive e lo ama. Per far questo è necessario recuperare la nostra identità, conoscendoci meglio e abbattendo gli steccati che, proprio a causa del nostro isolamento, abbiamo tutti contribuito ad alzare.

Un lavoro che impegnerà tutti profondamente anche in un’opera di autocritica costruttiva, la sola in grado di avviare un processo virtuoso che possa portarci ad una migliore vivibilità.

Giuseppe Mazzella